3.a.8 – Lo Stato si fonda sulla famiglia?

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8 Giugno 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

famigliaLo Stato si fonda sulla famiglia?

Esplorando i percorsi della vita non possiamo dimenticarci dei nostri genitori, anche se ora forse ricoprono il ruolo di nonni; una gran parte di quello che siamo oggi proviene da loro, anche se siamo grandi e indipendenti essi ci danno ancora tanto sia come consiglieri che come nonni dei nostri figli. Nelle società agricole i nonni in genere sono figure socialmente molto importanti attorno ai quali si riuniscono i nuclei familiari dei figli nelle ricorrenze sociali più importanti, come ad esempio le festività religiose. Nelle società tribali gli anziani hanno spesso anche un ruolo politico, ad esempio come membri di un consiglio degli anziani, una sorta di senato della tribù nel quale vengono prese decisioni importanti per la comunità realizzando una specie di governo su base familiare anziché popolare.
Si impone dunque un concetto di famiglia più esteso, non un semplice nucleo familiare, ma un insieme di più nuclei aventi i nonni o addirittura i bisnonni in comune, un insieme che, per evitare confusioni, si può definire casato o clan familiare. L’importanza sociale del casato è stata sempre molto rilevante e ciò si giustifica facilmente con la logica della vita tribale: la collaborazione e l’organizzazione all’interno della tribù e delle altre comunità umane sono risorse fondamentali per la sopravvivenza che vengono meglio garantite e praticate in presenza di vincoli di sangue. Aiutarsi fra parenti significa inoltre tutelare i geni in comune, ecco perchè dilatare la famiglia e con essa la sua gerarchia e la sua solidarietà è stata la strategia principale usata dalla natura per creare grandi gruppi di animali sociali. Gli antichi villaggi tribali, composti al massimo da un centinaio di individui, erano formati dall’unione di pochissimi clan familiari a loro volta imparentati fra loro; nelle società agricole molte attività produttive erano formate da piccole aziende a gestione familiare basate sulla tradizione lavorativa del casato.
Sappiamo che l’essere umano ha una dipendenza quasi totale dalla sua società, ha infatti grosse difficoltà a sopravvivere al di fuori di essa; se dunque la società umana si fonda sulla famiglia, sul clan familiare e poi sul villaggio è ovvio che questi siano dei valori molto importanti e in effetti è stato sempre così finché è durata la società tribale, ma quel mondo oggi è scomparso.
La struttura sociale del villaggio ha iniziato il suo declino con le antiche società agricole che, con il sensibile aumento dei membri, portarono alla creazione di diverse classi sociali; in tali nuove comunità venivano anche utilizzate grandi masse di schiavi ai quali, come abbiamo già detto, non poteva essere concesso di avere una propria organizzazione sociale perché avrebbero potuto usarla per ribellarsi; il casato mantenne una sua importanza economica nella popolazione libera e dedita all’artigianato e al commercio, ma perse il suo ruolo politico che rimase riservato alla classe dominante. Nel medioevo occidentale la mancanza della struttura sociale degli schiavi venne ereditata dai servi della gleba, i quali rimasero quindi in un ruolo sociale subordinato; allo stesso modo il casato mantenne la sua importanza economica nelle popolazioni dedite all’artigianato e al commercio, ma rimase privo di un ruolo politico nella società; solo nella classe nobiliare il clan mantenne tutto il suo valore, anzi venne rafforzato come elemento distintivo rispetto alle altre classi sociali. Ancora oggi i nobili vanno fieri della storia del proprio casato che viene da loro tramandata nei secoli e questa è la sola cosa che ancora li distingue dai plebei.
Nel mondo attuale la massa dei cittadini a sua volta ha ereditato la disorganizzazione sociale dei servi della gleba, mantenendo la mentalità ed il loro ruolo subordinato nei confronti dell’autorità dello Stato a dispetto di tutte le leggi democratiche; la grande industria ha ridotto ai minimi termini l’artigianato e il commercio a gestione familiare e con essi la loro tradizione culturale lavorativa basata sul piccolo casato; nelle repubbliche democratiche la ricca borghesia industriale ha spodestato la classe nobiliare togliendole il primato politico e quindi, anche per i nobili, il casato ha perso molta della sua importanza rimanendo una vuota tradizione.
Il clan familiare si presenta allora oggi come un valore in agonia, non ha più alcuna funzione politica ufficiale, quella economico-culturale è scomparsa o quasi e quella sociale, intesa come guida alle pubbliche relazioni fra parenti, non è più praticabile in quanto i figli molto spesso si trasferiscono in altre città in cerca di lavoro. La naturale struttura sociale dell’umanità non solo è andata persa, ma sembra che non possa nemmeno più ricostruirsi. Questo fenomeno ha danneggiato anche la famiglia in senso stretto, la quale ha mantenuto la sua funzione biologica e culturale, ma ha perso quella politica e sociale che aveva quando era inserita in un clan: un tempo, vivendo nello stesso villaggio, ognuno conosceva e frequentava tutti i propri parenti, la propria reputazione era legata a quella del casato e gli anziani ne erano i naturali rappresentanti, da cui il prestigio di cui godevano; la famiglia era un valore sacro ed era effettivamente alla base della società. Oggi, quando si sostiene che lo Stato si fonda sulla famiglia, si afferma semplicemente il falso: lo Stato non è più una federazione di famiglie come lo era l’antica classe nobiliare o il villaggio tribale e ciò è provato dal fatto che, quando si invocano provvedimenti a favore della famiglia, le autorità politiche possono puntualmente ignorare tali richieste senza danneggiare sé stesse.
È doveroso però far presente che la perdita della vecchia struttura sociale presenta anche notevoli aspetti positivi: si trattava di una struttura molto solida, ma anche molto autoritaria; la subordinazione dell’individuo alla famiglia era quasi assoluta, in particolare per le donne; tutti erano tenuti a mantenere un comportamento pubblicamente accettabile non solo perché ritenuto giusto, ma per tutelare l’onore del casato. La celebre storia di Giulietta e Romeo oppure la pratica dei matrimoni combinati in uso particolarmente fra i nobili ci danno un’idea di quanto potesse essere duro ed invasivo il controllo del clan familiare sui suoi membri. La figura del nonno severissimo, la cui parola era incontestabile e quella del padre padrone fanno parte di un passato molto recente e certo è che il mondo antico era lontanissimo dal concetto di democrazia. Con il tramonto del vecchio sistema sono venuti meno anche alcuni dei sui aspetti peggiori.
La perdita del ruolo politico del clan, iniziata con l’avvento delle società agricole basate sullo schiavismo, ha tuttavia aperto un baratro di separazione fra il singolo individuo e l’autorità statale; si tratta di una ferita che non si è mai rimarginata e anzi, con la formazione delle grandi città attuali, abbiamo perso anche il ruolo sociale del villaggio, cioè di una comunità unita da profondi legami di parentela, amicizia e conoscenza profonda dovuta alla convivenza; oggi viviamo in una società di estranei. Dobbiamo dunque concludere che il nucleo familiare è un valore politicamente mutilato e quindi vulnerabile, per questo va tutelato con particolare attenzione; il casato è invece un valore che è andato perduto e non può essere tutelato in quanto non esiste più, infine anche il concetto di comunità deve essere riesaminato, avendo subito profonde trasformazioni.

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5 Commenti per “3.a.8 – Lo Stato si fonda sulla famiglia?”

  1. Gerulfo delle Milizie ha detto:

    Ecco un concetto veramente importante: lo Stato non è un’aggregazione di famiglie e lo sarà sempre meno con la vita dispersiva e isolata delle grandi città in espansione. Lo Stato è piuttosto un insieme disordinato di famiglie che condividono un territorio, ma non anche la gestione dello stesso, la quale è sempre demandata a qualcun altro, sempre più lontano, sempre più sconosciuto, ma cosa ci vogliamo aspettare da uno sconosciuto?

    • Angelica dal Vessillo Dorato ha detto:

      Io non mi aspetto proprio niente e da quando l’ho capito non sono andata più a votare.

      • Morias Enkomion ha detto:

        Fai bene! Nelle nostre pseudo democrazie il voto serve solo a dare alla casta il placet per continuare ad agire indisturbata forte del voto popolare.

        • Alafrida dal Lago ha detto:

          Non solo, una volta che la casta ha realizzato che non serve proprio per niente rappresentare le aspettative degli elettori, naturalmente non se ne cura più, non ne ha motivo e quindi chi vota rafforza questa giusta osservazione e tutte le sue conseguenze (basta ripensare all’ultimo decennio, per non avere dubbi in proposito).

          • Morias Enkomion ha detto:

            No, basta pensare alla storia della Repubblica, inziata con un referendum sul quale ci sono molti dubbi di brogli e voto di scambio, per non parlare del dopoguerra con la crescita boom che ora stiamo pagando – lo sapevano i bravi politici di allora, lo sapevano – degli anni di piombo, le stragi di Stato, Craxi. Nulla e’ cambiato, e si dice sempre che i giovani sono la speranza. Si’, della casta, visto che i giovani non hanno memoria storica e sono prede facili del consumismo.

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