Capitolo 1.a

25 Febbraio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

                                    

L’UOMO: UNA DELLE SPECIE IN EVOLUZIONE

Guardiamoci intorno; osserviamo l’ambiente, con tutti i fantastici animali che ci affiancano nel meraviglioso viaggio della vita e poi cerchiamo di capire il ruolo dell’uomo nella complessa giostra della natura.
Per riuscire nell’intento, è necessario avere delle nozioni di base sul concetto di specie biologica e sulla teoria dell’evoluzione, per poi soffermarsi a riflettere con maggiore cognizione di causa sulla natura dell’essere umano.  

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1.a.1 – Cosa si intende per specie?

26 Febbraio 2009 — Tag: , — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

leone

          

Cosa si intende per specie?

Il termine specie è sinonimo di varietà, di genere, di tipo, ma in biologia ha assunto un significato tecnico preciso e di fondamentale importanza, tanto da divenire uno dei concetti base della biologia moderna.
Gli uomini vedono vivere attorno a loro tante varietà di animali e possono osservare che tali animali generano figli del loro stesso tipo unendosi con i propri simili; i cavalli generano altri cavalli, i cani altri cani, ecc., proprio come gli uomini generano altri uomini.
Le piante, gli animali e gli uomini che muoiono vengono dunque rimpiazzati dai nuovi nati, generazione dopo generazione, in un ciclo senza fine che, come il ciclo delle stagioni, si ripete sempre uguale a sé stesso, formando un quadro estremamente stabile.
Ogni forma di vita appare pertanto come una manifestazione delle tante e immutabili leggi della natura, le quali formano un contesto armonioso e rassicurante; sopportiamo con pazienza ogni inverno sapendo che poi immancabilmente arriverà la primavera, così come dopo la notte spunterà un nuovo giorno, dopo un temporale tornerà il sereno, ecc.; la ripetitività degli eventi infonde dunque sicurezza nella misura in cui consente di prevedere che i disagi prima o poi certamente finiranno e le cose buone torneranno.
Allo stesso modo si può osservare che unioni miste (fra generi diversi) non avvengono o comunque non generano figli; tuttavia, considerando per esempio le varietà domestiche, talvolta questo accade: se osserviamo le numerose razze di cani, potremo infatti notare come queste abbiano la possibilità di incrociarsi; due gruppi di cani di razza diversa, posti nello stesso recinto, formano coppie miste che generano cuccioli con caratteristiche fisiche miste. Una volta cresciuti, tali cuccioli formeranno anch’essi delle coppie, si uniranno sia fra loro, sia con i gruppi di partenza e dopo varie generazioni i caratteri peculiari di una razza saranno presenti anche nei discendenti dell’altra e viceversa, non vi saranno più due gruppi distinguibili per il loro aspetto, ma un unico gruppo nato dalla fusione dei primi due; allevando insieme piccioni e galline invece questo non avviene. Lo stesso fenomeno accadrebbe anche in una foresta o in un altro ambiente naturale in presenza di varietà diverse con possibilità di incroci nella riproduzione.
Chiamando razze le varietà con possibilità di fusione e specie le altre, possiamo dunque affermare che nello stesso ambiente non possono coesistere a lungo due o più razze diverse, perché le stesse tendono a combinarsi dando origine ad un genere unico. In un singolo ambiente naturale troviamo pertanto solo specie diverse, le quali si distinguono dalle razze per la loro incapacità di fondersi, a prescindere dall’aspetto delle caratteristiche fisiche; questa è una regola generale valida per definizione per tutte le specie di animali che vediamo attorno a noi; esse sono separate da un punto di vista riproduttivo, sono mantenute distinte dalla natura e quindi non è solo una questione di aspetto esteriore o una semplice convenzione umana.
La stabile ripetitività delle specie, sia animali che vegetali, è resa possibile dall’isolamento riproduttivo, per questo motivo la biologia basa il concetto di specie proprio sulla capacità riproduttiva.
Denominando pertanto come cavallo un dato animale di riferimento, risulteranno cavalli tutti gli animali in grado di accoppiarsi con esso (o come esso se dello stesso sesso) per generare altri cavalli a loro volta in grado di ripetere il ciclo riproduttivo. Rimangono esclusi tutti gli altri animali, compresi gli asini che con i cavalli generano solo prole sterile.
Mantenendo l’esempio delle numerose razze di cani, spesso se ne trovano alcune con enormi differenze fisiche, ma per continuare ad esistere in modo distinto devono essere tenute separate, altrimenti si fonderebbero. L’esistenza in natura di razze diverse della stessa specie è pertanto dovuta al fatto che tali razze vivono in regioni distinte, separate da una lunga distanza, da una catena montuosa oppure dal mare, così come le razze domestiche sono tenute separate in diversi allevamenti o da un semplice recinto.
Dato che al concetto di specie è legato quello di stabilità, di immutabilità nel susseguirsi delle generazioni, si può comprendere la difficoltà, anche in assenza di dogmi religiosi, ad accettare l’idea che le varie forme di vita possano mutare nel tempo.

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1.a.2 – E’ possibile un’evoluzione delle specie nel tempo?

27 Febbraio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

giraffa

          

E’ possibile un’evoluzione delle specie nel tempo?

La moderna teoria dell’evoluzione afferma che, con il trascorrere di molte migliaia di anni, le specie dei viventi possono cambiare e dare origine a nuove specie; quindi nega che le specie siano fisse e immutabili come appare dall’esperienza comune.
Tali mutamenti sono però così lenti da risultare percepibili solo nell’arco di alcuni millenni e quindi, in simili intervalli di tempo, le specie possono quasi sempre essere considerate fisse ed immutabili come appaiono nella vita di tutti i giorni. La immutabilità delle specie viene dunque considerata come un concetto valido, ma relativo, limitando la sua validità ad alcuni secoli o millenni, cioè in periodi che vanno oltre la vita di decine di generazioni successive di uomini, i quali, né per esperienza tramandata dai propri avi, né tanto meno per esperienza diretta, avranno percezione di tali mutamenti.
La formazione di una nuova specie si ha quando, fra i numerosi cambiamenti che si accumulano nel tempo, ne compare uno che impedisce l’incrocio con la specie originaria.
L’attuale teoria dell’evoluzione poggia su due pilastri, due fenomeni entrambi necessari affinché si verifichi l’evoluzione delle specie: la selezione naturale e la mutazione genetica.

 

 

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    EVOLUZIONE DELLE SPECIE

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1.a.3 – Quale ruolo ha la selezione naturale nell’evoluzione delle specie?

28 Febbraio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

 mimetico

          

Quale ruolo ha la selezione naturale nell’evoluzione delle specie?

Per capire il concetto della selezione naturale bisogna innanzi tutto osservare che, al pari degli esseri umani, gli esemplari di una specie animale presentano numerose caratteristiche individuali e quindi non sono perfettamente uguali fra loro. Gli elementi in comune sono distintivi della specie, gli altri sono distintivi dell’esemplare (per esempio, fra gli equini, il pelame bianco con strisce nere caratterizza la specie delle zebre, ma due zebre possono distinguersi per la diversa altezza, la diversa robustezza, la diversa qualità della dentatura, ecc.). Un altro fenomeno fondamentale e facilmente osservabile è che alcuni dei tratti individuali vengono ereditati dai figli.
La variabilità dei connotati individuali e la loro ereditarietà sono fatti oggettivi da sempre sfruttati dagli allevatori per selezionare razze particolarmente pregiate di bestiame. Gli esemplari con elementi distintivi ritenuti positivi vengono isolati dagli altri e fatti accoppiare fra loro, la prole che erediterà le qualità volute rimarrà nel gruppo mentre la restante parte sarà allontanata. In questo modo i caratteri positivi saranno sempre più comuni nel gruppo e dopo un certo numero di generazioni gli elementi distintivi di pochi individui saranno divenuti caratteri comuni di tutto il gruppo, ormai divenuto una varietà particolare della propria specie.
Gli animali nel loro ambiente formano una sorta di allevamento naturale nel quale ogni esemplare possiede numerose particolarità individuali che possono essere trasmesse alla prole. Alcune qualità del singolo animale però possono, in un dato ambiente, aumentare la sopravvivenza della sua prole rispetto ai propri simili; tali caratteri, generazione dopo generazione, si diffonderanno inevitabilmente nella popolazione fino a diventare comuni a tutta la popolazione stessa, formando una nuova varietà. Tale fenomeno è detto selezione naturale.
È importante notare che, per diffondere gli elementi distintivi di un esemplare, non è necessario che tutti gli altri vengano eliminati o che sia loro impedito di riprodursi; è sufficiente che la loro riproduzione abbia meno successo, ovverosia che abbiano un minor numero di figli in grado di riprodursi. In natura il ruolo dell’allevatore è svolto dall’ambiente, dato che sono le caratteristiche dello stesso a determinare le probabilità di successo riproduttivo. Un discorso perfettamente identico si può fare per le piante e i funghi.

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    SELEZIONE NATURALE 

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1.a.4 – Come intervengono le mutazioni nell’evoluzione delle specie?

1 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

dna

         

Come intervengono le mutazioni nell’evoluzione delle specie?

I caratteri individuali sono ereditati grazie ai geni presenti nelle cellule, comprese quelle destinate alla riproduzione dell’organismo. All’insieme dei geni, detto anche patrimonio genetico, corrisponde l’insieme delle caratteristiche fisiche individuali ereditabili.
I geni sono dei piccoli tratti
di due lunghissimI fili, avvolti a spirale nella famosa doppia elica, formanti la molecola del DNA (DeoxyriboNucleic Acid, cioè acido desossiribonucleico). Ogni filamento di DNA è come una catena i cui anelli però non sono tutti uguali, ve ne sono di quattro tipi diversi e sono le celebri quattro basi chimiche (Adenina, Timina, Citosina e Guanina indicate in genere solo con A,T, C, G). Come le lettere dell’alfabeto, queste quattro basi si possono ordinare in sequenza in innumerevoli modi formando parole e frasi. In questo linguaggio nella molecola del DNA sono memorizzate le informazioni per la costruzione e la gestione della cellula nei suoi processi vitali. Un tratto del filamento che contiene un’informazione di senso compiuto, come ad esempio la struttura di una proteina, è appunto un gene. Se vediamo la molecola del DNA come una sequenza di informazioni significa che la vediamo come una sequenza di geni. Tale molecola ha inoltre la facoltà di replicarsi duplicando così anche i geni. È possibile, sebbene sia un fenomeno relativamente raro, che si verifichi un errore nella suddetta duplicazione e che ciò porti all’alterazione di un gene o della sequenza dei geni. Tale alterazione è detta mutazione, che può avere come conseguenza la comparsa di una nuova caratteristica individuale. Le mutazioni possono essere causate anche da agenti fisici o chimici esterni come radiazioni, virus ed altro, che vengono detti agenti mutageni.
La struttura di un organismo è un’architettura complicatissima nella quale un cambiamento arbitrario di un gene può avere gli effetti più disparati: saranno disastrosi se risulta compromesso il funzionamento di un gene che svolge una funzione strategica e fondamentale (ne sono un esempio le malattie genetiche), mentre si avranno effetti meno deleteri se il gene mutato ha una funzione più marginale fino ad arrivare al caso in cui non si avrà alcun effetto nocivo, come può essere il caso della comparsa di una nuova sfumatura del colore degli occhi. Le caratteristiche genetiche di un organismo sono enormemente numerose e lo sono pure le possibili mutazioni, comprese quelle innocue. Queste mutazioni, proprio perché innocue, non verranno eliminate dalla selezione naturale perciò si accumuleranno nel tempo dando origine alla grande variabilità dei caratteri individuali (gli occhi a mandorla, gli zigomi sporgenti, il mento sfuggente, il collo taurino e così via). Tanto maggiore sarà tale varietà, tanto maggiore sarà la probabilità che qualche caratteristica risulti utile in caso di cambiamento ambientale (per esempio il colore chiaro della pelle, dei capelli e degli occhi per gli uomini che hanno colonizzato le regioni nordiche del pianeta).
È da notare che le mutazioni svolgono un ruolo fondamentale nell’evoluzione delle specie in quanto forniscono alla selezione naturale il materiale su cui lavorare. Senza mutazioni la selezione naturale tenderebbe solo ad uniformare al massimo il patrimonio genetico già esistente senza procedere oltre. D’altro canto, si può dire che senza selezione naturale nemmeno le mutazioni da sole potrebbero portare al fenomeno dell’evoluzione delle specie, realizzando solo un aumento della variabilità genetica individuale con nuove combinazioni puramente casuali.

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APPROFONDIMENTI
   DNA, GENE,  MUTAZIONE GENETICA,  RADIAZIONE,  VIRUS

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Selezione naturale e MutazioniCONCETTI IN PILLOLE
  n. 1 – SELEZIONE NATURALE E MUTAZIONI      

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1.a.5 – Come nasce una nuova specie?

2 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

pinguino

          

Come nasce una nuova specie?

Quando nell’evoluzione compare una mutazione che impedisce la possibilità di incrocio con la specie originaria, viene superato un punto di non ritorno, un punto dopo il quale non sarà più possibile il rimescolamento genetico. Tale isolamento riproduttivo, che porta alla formazione di una nuova specie, non è dunque dovuto a barriere fisiche o geografiche, ma è fisiologico, fa parte dell’intrinseca natura della specie.
Tutto ciò può verificarsi in molti modi; per esempio, due popolazioni della stessa specie, separate in regioni diverse, possono sviluppare mutazioni proprie che portano alla creazione di due razze distinte; successivamente, se la razza della prima regione sviluppa un rituale di corteggiamento incompatibile con l’altra, i membri della seconda regione sarebbero sempre scartati in caso di incontro. Un altro caso si verifica quando le due razze sviluppano una conformazione fisica troppo diversa; si pensi alla differenza di taglia fra un cane san bernardo e un cane chihuahua che rende meccanicamente impossibile l’accoppiamento.
Il caso più importante è però quello dovuto a cause genetiche, cioè quando l’accumularsi di diverse mutazioni rende sempre più difficoltosa la fusione del DNA di due esemplari fino a raggiungere la totale incompatibilità, causando la sterilità della prole o il suo mancato sviluppo.

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1.a.6 – Esiste una parentela fra tutte le specie?

3 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

gorilla

          

Esiste una parentela fra tutte le specie?

Quando una specie si scinde in due o più specie, si può dire che le nuove forme comparse discendono dalla prima così come i figli discendono dai genitori. In questo modo viene evidenziata una sorta di parentela fra specie le quali, come gli esseri umani, possono discendere l’una dall’altra, avere un antenato in comune, appartenere ad una famiglia molto numerosa e formare delle dinastie con alberi genealogici anche molto complicati. In genere, quanto più lontana è la parentela, tanto maggiori sono le differenze fisiche riscontrabili e ciò in conseguenza dell’accumularsi di più mutazioni; con un ragionamento inverso, quanto maggiori sono le somiglianze, tanto più stretta ci aspettiamo che sia la parentela. Con questo criterio è facile stabilire che un gorilla è un parente più stretto dell’uomo di quanto non lo sia un cavallo e che questo a sua volta ha una parentela con l’uomo maggiore rispetto a un falco.
Tutto ciò evidenzia che l’uomo non deriva dalle scimmie attuali così come un dato individuo non deriva da un proprio cugino; la specie dell’uomo e quella del gorilla, oggi coesistenti, derivano da una specie antenata di entrambe così come due cugini discendono da una coppia di nonni in comune.

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1.a.7 – L’adattamento è subordinato al contesto ambientale?

4 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

falco

          

L’adattamento è subordinato al contesto ambientale?

Per adattamento si intende l’insieme di uno o più cambiamenti che una specie subisce a causa della selezione naturale in un dato contesto ambientale. La selezione naturale privilegia le mutazioni che favoriscono la sopravvivenza delle generazioni future, le quali risulteranno appunto più adatte a vivere in quell’ambiente. Un classico esempio di adattamento è lo sviluppo di una folta e calda pelliccia in una regione dal clima molto freddo, oppure lo sviluppo di gambe lunghe e veloci per sfuggire ai predatori.
L’adattamento è dunque sempre relativo ad un certo ambiente perché è questo che determina le possibilità di sopravvivenza e quindi la selezione naturale. Tuttavia, un cambiamento positivo in un certo contesto può rivelarsi utile anche in altre circostanze; per esempio le mani, che le prime scimmie usavano per aggrapparsi ai rami e per raccogliere della frutta, sono state poi utilizzate dagli uomini per costruire strumenti di ogni tipo, per scrivere e per guidare l’automobile; un altro esempio è dato dallo strato di grasso, sviluppato per affrontare periodi di carestia e poi divenuto una protezione contro il freddo per gli animali delle regioni polari. In questi casi si parla di preadattamento, come se si trattasse di un adattamento anticipato, ma in effetti si tratta di fortunate combinazioni che comunque sono di grande importanza per l’evoluzione, perché aumentano le possibilità di adattamento a nuovi ambienti, nonché quelle di soddisfare nuove esigenze e di sfruttare nuove risorse. In generale l’evoluzione procede per piccoli passi, ma non può creare dal nulla dei nuovi organi, può solo modificare quelli già esistenti, i quali pertanto costituiscono un preadattamento, cioè una base per i futuri sviluppi.
In un eventuale ambiente stabile, che non muta nel tempo, si accumulerebbero mutazioni positive fino ad esaurire tutte le possibilità; con il tempo la comparsa di nuovi cambiamenti positivi diverrebbe sempre meno probabile e le diverse specie si troverebbero in una sorta di stato di equilibrio dato dal massimo adattamento al loro ambiente.
L’evoluzione è dunque lenta, graduale, ma non uniforme; spesso presenta una velocità variabile proprio in conseguenza della stabilità o meno dell’ambiente. Una situazione di perfetta stabilità è inoltre assai improbabile, infatti ogni mutazione di una qualunque specie è di fatto un piccolo o grande cambiamento ambientale e dunque l’evoluzione non si fermerà mai, anche senza considerare cambiamenti geologici o climatici.

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1.a.8 – Progresso ed evoluzione: due termini da distinguere?

5 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

treno

          

Progresso ed evoluzione: due termini da distinguere?

Per progresso si intende generalmente un miglioramento, cioè un cambiamento che porta dei vantaggi; si parla infatti di progresso economico, tecnologico, ecc..
Se si parla invece di evoluzione, ci si riferisce a un graduale cambiamento nel tempo, non necessariamente vantaggioso; per esempio l’evoluzione di una malattia, di una tempesta, delle fasi della Luna.
Dato che l’evoluzione biologica consiste in un graduale cambiamento che comporta sempre un qualche vantaggio per la sopravvivenza della specie (ovvero della discendenza), come per esempio una maggiore capacità di procurarsi il cibo, di proteggere la prole, di sfuggire ai predatori, ci si può chiedere perché la si definisca evoluzione e non progresso biologico.
Il motivo principale è che la selezione naturale privilegia quei mutamenti che offrono un vantaggio immediato nell’ambiente in cui la specie vive, ma spesso tali mutamenti sono validi solo nel suddetto ambiente; per esempio, è un bene sviluppare una folta pelliccia in un clima molto freddo, ma se questo si riscalda, la stessa pelliccia diventerà un problema. Il progresso biologico è perciò relativo ad un dato ambiente, limitato a questo e viene più precisamente definito come adattamento, mentre l’evoluzione biologica non si ferma mai ed è anzi stimolata dai cambiamenti ambientali.
Ad una continua evoluzione non corrisponde allora un continuo progresso, ragion per cui è bene non confondere i due concetti.

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I PUNTI DI VISTA
 lente_ingrandimento  PROGRESSO SOCIALE 
                                                                   Progresso ed evoluzione

CONCETTI IN PILLOLE
pillola
  n. 2 – PROGRESSO ED EVOLUZIONE

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Capitolo 1.b

6 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

                                  

LA COLLOCAZIONE DELL’UOMO NELL’EVOLUZIONE

Guardiamoci indietro; cerchiamo di estendere il concetto di albero genealogico all’intera storia della Terra e proviamo poi a capire su quale ramo l’uomo si colloca, nonché da quanto tempo vi si trova.
Per raggiungere tale obiettivo, bisogna avere delle nozioni di base sulla storia evolutiva della vita sul nostro pianeta, per poi soffermarsi a considerare, con maggiore consapevolezza, la posizione dell’essere umano.

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   ZUCCHERO – MISERERE

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1.b.1 – E’ importante conoscere la storia evolutiva?

7 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

          

E’ importante conoscere la storia evolutiva?

La storia è una narrazione sistematica di fatti considerati nella loro evoluzione attraverso il tempo.
La storia dell’evoluzione della vita sulla Terra è perciò la ricostruzione, su basi scientifiche, di come le antiche forme di vita abbiano dato origine a quelle successive fino alle attuali.
È opportuno ricordare che si tratta di una cosa ben diversa dalla teoria dell’evoluzione delle specie, la quale ci dice che le specie mutano ed evolvono, ma non come lo hanno fatto nel tempo.
Le teorie scientifiche consistono in genere in una descrizione delle leggi della natura che appaiono inalterabili nel tempo e sono quindi sempre valide; la storia invece ricostruisce una serie di eventi passati e, in linea di massima, irripetibili. Ne segue che la teoria dell’evoluzione delle specie è una pura teoria scientifica mentre la storia dell’evoluzione è una ricostruzione storica relativa a temi scientifici.
L’incredibile varietà di esseri viventi sulla Terra è la conseguenza dei fenomeni alla base dell’evoluzione: la casualità delle mutazioni porta nel tempo a sfruttare tutte le opportunità possibili, compresa quella di colonizzare nuovi ambienti; in tali ambienti nuove mutazioni riprendono il processo di adattamento e la selezione naturale porta alla creazione di nuove specie; il tutto in un ciclo senza fine. La conseguenza di tutto ciò è appunto un progressivo aumento della varietà finché vi saranno ambienti e risorse disponibili.
La crescita della varietà è favorita inoltre da un altro fenomeno: le mutazioni tendono infatti ad accumularsi e a formare strutture più complesse le quali, per definizione, hanno più parti che poi possono essere modificate.
Ogni specie, uomo compreso, ha dunque dietro di sé una propria storia, un lungo percorso formato da tutte le specie che l’hanno preceduta evolvendosi l’una nell’altra.

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1.b.2 – Come è avvenuto il passaggio dalla materia alla vita?

8 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

chimico

          

Come è avvenuto il passaggio dalla materia alla vita?

L’inizio del sistema solare e la formazione della Terra vengono fatti risalire a circa 4,5 miliardi di anni fa e si stima che sia stato impiegato circa un miliardo di anni per sviluppare progressivamente tutte le condizioni necessarie alla comparsa della vita.
In origine, quello che oggi definiamo pianeta Terra era una sfera infuocata di lava fusa; tale sfera si trovò posizionata a una distanza dal Sole molto conveniente: abbastanza lontana affinché potesse svolgersi il processo di raffreddamento e di condensazione, allo stesso tempo abbastanza vicina da impedire ai gas atmosferici di rimanere congelati.
La Terra aveva inoltre una dimensione sufficiente a trattenere un’atmosfera gassosa e conteneva gli elementi chimici fondamentali per l’apparizione della vita.
Dopo 500.000 anni di raffreddamento graduale, il vapore che riempiva l’atmosfera condensò e per migliaia di anni caddero sulla Terra delle piogge torrenziali che formarono gli oceani. Durante il periodo di raffreddamento, il carbonio, l’elemento chimico fondamentale della vita, si combinò rapidamente con idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo e fosforo e generò una immensa varietà di composti chimici. Tali sei elementi sono ancora oggi i costituenti chimici principali di tutti gli organismi viventi.
Le ricerche più recenti sull’origine della vita non si basano più su eventi improvvisi e particolari come, ad esempio, un fulmine estremamente potente o l’inseminazione da parte di molecole portate da meteoriti; tali ricerche studiano oggi l’evoluzione dei sistemi viventi come sistemi capaci di auto organizzarsi; si considera cioè che l’ambiente costituitosi sulla Terra in quei tempi lontani abbia favorito la formazione di molecole complesse, che alcune di esse divennero i catalizzatori di una serie di reazioni chimiche e che queste portarono progressivamente alla formazione di strutture cellulari.
L’astrofisica e la geologia ci indicano che a quel tempo l’aspetto della Terra doveva essere molto diverso da quello attuale; in particolare nella composizione chimica dell’atmosfera e in quella dei mari. Allora come ora il pianeta poteva apparire come un mosaico di ambienti diversi per temperatura, umidità, tipo di terreno, altitudine o profondità, concentrazione chimica delle varie sostanze presenti nell’acqua o nel suolo, ecc..
La moderna biochimica ci spiega che in tali condizioni si formano delle molecole, dette organiche, che combinandosi fra loro oggi costituiscono i corpi degli esseri viventi; inoltre, in un ambiente favorevole, che anche in ere remote si poteva trovare da qualche parte sulla Terra, tali molecole reagiscono spontaneamente fra loro formando composti più complessi, si accumulano e raggiungono la giusta concentrazione per la vita. Bisogna considerare che i suddetti composti sono costituiti da un grande numero di atomi e ciò porta a un numero smisurato di possibili varietà; in tale varietà, con il passare dei millenni, è plausibile che siano comparse particolari molecole in grado di provocare molte reazioni chimiche ancora oggi fondamentali per gli esseri viventi, nonché altre molecole, oggi note, capaci di produrre copie di sé stesse.
Tali molecole sono dunque in grado di riprodursi, cioè di nascere dai propri simili, e come tutte le altre molecole possono disgregarsi e quindi morire; presentano pertanto le principali peculiarità degli esseri viventi.
Vi sono anche altre due caratteristiche tipiche degli esseri viventi: una grande varietà di caratteri diversi in grado di favorire o meno il processo riproduttivo e la possibilità di mutazioni, cioè quanto basta per innescare la selezione naturale e l’evoluzione biologica.
Per il seguito della storia della vita fu di grande importanza lo sviluppo di due caratteristiche: le membrane e l’uso del DNA. Le membrane, che ancora oggi avvolgono le nostre cellule, hanno una struttura chimica di base molto semplice e furono il prodotto di una delle tante reazioni chimiche sopra citate. Tali membrane formano spontaneamente delle microscopiche bolle dentro le quali si crea un ambiente protetto, che mantiene la giusta concentrazione chimica per i processi vitali della complessa comunità di molecole viventi.
Tali processi, sempre più complessi, iniziarono ad essere gestiti utilizzando catene di amminoacidi che con il tempo, mutazione dopo mutazione, costituirono il DNA.
Queste ormai complicatissime strutture avevano a loro volta tutte le caratteristiche tipiche dei viventi, esistono ancora oggi in mille forme e sono genericamente chiamate batteri.

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APPROFONDIMENTI
    AMMINOACIDI,  ASTROFISICA,  ATOMO,  BATTERI,  BIOCHIMICA,
  CATALIZZATORE,  CELLULA,  GEOLOGIA,  METEORITE,
         MOLECOLA,  REAZIONE CHIMICA

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    ALEKSANDR IVANOVIC OPARIN   stellastellastellastella

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1.b.3 – Quali sono state le successive forme di vita?

9 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

cellule

          

Quali sono state le successive forme di vita?

Lo studio della genetica ci induce a pensare che tutte le forme oggi viventi discendono da un unico antenato comune; tutte le cellule di tutti gli organismi conosciuti basano infatti il loro funzionamento sullo stesso tipo di molecola, il DNA, che incorpora lo stesso linguaggio codificato: il codice genetico.
Questo antichissimo antenato, che si presume simile agli attuali batteri, soggetto a diverse condizioni ambientali, si è adattato secondo le circostanze e ha dato origine a nuove specie; tali specie hanno poi fatto altrettanto, producendo catene evolutive sempre pronte a nuove ramificazioni.
Una delle prime attività dei batteri fu la fermentazione, cioè la decomposizione di zuccheri per creare l’energia necessaria a tutti i processi cellulari; tale procedimento permise ai batteri di vivere grazie alle sostanze chimiche presenti nella terra e nell’acqua. Alcuni di questi batteri svilupparono un’altra capacità di grandissima importanza: assorbire azoto dall’aria e trasformarlo in vari composti organici. L’azoto è un componente delle proteine presenti in ogni cellula e tutti gli organismi viventi, per sopravvivere, ancora oggi dipendono dai batteri che fissano l’azoto.
I batteri svilupparono anche la fotosintesi, un procedimento che divenne la fonte primaria di energia per la vita, anche se molto diverso da quello praticato dai vegetali attuali. Tutte queste strategie di sopravvivenza permisero ai batteri non solo di vivere ed evolversi, ma anche di iniziare a modificare l’ambiente, mantenendo, attraverso i loro processi di regolazione, le condizioni adatte allo sviluppo della vita.
Un nuovo tipo di batteri a un certo punto sviluppò un nuovo processo di fotosintesi capace di estrarre l’idrogeno dall’acqua, rilasciando ossigeno nell’aria. Questo ossigeno però divenne a un certo punto eccessivo; l’inquinamento da ossigeno produsse, circa due miliardi di anni fa, una catastrofe senza precedenti e l’intera trama batterica dovette riorganizzarsi per poter sopravvivere.
La crisi dell’ossigeno innestò un processo evolutivo che portò all’apparizione dei cianobatteri, i quali utilizzavano proprio l’ossigeno, la sostanza dannosa, attraverso la respirazione aerobica che si basa sul consumo di tale elemento. La vita fu per sempre modificata e così l’ambiente in cui evolversi; la quantità di ossigeno libero nell’atmosfera si stabilizzò al 21 per cento e si noti che se questo valore scendesse sotto il 15 per cento, niente brucerebbe e gli organismi, non potendo respirare, morirebbero; sopra il 25 per cento invece tutto brucerebbe, la combustione sarebbe spontanea e le fiamme divorerebbero la Terra. Da milioni di anni la comunità dei batteri e dei loro discendenti mantiene l’ossigeno nell’atmosfera alla quantità ideale per la vita delle piante e degli animali.
È opportuno far notare che non sempre gli esseri viventi riescono ad adattarsi alle diverse situazioni che gli si presentano; in tal caso la loro catena si interrompe, non solo non si avranno nuove specie, ma anche le vecchie possono scomparire, cioè estinguersi.
L’enorme varietà delle forme viventi ha però reso impossibile che tutte le specie si estinguano per incapacità di adattamento; fra tante specie ve ne sono sempre molte che riescono a sopravvivere e a differenziarsi ulteriormente. Ciò è dimostrato dal fatto che i batteri non solo esistono ancora in grande numero e in ogni parte del pianeta, ma hanno prodotto nuove forme di vita, così complesse e così diverse da essi, da essere classificate come gruppi a parte; tra questi ci sono i protisti, esseri formati da una sola cellula come i batteri, ma dotati di un nucleo centrale contenente il DNA ed altre strutture interne che gestiscono le attività della cellula; questa struttura è anche quella delle cellule che compongono il nostro corpo e quello di ogni animale o vegetale.
Confortati dagli studi genetici, si ritiene dunque che tutti gli esseri viventi formati da molte cellule, perciò detti pluricellulari, discendano da questi esseri; ogni forma di vita visibile ad occhio nudo può pertanto essere vista anche come una gigantesca e complicatissima colonia di protisti.

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1.b.4 – Quale è stata l’evoluzione delle piante?

10 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

alghe

          

Quale è stata l’evoluzione delle piante?

I progenitori delle piante assomigliavano alle alghe che vivono in acque poco profonde e illuminate dal sole; il loro habitat però a volte si prosciugava e alla fine alcuni di essi trovarono il modo di sopravvivere trasformandosi in piante di terraferma. All’inizio quelle piante erano simili a muschi, non avevano né fusti né foglie, ma con la produzione di un nuovo materiale nelle pareti delle cellule, la lignina, fu possibile sviluppare fusti e rami, oltre che i sistemi vascolari per assorbire acqua dalle radici. Per resistere alla siccità, che era una minaccia costante nel nuovo ambiente terrestre, le piante racchiusero i propri embrioni in semi che li protessero mentre aspettavano di trovare le appropriate condizioni di umidità per svilupparsi.
Durante un periodo che va dai 350 ai 250 milioni di anni fa, mentre i primi animali terrestri, cioè gli anfibi, si evolvevano in rettili e dinosauri, lussureggianti foreste tropicali di “felci con semi” ricoprirono estese regioni del pianeta. Quando, circa 200 milioni di anni fa si formarono i ghiacciai su molti continenti, le felci con semi furono soppiantate da conifere sempreverdi che potevano resistere al freddo. Circa 125 milioni di anni fa apparvero le prime piante con fiori, i cui semi erano racchiusi in frutti. Fin dall’inizio queste piante hanno coesistito e si sono evolute congiuntamente ad animali che si cibavano dei loro frutti e che disseminavano in cambio i semi non digeriti.

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APPROFONDIMENTI
    ALGHE,  CONIFERE,  EMBRIONI,  FELCI,  HABITAT,   LIGNINA,   MUSCHI

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1.b.5 – I funghi sono diversi dalle piante?

11 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

funghi

          

I funghi sono diversi dalle piante?

Oltre alle piante, anche altri tipi di organismi pluricellulari raggiunsero la riva: i funghi. Questi, pur somigliando alle piante, per la loro sedentarietà e assenza di movimento autonomo, sono invece completamente diversi e costituiscono un “regno” a parte. Le loro cellule non svolgono la fotosintesi come quelle dei vegetali, e quindi non sono in grado di produrre autonomamente alcune fondamentali molecole organiche per costruire il loro corpo. Pertanto per sopravvivere i funghi sono costretti a cibarsi delle molecole già formate di altri esseri viventi, come fanno gli animali. A differenza degli animali tuttavia il corpo dei funghi non presenta organi o tessuti differenziati, con la sola eccezione degli organi di riproduzione, che sono la parte visibile del fungo, che emerge dal terreno con il caratteristico cappello. Il resto è costituito di cellule indifferenziate costantemente in contatto fra loro in un intreccio fittissimo ma dotate di grande indipendenza: sopravvivono facilmente se separate dalle altre ed in questo di nuovo somigliano alle piante. Si suppone che i funghi siano comparsi più o meno 300 milioni di anni fa ma la datazione è molto incerta. I funghi infatti presentano solo tessuti molli (niete ossa o conchiglie) e quindi i loro fossili sono rarissimi. Questo fatto ha reso molto difficile anche ricostruire la loro storia evolutiva, ancora oggi molto controversa. Grazie alle moderne tecniche di indagine genetica oggi si spera di fare presto chiarezza riguardo i tanti quesiti ancora senza risposta.
I funghi colonizzarono la terraferma unitamente alle piante, poiché queste ultime dipendono per l’assorbimento dell’azoto da particolari funghi che vivono in contatto con le loro radici. Questo particolare da solo ci dimostra quanto i funghi, visibili o nascosti che siano, siano essenziali per l’esistenza delle foreste.

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    FUNGHI

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1.b.6 – Quali sono le caratteristiche degli animali?

12 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

pesce

          

Quali sono le caratteristiche degli animali?

Gli organismi pluricellulari si suddividono in funghi, piante e animali; questi ultimi sono quelli che per vivere devono nutrirsi di altri esseri viventi, come i funghi, ma sono, in genere, capaci di muoversi. Si stima che la comparsa dei primi animali risalga a circa 700 milioni di anni fa e che derivino tutti da un antenato comune; tale antenato doveva essere una complessa colonia di protisti simile forse alle attuali spugne, le cui cellule godevano ancora di notevole autonomia. Ancora oggi gli embrioni di tutti gli animali, compreso l’uomo, iniziano il loro sviluppo con una struttura di questo tipo, poi inizia il processo di differenziazione e specializzazione delle cellule che si suddividono in due o tre strati: interno, esterno ed intermedio, dai quali poi deriveranno tutti i nostri tessuti.
La costruzione del nostro corpo sembra ripercorrere la sua storia evolutiva; infatti, l’anatomia comparata, i resti fossili e i confronti genetici ci indicano che la maggior parte degli animali noti discendono da un comune antenato con il corpo suddiviso in tre strati di cellule principali: uno esterno protettivo, che nelle successive forme darà origine alla pelle, agli organi di senso ed al sistema nervoso; uno interno con funzioni digestive che poi darà origine a tutti gli organi dell’apparato digerente; uno intermedio dal quale deriveranno ossa, muscoli, sangue ed apparato genitale. Gli altri animali discendono da un altro ramo ancora più antico la cui struttura corporea si basa su due soli strati iniziali.
Questo antico antenato ha dato origine a numerose grandi famiglie quali: crostacei, molluschi, insetti, stelle marine e pesci.

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    ANATOMIA,  FOSSILI,  SPUGNE

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1.b.7 – Come si identificano i vertebrati?

13 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

colonna

          

Come si identificano i vertebrati?

I pesci appartengono ad un gruppo di animali caratterizzati da una conformazione fisica simmetrica rispetto ad un asse centrale; lungo tale asse è posta una struttura rigida, detta corda, che sostiene una muscolatura la quale a sua volta consente di nuotare in modo sinuoso. Nei pesci ed in tutti i loro discendenti la corda è costituita da una serie di anelli denominati vertebre; ne deriva il nuovo nome di colonna vertebrale e il nome del gruppo di animali che ne sono dotati, detti appunto vertebrati.
In un’epoca lontana, i pesci di acqua dolce hanno generato il gruppo degli anfibi. Anche i primi insetti raggiunsero la terraferma nello stesso periodo degli anfibi, cioè circa 400 milioni di anni or sono. Gli anfibi sono specializzati nella vita fuori dall’acqua, nella quale devono però tornare per riprodursi. Ancora oggi tutti gli anfibi cercano acqua dolce per deporre le uova e per dissetarsi, tollerando al massimo l’acqua salmastra.
Dagli anfibi discesero poi i rettili, i quali hanno sviluppato la capacità di deporre le uova sulla terraferma e perso quella di respirare nell’acqua, tanto che anche i rettili acquatici devono tornare in superficie per respirare e devono addirittura raggiungere la terraferma per deporre le uova.
Dai rettili, circa 200 milioni di anni fa, sono poi sorte in modo indipendente due grandi famiglie: gli uccelli e i mammiferi.
Gli uccelli si distinguono per avere il corpo ricoperto di piume e penne, nonché dall’avere due ali come arti anteriori che permettono a quasi tutte le specie di volare; i mammiferi invece hanno la pelle ricoperta di peli e sono prevalentemente animali terricoli o arboricoli; tutti nutrono i loro piccoli con il latte secreto dalle mammelle e da ciò deriva il loro nome.
Tutti i vertebrati presentano le seguenti caratteristiche: una colonna vertebrale con un cranio ad una delle estremità; un cervello contenuto e protetto dal cranio, nonché costole come sostegno per i muscoli e protezione degli organi interni; inoltre quasi tutti hanno una mandibola munita di denti, quattro arti e una coda. Dal punto di vista anatomico l’essere umano è dunque un tipico vertebrato ed in particolare un mammifero.

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LA SCHEDA
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1.b.8 – Le scimmie sono davvero nostri parenti stretti?

14 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

scimpanzé

          

Le scimmie sono davvero nostri parenti stretti?

Le scimmie sono un gruppo di mammiferi specializzato nella vita arboricola, quasi tutte le loro specie dunque vivono prevalentemente sugli alberi, conducono vita diurna ed hanno dieta onnivora; inoltre, cosa importantissima per comprendere la natura umana, quasi tutte vivono in branchi. Le scimmie hanno mani e piedi prensili per afferrare i rami degli alberi e spesso, nelle varietà americane, è prensile anche la coda. Le mani in particolare vengono usate per portare il cibo alla bocca, per la pulizia del pelo, per accudire i piccoli; alcune specie inoltre le usano per costruire dei ripari dalla pioggia, dei giacigli e alcuni semplici strumenti.
Ad un esame accurato, le scimmie presentano grandi somiglianze con gli uomini, sia dal punto di vista fisico, sia da quello comportamentale e non ci sono più dubbi che dalla famiglia delle scimmie antropomorfe, come gorilla e scimpanzé, è discesa, circa 6 milioni di anni fa, quella degli ominidi da cui deriva l’uomo attuale.

 

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Domenica 15 marzo 1309

15 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Ritter prostet mit Weinkrug und Tabakpfeife im MundIN ALTO I CALICI!

Oggi è festa nel Villaggio di Ofelon!

Le campane suonano per festeggiare i primi coloni.

A un mese dalla fondazione del Villaggio di Ofelon
oltre quattromila “viandanti telematici”
hanno assistito all’evento e visitano il Villaggio.
vi aspettiamo tutti con piena cittadinanza, muniti del vostro avatar,
per ampliare sempre di più la nostra tavola rotonda
in cui vogliamo confrontarci su temi importanti,
ma sempre divertendoci insieme
e fino a raggiungere risultati concreti
per un effettivo, diffuso e percepito miglioramento
della qualità della nostra vita.

Ofelon per tutti
e tutti per Ofelon!

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1.b.9 – Gli ominidi sono i nostri antenati?

16 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

utensile

          

Gli ominidi sono i nostri antenati?

Il gruppo degli ominidi iniziò la sua storia adattandosi ad una vita terricola, probabilmente a causa di un cambiamento climatico che portò al diradarsi della foresta in prossimità di alcuni grandi laghi africani. Il drastico cambiamento ambientale spinse delle scimmie antropomorfe dell’epoca ad adattarsi a una vita più terricola vista la scarsità di alberi. Esse non si ritirarono insieme alla foresta, forse per rimanere in prossimità dei laghi, dato che, con un clima sempre più arido, l’acqua era divenuta un bene sempre più prezioso. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che si adattarono ad una vita di tipo lacustre simile a quella degli ippopotami, mantenendo però la dieta onnivora delle scimmie.
Gli ominidi vengono suddivisi in due gruppi principali: il genere più antico degli australopitechi e il genere homo, comparso circa 2 milioni di anni fa, in cui viene incluso anche l’uomo attuale. Gli ominidi più recenti presentano una progressiva riduzione della sporgenza delle orbite oculari e della mandibola associata ad un incremento della produzione di utensili. È provato che l’homo erectus, una delle specie più antiche del genere homo, usava già il fuoco e quindi tale utilizzazione non è una scoperta della nostra specie.
Dall’homo erectus, circa 800 mila anni fa, si sviluppò l’homo antecessor il quale si diffuse in Africa, nel medio oriente e in Europa, dove a sua volta si differenziò in varie forme; circa 600 mila anni fa generò l’homo di heidelberg che poi divenne l’uomo di neanderthal; circa 200 mila anni fa, in Africa l’homo antecessor diede origine all’uomo attuale, definito homo sapiens. Tali forme erano considerate convenzionalmente specie differenti fino a poco tempo fa ma da dopo il 2005 grazie ai progressi della paleogenetica troviamo alcuni studi che invece suggeriscono si tratti di varianti della stessa specie.

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APPROFONDIMENTI
   AUSTRALOPITECHI,  HOMO ERECTUS,   UOMO DI NEANDERTHAL,  HOMO SAPIENS 

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1.b.10 – Qual è la collocazione cronologica dell’uomo nell’ambiente?

17 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

clessidra

          

Qual è la collocazione cronologica dell’uomo nell’ambiente?

Parlando della storia della vita abbiamo considerato periodi di tempo di milioni, di centinaia di milioni, oppure di miliardi di anni. Si tratta di periodi molto lontani dalla nostra percezione, difficili proprio da concepire ed è arduo dare loro il giusto peso. Cerchiamo di concretizzare il suddetto concetto con il seguente esempio:
80 anni circa di vita media dell’uomo;
5.000 anni circa di storia dell’uomo più o meno conosciuta;
200.000 anni circa di esistenza dell’uomo attuale (homo sapiens);
4.500.000.000 anni circa di vita del pianeta Terra.
Mettendo in colonna le suddette cifre si ha una prima percezione di quanto recentemente l’uomo sia comparso su questa terra, ma quanto tempo è quattromiliardi e cinquecentomilioni di anni? Si tratta di una cifra talmente grande da avere difficoltà anche nel leggerla; una cifra che sicuramente non riusciamo a percepire in rapporto alla nostra vita.
Per rendere più comprensibili i tempi dell’evoluzione del nostro pianeta, si può fare un curioso gioco che consiste nel rapportare la vita della Terra a un giorno, cioè all’unità di misura che più ci è familiare:

ore 00:00 formazione del pianeta Terra;
ore 05:40 circa: comparsa delle prime forme di vita;
ore 16:00 circa: comparsa dei primi protisti;
ore 20:00 circa: comparsa dei primi animali acquatici;
ore 22:00 circa: comparsa dei primi animali terrestri;
ore 23:00 circa: comparsa dei primi mammiferi;
ore 23:40 circa: comparsa delle prime proscimmie;
ore 23:53 circa: comparsa delle prime scimmie antropomorfe;
ore 23:58 circa: comparsa dei primi ominidi;
ore 23:59:54 circa: comparsa dell’homo sapiens;
ore 23:59:59:94 circa: nascita di Cristo;
ore 24:00 oggi.

Prima di questo gioco, sicuramente nessuno di noi avrebbe ipotizzato che la preistoria è iniziata circa sei secondi prima della mezzanotte e che l’era “dopo Cristo” degli attuali calendari costituisce una piccola frazione in centesimi di secondo.
Tutta l’esistenza dell’umanità è solo un battito di ciglia rispetto alla storia della Terra e l’era moderna è a sua volta solo una millesima parte della storia umana.

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   WILLARD FRANK LIBBY   stella 

Cronologia della terra

CONCETTI IN PILLOLE
libro1   n. 3 – CRONOLOGIA DELLA TERRA

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1.b.11 – Qual è la collocazione astronomica dell’ambiente dell’uomo?

18 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

universo

          

Qual è la collocazione astronomica dell’ambiente dell’uomo?

L’uomo dunque, per un microscopico periodo, vive e interagisce con il circostante ambiente del pianeta Terra, ma questo a sua volta si inserisce in sistemi molto più grandi:
– il pianeta Terra è posizionato nel sistema solare, cioè in un insieme di corpi celesti che subiscono l’attrazione gravitazionale del Sole. Nel sistema solare si trovano otto pianeti con i rispettivi satelliti, qualche decina di migliaia di asteroidi, un numero enorme di comete e innumerevoli meteoriti;
– il sistema solare si trova, insieme ad almeno altri 200 miliardi di stelle, nella galassia della Via Lattea;
– la Via Lattea, unitamente ad almeno altre trenta galassie, costituisce un insieme definito Gruppo Locale. Tale definizione appare bizzarra in relazione alle smisurate dimensioni di tale gruppo, ma è invece significativa rispetto all’immensità dell’Universo.
La cosmologia è la scienza che cerca di comprendere l’Universo nel suo insieme, con la più ampia scala possibile. Gli sviluppi della fisica e dell’astronomia, nonché le tecnologie sempre più avanzate, permettono di ampliare sempre di più l’orizzonte cosmico, ma quanto attualmente conosciuto è già più che sufficiente per avere consapevolezza di come l’ambiente dell’uomo, cioè il pianeta Terra, sia praticamente un granello di polvere nell’immensità del Cosmo.

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httpv://www.youtube.com/watch?v=kMqFUg8S1_0 
 
APPROFONDIMENTI
    COSMOLOGIA,  GALASSIA,  SISTEMA SOLARE,  UNIVERSO 

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   MIKOLAJ KOPERNIK    stella stella stella stellaCollocazione della Terra

CONCETTI IN PILLOLE
    n. 4  –  COLLOCAZIONE DELLA TERRA
 

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Capitolo 1.c

19 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

                                

LA NATURA DELL’UOMO

Guardiamoci dentro; impegniamoci ad applicare le nozioni acquisite per comprendere la natura dell’essere umano.
Si tratta di un tema a cui normalmente si conferisce una valenza di insuperabile complessità, se non di misticismo, la quale scoraggia qualunque soluzione o addirittura spaventa. Per tranquillizzare gli animi e semplificare il lavoro, si devono necessariamente apprendere delle cognizioni inerenti alle strategie evolutive, con particolare riferimento a quelle risultate vincenti e proprie dell’uomo.

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CONCETTI IN MUSICA
   LITFIBA – VIVERE IL MIO TEMPO
 

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1.c.1 – Cosa sono le strategie evolutive?

20 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

 

canguro

         

Cosa sono le strategie evolutive?

Gli esseri viventi si adattano all’ambiente in cui vivono per soddisfare le loro esigenze di sopravvivenza. Tali esigenze possono essere viste come dei problemi da risolvere, problemi la cui soluzione sta in una risposta di adattamento, cioè nello sviluppo di opportune strategie di sopravvivenza attraverso l’evoluzione biologica.
Fra le fondamentali strategie evolutive, bisogna ricordare le seguenti: la simbiosi, il gruppo, la specializzazione e la sessualità.

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ALTRI ESEMPI
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1.c.2 – La simbiosi è un’importante strategia evolutiva?

21 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

lichene

         

La simbiosi è un’importante strategia evolutiva?

Quando degli esemplari di due specie diverse vivono a stretto contatto per ricavarne un beneficio reciproco, si realizza un fenomeno di fondamentale importanza definito simbiosi. Tale relazione è a volte così stretta che i due esemplari arrivano a formare un unico organismo; è il caso dei licheni, che sono organismi dati dalla fusione di un fungo con una colonia di alghe unicellulari; il fungo fornisce alle alghe nutrimento di acqua e sali minerali, nonché sostegno per una migliore illuminazione ed aerazione, mentre le alghe a loro volta nutrono il fungo con le molecole organiche prodotte mediante la fotosintesi.
Un esempio di simbiosi nel mondo animale è dato dal piviere egiziano e dal coccodrillo del Nilo: il piviere è un uccello che si nutre ripulendo i denti del coccodrillo dai fastidiosi residui di cibo, ottenendo in cambio protezione e cibo.
Gli esempi di simbiosi sono molto numerosi ed alcuni di essi hanno ottenuto un grande successo; basti ricordare la simbiosi fra le piante ed i funghi presenti nelle loro radici che permette alle piante l’assorbimento del fosforo e dell’azoto, indispensabili al loro metabolismo, mentre consente ai funghi di nutrirsi con una parte della linfa delle piante stesse.
La simbiosi risulta essere una delle strategie evolutive più antiche. Si è visto come uno dei passaggi fondamentali nell’evoluzione degli esseri viventi sia dato dalla comparsa dei protisti, cioè di organismi che si distinguono dai batteri per una struttura interna molto più complessa. Tale struttura è formata da un nucleo centrale che si unisce ad altre parti, isolate da membrane interne e quindi ben distinte, le quali, svolgendo funzioni specifiche, rappresentano dei veri e propri organi interni. Alcuni di questi organi, i mitocondri, hanno al loro interno una propria molecola di DNA, quindi un proprio patrimonio genetico che ne rivela la vera natura: essi sono i discendenti di antichi batteri in grado di utilizzare i prodotti di scarto di altre reazioni chimiche cellulari per nutrirsi e ricavare l’energia necessaria alla vita; tutto ciò con una efficienza molto maggiore di quella della cellula che li ospita. Con il tempo tali batteri sono diventati le centrali energetiche della cellula, ricavandone in cambio una costante e sicura fonte di nutrimento.
Una situazione analoga si ha nel caso dei cloroplasti presenti nelle cellule di tutte le piante: essi sono l’evoluzione di antichi batteri in grado di realizzare la fotosintesi.
E’ di fondamentale importanza sapere che i mitocondri sono peraltro presenti nelle cellule di tutti gli animali e quindi anche nell’uomo.
Si tratta dunque di una strategia simbiotica che ha portato al successo evolutivo dei protisti.
L’ipotesi della creazione di nuove forme di vita attraverso la fusione di specie diverse è detta simbiogenesi ed è ormai chiaro che essa ha svolto un ruolo molto importante nell’evoluzione, in quanto ha permesso di combinare le capacità sviluppate e perfezionate da specie di batteri diverse, come l’uso della luce solare e dell’ossigeno quale fonte di energia, con quelle di movimento autonomo proprie delle cellule complesse. In questo modo furono colte possibilità di sopravvivenza altrimenti impensabili.
La simbiosi può sembrare una strategia di sopravvivenza lontana dalla vita degli esseri umani, ma la realtà è ben diversa. Per esempio, nell’intestino umano, come in quello di tanti altri animali, sono presenti colonie di batteri che ci aiutano nella digestione e nella difesa da infezioni in cambio di un sicuro e facile nutrimento. Il numero di tali batteri ci dà la portata del fenomeno: se ne conoscono oltre 400 specie diverse.
Bisogna inoltre ricordare che ogni cellula del corpo umano, come quelle di tutti gli animali, contiene un grande numero di mitocondri ed è quindi a sua volta un organismo simbiotico. La simbiosi risulta dunque fondamentale per la nostra vita.

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    CLOROPLASTI,  LICHENI,  MITOCONDRI,  SIMBIOSI

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    LYNN MARGULIS

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1.c.3 – A cosa serve riunirsi in gruppo?

22 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

branco

         

A cosa serve riunirsi in gruppo?

Un vecchio e noto proverbio ci dice che l’unione fa la forza. Questo principio è stato sfruttato non solo con la simbiosi di specie diverse, ma anche con le alleanze e le convivenze fra membri della stessa specie. Questi, invece di vivere isolati, possono infatti riunirsi in gruppi numerosi con molteplici vantaggi: in gruppo i predatori possono accerchiare la preda; le prede in branco possono difendersi meglio dai predatori; insieme si possono svolgere attività altrimenti impossibili, per esempio le formiche possono costruire grandiosi formicai solo grazie alla collaborazione.
Anche la strategia del gruppo è molto antica e, come nel caso della simbiosi, può essere così estrema da portare alla formazione di un unico organismo; è quanto sembra essere successo ai primi esseri pluricellulari, discendenti da colonie di organismi unicellulari così strettamente legati al loro gruppo da non poter vivere senza di esso.

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1.c.4 – Qual è l’utilità della specializzazione?

23 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

chirurgo

         

Qual è l’utilità della specializzazione?

Le specie che convivono in un dato ambiente possono essere tutte viste come una grande e numerosa comunità che cerca di sfruttare tutte le risorse possibili al fine di perpetuare la vita.
Dato che la stessa struttura non può essere adatta per tutte le applicazioni, per sfruttare al meglio le varie risorse, come possono essere le varie fonti di nutrimento, è stato necessario generare una varietà crescente di specie, ognuna specializzata nel condurre un particolare stile di vita che sfrutta particolari risorse o favorevoli condizioni. In questa comunità di specie, detta ecosistema, ogni forma di vita svolge quindi un particolare ruolo, come un attore in una recita teatrale. Sopravvivere significa dunque ottenere una parte in questa recita, trovare un posto fra i ruoli disponibili; tale posto viene spesso definito come nicchia ecologica.
Un fenomeno analogo accade nelle comunità formate da una singola specie, in quanto, al fine di utilizzare al meglio tutte le possibilità di sopravvivenza per il gruppo, si formano dentro di esso delle popolazioni specializzate nello svolgere una data attività. Prendendo ad esempio un formicaio, vi troviamo formiche operaie, formiche guerriere e il re e la regina destinati alla riproduzione.
Lo stesso processo si è sviluppato con i primi esseri pluricellulari, le cui cellule si sono specializzate formando tessuti diversi. La grande complessità anatomica dell’uomo e degli altri animali è quindi dovuta al fenomeno della specializzazione.

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1.c.5 – La sessualità comporta un rimescolamento genetico?

24 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

 

famiglia

         

La sessualità comporta un rimescolamento genetico?

La sessualità è una strategia che consente di riutilizzare i geni già disponibili mediante una differente associazione. Il risultato è simile a quello di una serie di mutazioni, ma che si verificano regolarmente in ogni atto riproduttivo. Il vantaggio può essere insignificante per il singolo individuo, ma è di fondamentale importanza per la specie e la sua futura evoluzione: con l’accoppiamento avviene la fecondazione dell’ovulo della madre nel quale i geni della stessa si ricombinano con quelli del padre; in questo modo i discendenti di un esemplare avranno la possibilità di sfruttare anche le mutazioni positive provenienti dall’altro genitore, riunendo così i vantaggi evolutivi derivanti da fonti diverse; con tale procedimento si ottiene qualcosa di analogo a ciò che la simbiosi realizza unendo capacità diverse di specie differenti. Le nuove combinazioni possono però essere anche negative e, affinché si diffondano solo quelle positive, è necessario l’intervento della selezione naturale. Considerazioni simili sono state fatte anche parlando del fenomeno delle mutazioni ma, a differenza di questo, che è lentissimo poiché basato su eventi rari, il fenomeno della riproduzione sessuata crea un gran numero di nuove combinazioni ad ogni nuova nascita e quindi genera una quantità di varianti molto maggiore. Il risultato di tale fenomeno è una capacità ed una velocità di adattamento molto maggiore e ciò costituisce il grande vantaggio evolutivo della sessualità: non è un caso che praticamente tutti gli animali e le piante che osserviamo direttamente attorno a noi utilizzino questa tecnica.
Al fenomeno della sessualità si unisce quello della specializzazione e ciò comporta che nella riproduzione i due genitori svolgano ruoli diversi; dato che per svolgere ruoli diversi sono necessarie caratteristiche diverse, l’evoluzione ha portato alla creazione di due tipi di sesso: maschio e femmina.
Pare che siano stati addirittura i protisti, cioè i primi esseri unicellulari dotati di nucleo e organi interni, a sviluppare la sessualità e da allora tale strategia non è stata più abbandonata. Da una maggiore capacità e velocità di adattamento è conseguita una maggiore velocità dell’evoluzione e della diversificazione.
La comparsa dei primi esseri unicellulari con riproduzione sessuata è avvenuta circa un miliardo e mezzo di anni fa e ciò corrisponde, come abbiamo visto, alle ore 16:00 del nostro giorno evolutivo. Prima di allora si erano sviluppati solo i batteri, i quali si riproducono per scissione, cioè in modo asessuato; l’evoluzione, per quasi tre quarti della storia della Terra, ha prodotto dunque solo i batteri, mentre con l’avvento dei primi protisti, nell’ultimo quarto o poco più, si sono sviluppate tutte le forme che conosciamo, nonché quelle estinte. Questa incredibile accelerazione è dovuta presumibilmente allo sviluppo della sessualità. È quindi lecito ipotizzare che l’evoluzione abbia una naturale tendenza, per quanto irregolare e legata ad eventi casuali, sia all’aumento della capacità di adattamento intesa come produzione di variazioni individuali, sia all’aumento della velocità di adattamento intesa come produzione di nuove specie.

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1.c.6 – L’uovo è una navicella biologica?

25 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

uova

         

L’uovo è una navicella biologica?

A volte accade che degli organismi viventi si trovino nella necessità di dover colonizzare un ambiente profondamente diverso da quello originario, tanto da risultare proibitivo per la sopravvivenza. Spesso non vi sono alternative alla morte, ma alcune specie sono invece riuscite nell’impresa grazie ad una strategia semplice, ma ingegnosa: creare una protezione attorno a sé, una sorta di involucro dentro il quale conservare o riprodurre una porzione dell’ambiente originario.
Questo è quanto hanno fatto i vertebrati passando dagli oceani alla terraferma; la loro pelle divenne infatti un involucro impermeabile che impedì una rapida disidratazione e che conservò al suo interno un ambiente favorevole alla vita delle proprie cellule. Ancora oggi le concentrazioni saline nel sangue e in altri fluidi corporei dei mammiferi, come il sudore e le lacrime, sono assai simili a quelle dell’oceano, cioè a quell’ambiente che è stato la nostra prima culla, che abbiamo abbandonato circa 400 milioni di anni fa, ma che ancora portiamo dentro di noi.
La stessa strategia è stata usata per consentire lo sviluppo della loro prole: le uova dei rettili e degli uccelli, nonché l’utero dei mammiferi, riproducono l’acquosità, la spinta idrostatica e la salinità dell’acqua originaria.
Questa tecnica è forse la più antica di tutte, si presume infatti che dentro la membrana cellulare dei batteri, come dentro il nucleo delle cellule più complesse, si riproduca un ambiente simile a quello in cui è nata la vita.
Si tratta di una tecnica semplice, essenziale e antichissima, ma che rimane sempre valida; è in effetti la stessa che utilizziamo anche noi uomini quando costruiamo sommergibili e navicelle spaziali, che sono dei grandi contenitori di una porzione di ambiente terrestre, con aria respirabile e temperatura controllata, grazie ai quali possiamo viaggiare in ambienti per noi inabitabili.

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1.c.7 – Percezione e reazione: una sequenza importante?

26 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

percezione

         

Percezione e reazione: una sequenza importante?

Anche vivendo sempre nello stesso ambiente, ci si può ritrovare in situazioni molto diverse: dal giorno si passa alla notte e viceversa; dal caldo si passa al freddo; dalla siccità alle piogge; dall’isolamento alla compagnia e da predatori si può diventare prede. La vita dipende da questi mutamenti ambientali e tutti gli organismi, in qualche modo, reagiscono a questi stimoli. Per reazione si intende dunque la realizzazione di un cambiamento; tale cambiamento può essere fisiologico, come la reazione del sistema immunitario in presenza di un’infezione, o comportamentale, come una rapida fuga in presenza di un predatore. Quando uno stimolo del mondo esterno provoca una conseguente reazione, si può affermare che lo stimolo è stato percepito; è stato cioè in qualche modo ricevuto un dato segnale che ha attivato una risposta.
Data l’evidente e vitale importanza di tale processo, risulta immediatamente comprensibile come, nel corso dell’evoluzione, si sia sviluppata una miriade di sistemi per percepire ogni sorta di stimoli e per rispondere ad essi con una pronta reazione.
Gli esseri unicellulari sono già in grado di reagire ad una grande varietà di stimoli chimici e fisici; ad esempio, quando vengono a contatto con sostanze nutrienti, essi producono gli enzimi necessari al loro assorbimento.
Anche le piante sono sensibili a vari tipi di stimoli chimici e fisici; la loro attività ad esempio cambia dal giorno, durante il quale producono le sostanze di cui necessitano mediante la fotosintesi, alla notte durante la quale tale attività si interrompe. Sono peraltro in grado di fare molto di più: è stato accertato che, in presenza di una invasione di parassiti, alcune piante non solo hanno una reazione chimica di difesa, ma emettono nell’aria delle sostanze che, percepite dalle altre piante, attivano le rispettive difese permettendo loro di anticipare l’attacco. Si tratta quindi di una vera e propria comunicazione chimica costituita da stimoli e opportune reazioni.
Nel mondo animale, dove è necessario individuare una preda o un predatore per sopravvivere, il maggiore bisogno di percepire e reagire ha portato alla formazione degli organi di senso e del sistema nervoso. Grazie agli organi specializzati nella percezione di determinati stimoli, gli animali riescono ad individuare le loro prede o i loro predatori, avvertono la presenza di propri simili e tante altre cose ancora. Assai presto nella loro storia, gli animali hanno sviluppato un sistema per gestire la mole di informazioni provenienti dai loro sensi e per darne una interpretazione globale: si tratta del sistema nervoso, il quale è formato dai neuroni, cioè da cellule molto specializzate in grado di trasmettere l’una all’altra dei segnali elettrochimici ad alta velocità.
I neuroni formano nell’organismo veri e propri canali di comunicazione attraverso i quali gli stimoli percepiti dai sensi vengono trasmessi al cervello, cioè ad una sorta di centrale di coordinamento che stabilisce la reazione più opportuna. Quest’ultima, in alcuni casi, può necessariamente comportare un dato movimento.
Il cervello gestisce dunque le sensazioni e guida di conseguenza i movimenti dell’organismo, ma svolge anche molte altre funzioni; fra queste, due sono di fondamentale importanza: la memoria e l’apprendimento.

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1.c.8 – Memoria e apprendimento sono strategie evolutive?

27 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

elefanti

         

Memoria e apprendimento sono strategie evolutive?

Grazie alla memoria il cervello è in grado di riconoscere sensazioni già provate e di accumulare esperienza; davanti ad un problema nuovo ogni animale può infatti reagire con azioni generiche, scoordinate e casuali, ma certamente si ricorderà di quella che più si è rivelata efficace; in una successiva ed analoga situazione, tale ricordo permetterà di risparmiare tempo e fatica. Siamo di fronte ad una nuova forma di adattamento; dopo l’adattamento genetico, che richiede un gran numero di generazioni, ci troviamo ora a considerare l’adattamento intellettuale, il quale, anche se limitato a un singolo individuo e conseguente a un periodo di apprendistato, offre dei grandi vantaggi: grazie alla memoria e all’apprendimento gli animali possono sviluppare un grandissimo numero di reazioni specifiche che gli consentono di nuotare, correre, arrampicarsi, volare, cacciare, costruire tane e tante altre cose ancora da fare al momento opportuno.
Queste facoltà del cervello, già presenti nei vermi piatti marini, che sono un gruppo piuttosto arcaico, probabilmente si sono sviluppate per imparare a muoversi sull’irregolare fondo marino, ma sappiamo che sono alla base di importantissimi sviluppi futuri. Tali facoltà, che si possono riassumere nel termine intelligenza, sono state mantenute in tutti i principali gruppi che si sono evoluti successivamente e ciò comprova la loro importanza e versatilità.
Queste strategie, magari con piccole modifiche, hanno permesso la colonizzazione di una grande varietà di ambienti. Tale brillante risultato è detto successo evolutivo.
Consideriamo ora le strategie che hanno portato al successo evolutivo in particolar modo la nostra specie.

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1.c.9 – La manipolazione è fondamentale per l’uomo?

28 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

mani

         

La manipolazione è fondamentale per l’uomo?

Le mani e le braccia sono strutture molto più antiche di noi, tant’è che sono presenti già negli anfibi in forma quasi identica. Esse sono un perfetto esempio di preadattamento a diverse funzionalità: se nei primi anfibi erano un semplice punto di appoggio, nelle successive forme arboricole lo spostamento e la mobilità del pollice le hanno rese capaci di afferrare i rami in modo da potersi arrampicare. Tutti i mammiferi arboricoli sono in grado di usare le mani in questo modo, ma alcuni di essi hanno trovato anche altri usi: gli scoiattoli le usano per portare il cibo alla bocca, le scimmie le usano anche per la pulizia del corpo e per accudire la prole ed infine le scimmie antropomorfe le usano pure per costruire ripari e piccoli strumenti. Ciò è stato possibile grazie ad una sempre maggiore mobilità e coordinazione delle dita ed in particolare del pollice, il quale ha subito un’evoluzione che lo ha reso in grado di opporsi con precisione alla punta dell’indice.
La capacità di manipolare oggetti si è sviluppata ulteriormente nell’uomo, le cui mani hanno una forma più quadrata e meno allungata rispetto alle scimmie a lui più vicine; in questo modo il pollice dell’uomo può raggiungere facilmente e con grande velocità la punta di ogni dito e ciò dimostra come lo scopo principale delle mani non sia più quello di aggrapparsi ai rami. Il numero e la raffinatezza degli strumenti costruiti ed usati dalle mani dell’uomo è diventato incalcolabile, tanto che la sua caratteristica più evidente è forse proprio quella di essere un manipolatore di oggetti. L’importanza di tale facoltà nella nostra vita è di tutta evidenza.

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1.c.10 – La socializzazione si riscontra in tutte le attività dell’uomo?

29 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

operai

         

La socializzazione si riscontra in tutte le attività principali dell’uomo?

La socializzazione è una variante della strategia del gruppo che consente ai membri della comunità di mantenere una propria autonomia di movimento. Si tratta di una strategia molto comune fra i mammiferi e quasi universalmente usata dalle scimmie; ad essa è dunque legato il successo evolutivo di molti mammiferi e in particolare quello dell’uomo, il quale non solo l’ha ereditata, ma l’ha anche ulteriormente sviluppata.
Senza un particolare addestramento, un uomo abbandonato da solo in una foresta o in una prateria ha minori possibilità di sopravvivenza rispetto a una scimmia isolata nel suo ambiente. Ciò dimostra un grado di dipendenza maggiore rispetto al gruppo, cioè la necessità di una socializzazione articolata.
Le comunità umane, specie quelle più recenti, presentano inoltre un alto livello di specializzazione con un elevato numero di sottogruppi che si dedicano a particolari attività (operai, medici, insegnanti, ecc.). Anche questo è tipico dei gruppi in cui il legame fra i membri è strettissimo.
L’uomo, un insieme di organi specializzati e interagenti, a loro volta costituiti da cellule simbiotiche, ha dunque la necessità di sfruttare ancora i fenomeni del gruppo e della specializzazione nelle proprie organizzazioni sociali.
È qui opportuno notare che tutte le attività principali dell’uomo quali il lavoro, la protezione, la ricerca del cibo, ecc., avvengono attraverso una qualche forma di collaborazione e quindi mediante un contatto sociale. L’antico branco di scimmie si è dunque evoluto allargandosi, specializzandosi e complicandosi fino a livelli mai visti prima fra i mammiferi e forse in tutto il regno animale. Un tale sviluppo, che storicamente procede di pari passo con l’espansione demografica dell’essere umano, è sicuramente una delle basi del suo successo evolutivo.

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1.c.11 – La parola è la prima pietra della cultura umana?

30 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

 

libri

         

La parola è la prima pietra della cultura umana?

Per coordinare le attività in una società così complessa come quella umana è necessario un efficiente sistema di comunicazione.
Oggi sappiamo che i nostri movimenti sono coordinati da un complesso sistema di comunicazione interna che è il sistema nervoso, le cui cellule utilizzano un complesso linguaggio elettrochimico. Analogamente gli esseri umani usano un complesso linguaggio fatto di gesti, di espressioni facciali e soprattutto di parole. Anche in questo caso si tratta di una evoluzione del linguaggio usato dalle scimmie, le quali utilizzano sia segnali visivi che sonori e, come visto in precedenza per il gruppo, pure la complessità del linguaggio è aumentata notevolmente, soprattutto riguardo i segnali sonori.
Noi umani abbiamo in pratica un suono diverso per indicare ogni tipo di oggetto e di azione che riusciamo a concepire: le parole. Riusciamo a realizzare un tale miracolo, grazie a delle opportune modifiche dell’apparato vocale affinato dall’evoluzione, tanto da riuscire a modulare ed articolare un enorme numero di suoni ad elevata velocità. Le parole vengono poi associate fra loro per esprimere dei concetti più complessi e ciò secondo regole convenzionali assai intricate, dette regole grammaticali e sintattiche.
Un simile sforzo evolutivo ed intellettuale porta a delle eccezionali capacità di comunicazione, consente di affinare delle facoltà fuori dal comune nel mondo animale, scimmie comprese, facoltà che vanno oltre la necessità di gestire delle pubbliche relazioni: devono dunque essere state sviluppate per un altro scopo.
La parola consente la comunicazione di concetti complessi e ciò, se può risultare superfluo ai fini della socializzazione, è invece indispensabile nelle attività lavorative specializzate che, come abbiamo visto, rappresentano una irrinunciabile e vincente peculiarità dell’essere umano.
Lo scopo a cui si accennava prima è dunque dato dalla formazione e dalla trasmissione della cultura, cioè dell’insieme delle conoscenze che tendono ad aumentare e a divenire sempre più complesse.

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1.c.12 – Il patrimonio culturale è un’integrazione di quello genetico?

31 Marzo 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

bicicletta

         

Il patrimonio culturale è un’integrazione di quello genetico?

In natura si possono osservare tre tipi di comportamenti:
a) comportamenti innati, come il pianto dei neonati o il loro attaccamento al seno materno;
b) comportamenti scoperti, ovvero tutto ciò che si apprende per esperienza diretta, come la capacità di mantenere l’equilibrio;
c) comportamenti culturali, che vengono appresi da altri, sia per imitazione, sia per insegnamento.
Un comportamento scoperto per esperienza diretta può essere trasmesso ad altri culturalmente. La cultura, basata pertanto sull’esperienza altrui, permette all’apprendimento di superare i limiti dell’esperienza personale.
La trasmissione per via culturale delle conoscenze utili alla sopravvivenza è una strategia molto usata dai mammiferi, i quali passano molto tempo ad accudire la prole e ad insegnarle quanto necessario.
A questo punto è importante notare come il patrimonio culturale presenti molte affinità con il patrimonio genetico:
• da esso dipende la sopravvivenza
• è ereditabile
• subisce mutazioni
• è soggetto alla selezione naturale
• contribuisce all’adattamento ambientale grazie a comportamenti adeguati
• si evolve nel tempo.
Il patrimonio culturale, visto il suo contributo alla sopravvivenza, può essere allora ragionevolmente considerato come una integrazione di quello genetico.
È bene però ricordare che fra tali patrimoni vi sono anche alcune notevoli differenze:
• la cultura non è innata; necessita di un periodo di apprendimento; in caso di morte prematura dei genitori può anche andare persa; tuttavia gli animali sociali possono apprendere anche dagli altri membri del branco, compensando così la perdita dei genitori
• una nuova scoperta può essere trasmessa a tutta la comunità e non solo alla propria prole
• un singolo individuo non può modificare il proprio patrimonio genetico, ma può cambiare il proprio patrimonio culturale e può farlo più volte, dando luogo ad una forma di evoluzione individuale
Queste caratteristiche consentono all’evoluzione culturale una velocità di adattamento impensabile per quella genetica; una mutazione può infatti diffondersi a tutto il branco nell’arco di una sola generazione.
L’uomo, grazie alla parola e al cervello in grado di usarla, è in grado di trasmettere esperienze e conoscenze in modo estremamente dettagliato ed efficace. Il grande numero di abitanti nelle comunità umane consente inoltre all’uomo di gestire un patrimonio culturale enorme e ciò ancora grazie al fenomeno della specializzazione, che nelle società umane si presenta non sotto forma fisica, ma culturale: una formica guerriera è fisicamente diversa da una operaia e le si distingue facilmente anche ad occhio nudo, invece non c’è modo di distinguere un avvocato da un medico fino a che non li vediamo all’opera.
Abbiamo già appurato che il successo evolutivo dell’uomo si fonda sulla sua abilità nell’usare ogni sorta di strumento che lui stesso costruisce, ovvero sulla tecnologia, nonché su una società molto numerosa e specializzata; questi pilastri però poggiano a loro volta sulla piattaforma della cultura, che risulta allora essere la base primaria del successo evolutivo dell’uomo.

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httpv://www.youtube.com/watch?v=wwfjLwaUZBQ&feature=share

 

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 CONCETTI IN PILLOLE
 pillola   n. 5  –  IL PATRIMONIO CULTURALE                               Il patrimonio culturale

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