Per quanto un atteggiamento fiducioso ed ottimista sia importante, non è possibile trovare una soluzione se prima non si è ben capito qual è il problema da risolvere; riprendendo l’esempio precedente del medico, cosa accadrebbe se sbagliasse la diagnosi e curasse con un farmaco per le infezioni un caso di avvelenamento o di indigestione?
Per fare un altro esempio, in Italia, davanti alle crescenti difficoltà degli studenti nel seguire le lezioni a causa del sovraffollamento delle università, si è ritenuto che vi fossero troppi studenti e non poche università; di conseguenza si è introdotto l’accesso a numero chiuso, in contrasto sia con la funzione delle università pubbliche, sia con le esigenze degli studenti esclusi, nonché con i valori fondamentali della conoscenza e del libero accesso all’istruzione. La soluzione proposta (e purtroppo attuata) ha creato nuovi problemi (riduzione degli studenti, corruzione nelle prove di accesso e selezione che prescinde dai meriti) e non ne ha eliminato nessuno poiché gli studenti che avrebbero avuto difficoltà a seguire ora sono addirittura esclusi.
Per anni in Giappone degli ingegneri hanno cercato di risolvere l’annoso problema di costruire delle tubature in grado di resistere ai frequenti terremoti, cercarono di progettare giunture e snodi più resistenti e sperimentarono nuovi materiali, ma con scarsi risultati, fino a che qualcuno progettò delle giunzioni flessibili che risultarono quasi indistruttibili; il problema non era trovare nuovi materiali o giunzioni più resistenti e quindi più rigide, ma il contrario, trovare giunzioni meno rigide.
È chiaro dunque che per ottenere i risultati voluti è opportuno prima esaminare con cura gli ostacoli che abbiamo di fronte e la situazione che li ha creati; se cerchiamo di risolvere il problema sbagliato, troveremo al massimo la soluzione errata. Il primo passo per cercare una soluzione è dunque individuare bene quale sia il problema.
PALCO D’ONORE
GEORGE BOOLE
Spesso invece ci piace parlare tanto per parlare o meglio, per lamentarci, per maledire la sfortuna, per inveire contro i governanti, per ripetere quanto sentito in televisione il giorno prima e trovare conforto nell’interlocutore che ha visto lo stesso programma, insomma, difficilmente l’uomo comune si pone il primo dei problemi: cominciare a risolvere qualcosa in prima persona.
Spesso c’è un problema nel problema: quando uno prova a fare qualcosa in prima persona, probabilmente si renderà presto conto che per fare qualcosa di efficace bisogna disporre di un gruppo più o meno grande a seconda dei casi, ma poi, guardandosi intorno, si accorge di essere solo e se prova a formare un gruppo si sentirà addirittura emarginato.
Noi italiani abbiamo un altro problema: siamo litigiosi. Perdiamo piu’ tempo a litigare, cercando le differenze, piuttosto che a ragionare su cio’ che ci unisce. Il motivo e’ storico-culturale: essendo l’Italia uno Stati giovane non abbiamo ancora un concetto di italianita’ bensi’ siamo attaccati al territorio di provenienza, cosa che se e’ un bene dal punto di vista culinario e’ pessima quando si vuole attuare un cambiamento che coinvolga tutti.