Quando ci prendiamo cura della nostra vita, si dice giustamente che stiamo cercando il nostro benessere; questa parola esprime fondamentalmente una sensazione, il sentirsi bene. Le squisite sensazioni che proviamo quando mangiamo dell’ottimo cibo sono dei messaggi che dicono al nostro cervello che abbiamo raggiunto nel modo migliore lo scopo di nutrirci; in generale, quando un senso di benessere ci pervade, noi sappiamo che ci siamo presi cura egregiamente di noi stessi e quindi della nostra vita.
Per sentirsi bene non basta la salute; vi sono anche altre necessità da soddisfare, come formare una famiglia, avere dei rapporti affettivi, sentirsi importanti, avere un ruolo sociale, in altre parole serve tutto ciò che ci faccia sentire realizzati. Si parla in questi casi di esigenze psicologiche, ma forse sarebbe più corretto dire esigenze naturali, considerato che siamo degli animali sociali progettati dalla natura per muoversi, fare esperienze, frequentare i propri simili e occupare un posto nella gerarchia del gruppo. Tutte le attività che mirano a farci sentire realizzati dovrebbero allora essere considerate positive, ma è facile accorgersi come non tutte siano finalizzate a migliorare la nostra vita. Come ci si può sentire realizzati mediante comportamenti contrari alla nostra salute e alla nostra vita? Eppure accade quotidianamente alla maggior parte delle persone. Si rendono allora necessarie delle riflessioni su questa bizzarra situazione ricordando come la nostra natura abbia una doppia anima: una genetica e l’altra culturale; esaminando dei casi limite risulta evidente come la nostra educazione influisca profondamente sulla percezione delle nostre esigenze: i monaci francescani conducevano una vita in povertà e piena di sacrifici per sentirsi realizzati; per gli antichi samurai il massimo era morire in guerra; per un imprenditore la migliore soddisfazione può essere quella di portare la propria azienda ad essere la prima nel suo settore e a questo fine sacrifica ogni rapporto umano. Come è possibile che per sentirsi bene si debba morire in guerra, essere poveri o lavorare tutta una vita senza risparmiarsi per vincere la concorrenza? Lo scopo del benessere non dovrebbe essere quello di indicarci la via giusta per tutelare la nostra vita? No, o almeno non sempre. La ricerca delle soddisfazioni non ci porta solo alla tutela della vita, ma alla sua realizzazione, cioè al raggiungimento di obiettivi ben determinati stabiliti dalla nostra natura sia genetica che culturale; a questo punto bisogna ricordare che la nostra cultura può essere negativa e sbagliata, che può anteporre alla nostra vita altri interessi, specialmente quelli legati al gruppo, imponendoci fatiche enormi per scalare o mantenere la posizione nella piramide sociale, facendoci adoperare per gli altri oltre il ragionevole fino a sacrificare la propria stessa vita o peggio ancora quella dei propri figli lasciando per esempio che partecipino a guerre per essi assolutamente inutili.
Ecco allora che le nostre esigenze psicologiche possono entrare in conflitto con il valore della nostra vita e quella dei nostri cari; non è sempre vero dunque che cercare di realizzarsi equivale a prendersi cura della propria vita; di nuovo dobbiamo riconoscere l’importanza di una sana educazione per tutelare i nostri valori in modo adeguato; i modelli da proporre a noi stessi e ai nostri figli ci devono indirizzare verso una vita rispettosa della nostra natura con dei comportamenti che realizzino il nostro bene e che non ci spingano verso inutili sacrifici.
PALCO D’ONORE
ABRAHAM MASLOW
CONCETTI IN PILLOLE
n. 19 – IL VALORE DEL BENESSERE
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Non tutti abbiamo lo stesso metro per misurare il benessere, ma a volte è vero che ci mancano proprio le basi per poter giudicare con lucidità gli obiettivi che veramente cerchiamo e in questo la società, gli insegnanti, gli anziani, insomma chi ci dovrebbe supportare, non ci aiuta molto. Sono d’accordo allora che chi è interessato deve in qualche modo organizzarsi in prima persona e cominciare a riflettere con qualche persona vicina per scrollarsi di dosso tutti i luoghi comuni, i falsi valori e le immense assurdità che fino ad oggi ci hanno condizionato.
Piu’ che di piramide sociale sarebbe opportuno parlare di cipolla o rapa sociale: la testa, piccolissima, e’ rappresentata dalla casta che ci comanda; il corpo, voluminoso, da tutti noi; la coda, piccolissima, dai reietti della societa’: pazzi, carcerati, clochard. Ovviamente la mobilita’ interstatus tra pancia e testa e’ minima.