Il reddito può essere definito come l’incremento, espresso in termini monetari, della ricchezza in un determinato periodo di tempo. Se si considera una nazione come un’unità produttiva, si può parlare di reddito nazionale per quantificare la ricchezza da essa prodotta, cioè la torta da spartire, ma chi ha diritto a una fetta? E di quali dimensioni? Una nazione è un insieme di persone associate in molti sottoinsiemi: famiglie, imprese, città, sindacati, confessioni religiose, partiti politici, ecc., che in vario modo contribuiscono alla formazione della torta e che quindi hanno diritto a una fetta della stessa.
In presenza di forti sperequazioni nella divisione della torta fra i cittadini, si tende a porre in essere delle manovre di politica economica che portino a un riequilibrio della situazione; ciò avviene mediante una redistribuzione del reddito a favore delle classi meno abbienti agendo su delle opportune leve fiscali: imposte dirette con aliquote crescenti, imposte indirette più elevate sui beni di lusso, imposte di successione, ecc.. A questo punto la popolazione si divide fra:
• Chi appoggia la redistribuzione del reddito perché ritiene che le classi beneficiarie delle fette maggiori sfruttino quelle meno abbienti e quindi deduce che queste ultime debbano essere aiutate a recuperare quanto indebitamente loro sottratto;
• Chi avversa la redistribuzione del reddito perché sostiene che le classi beneficiarie delle fette maggiori le ottengono grazie al loro maggiore impegno, maggiore rischio, maggiore capacità e quindi non devono veder mortificato tutto ciò a favore di persone meno produttive e meno meritevoli.
A ben guardare, tutte e due le posizioni basano le proprie argomentazioni sul merito: la torta deve essere divisa secondo i rispettivi apporti produttivi, ma non c’è accordo su come tale apporto debba essere valutato; in un mercato perfetto, dove la domanda e l’offerta possano incontrarsi senza subire l’influenza di fattori devianti, sarebbe il mercato stesso a remunerare equamente i fattori della produzione, ma purtroppo la situazione è ben diversa: esistono infatti giovani aspiranti imprenditori che, non disponendo di capitali propri, non vengono finanziati dalle banche per mancanza di garanzie; imprenditori che non riescono a stare sul mercato schiacciati da monopoli legalizzati o dalle pretese di organizzazioni criminali; lavoratori dipendenti che in caso di perdita del posto sono destinati alla disoccupazione; aspiranti studenti che non riescono ad accedere alle università perché a numero chiuso, ecc.; la redistribuzione o meno del reddito (cioè la divisione del reddito dopo la sua produzione) è allora un falso problema, quello vero è costituito dai criteri di attribuzione iniziale del reddito, cioè dalla mancanza di un sistema che assicuri delle pari opportunità e che non scoraggi la buona volontà della maggioranza della popolazione.
E’ evidente che anche un sistema che assicuri pari opportunità ha bisogno di manovre correttive di redistribuzione, ad esempio per solidarietà verso gli svantaggiati (orfani, disabili, ecc.), ma si tratterà di casi eccezionali, non della normalità. Chi trae vantaggio da una redistribuzione perenne? Accettare un’eterna redistribuzione significa implicitamente ritenere che sia inevitabile una cattiva distribuzione del reddito alla fonte e ciò porta a tollerala e a confidare in una successiva redistribuzione (che però può essere molto inferiore a quanto perso in precedenza).
E’ infine da notare che il prelievo fiscale effettua una redistribuzione del reddito solo quando utilizza le risorse prelevate alle classi più agiate per servizi pubblici che supportino le classi meno abbienti: asili nido, case di riposo, trasporti pubblici, assistenza sanitaria, ecc., ma in caso di servizi pubblici inadeguati, ad un depauperamento delle prime non corrisponde un arricchimento delle seconde e quindi non si ha alcuna effettiva redistribuzione; la falsa redistribuzione costituirà però un ottimo affare per chi la avrà amministrata, sia come propaganda elettorale, sia come pretesto per aumentare le imposte (le quali, in caso di non totale utilizzo in servizi per i cittadini, rappresentano una fonte di finanziamento per la classe politica).
APPROFONDIMENTI
REDDITO
PALCO D’ONORE
GORDON TULLOCK
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La redistribuzione del reddito è un’altro dogma. Metterlo in discussione significa praticamente bestemmiare, ma nessuno (scusate, a parte voi) si mette a riflettere veramente su cosa significa, come andrebbe gestita e soprattutto come fare in modo che non debba essere ripetuta.
Dato che è diffusissima l’opinione che la redistribuzione del reddito sia una cosa buona, ogni governo si prodiga per riaffermare il concetto ed autolodarsi nell’impegno in questo senso. Come mai allora, dopo oltre un secolo di questa teoria economica tanto apprezzata, non si è raggiunto un equilibrio?
Giusto, ma come realizzare le parita’ di condizioni in mercati basati su oligopoli e cartelli dove vi sono barriere di ingresso volute da attori sovranazionali che controllano o quantomeno influenzano le politiche nazionali col sistema della carota (soldi, generalmente accettato) o del bastone (minacce)?
Per non parlare delle organizzazioni criminali…