Guardiamoci intorno; osserviamo l’ambiente, con tutti i fantastici animali che ci affiancano nel meraviglioso viaggio della vita e poi cerchiamo di capire il ruolo dell’uomo nella complessa giostra della natura.
Per riuscire nell’intento, è necessario avere delle nozioni di base sul concetto di specie biologica e sulla teoria dell’evoluzione, per poi soffermarsi a riflettere con maggiore cognizione di causa sulla natura dell’essere umano.
CONCETTI IN MUSICA
LINDA – ARIA, SOLE, TERRA E MARE
Il termine specie è sinonimo di varietà, di genere, di tipo, ma in biologia ha assunto un significato tecnico preciso e di fondamentale importanza, tanto da divenire uno dei concetti base della biologia moderna.
Gli uomini vedono vivere attorno a loro tante varietà di animali e possono osservare che tali animali generano figli del loro stesso tipo unendosi con i propri simili; i cavalli generano altri cavalli, i cani altri cani, ecc., proprio come gli uomini generano altri uomini.
Le piante, gli animali e gli uomini che muoiono vengono dunque rimpiazzati dai nuovi nati, generazione dopo generazione, in un ciclo senza fine che, come il ciclo delle stagioni, si ripete sempre uguale a sé stesso, formando un quadro estremamente stabile.
Ogni forma di vita appare pertanto come una manifestazione delle tante e immutabili leggi della natura, le quali formano un contesto armonioso e rassicurante; sopportiamo con pazienza ogni inverno sapendo che poi immancabilmente arriverà la primavera, così come dopo la notte spunterà un nuovo giorno, dopo un temporale tornerà il sereno, ecc.; la ripetitività degli eventi infonde dunque sicurezza nella misura in cui consente di prevedere che i disagi prima o poi certamente finiranno e le cose buone torneranno.
Allo stesso modo si può osservare che unioni miste (fra generi diversi) non avvengono o comunque non generano figli; tuttavia, considerando per esempio le varietà domestiche, talvolta questo accade: se osserviamo le numerose razze di cani, potremo infatti notare come queste abbiano la possibilità di incrociarsi; due gruppi di cani di razza diversa, posti nello stesso recinto, formano coppie miste che generano cuccioli con caratteristiche fisiche miste. Una volta cresciuti, tali cuccioli formeranno anch’essi delle coppie, si uniranno sia fra loro, sia con i gruppi di partenza e dopo varie generazioni i caratteri peculiari di una razza saranno presenti anche nei discendenti dell’altra e viceversa, non vi saranno più due gruppi distinguibili per il loro aspetto, ma un unico gruppo nato dalla fusione dei primi due; allevando insieme piccioni e galline invece questo non avviene. Lo stesso fenomeno accadrebbe anche in una foresta o in un altro ambiente naturale in presenza di varietà diverse con possibilità di incroci nella riproduzione.
Chiamando razze le varietà con possibilità di fusione e specie le altre, possiamo dunque affermare che nello stesso ambiente non possono coesistere a lungo due o più razze diverse, perché le stesse tendono a combinarsi dando origine ad un genere unico. In un singolo ambiente naturale troviamo pertanto solo specie diverse, le quali si distinguono dalle razze per la loro incapacità di fondersi, a prescindere dall’aspetto delle caratteristiche fisiche; questa è una regola generale valida per definizione per tutte le specie di animali che vediamo attorno a noi; esse sono separate da un punto di vista riproduttivo, sono mantenute distinte dalla natura e quindi non è solo una questione di aspetto esteriore o una semplice convenzione umana.
La stabile ripetitività delle specie, sia animali che vegetali, è resa possibile dall’isolamento riproduttivo, per questo motivo la biologia basa il concetto di specie proprio sulla capacità riproduttiva.
Denominando pertanto come cavallo un dato animale di riferimento, risulteranno cavalli tutti gli animali in grado di accoppiarsi con esso (o come esso se dello stesso sesso) per generare altri cavalli a loro volta in grado di ripetere il ciclo riproduttivo. Rimangono esclusi tutti gli altri animali, compresi gli asini che con i cavalli generano solo prole sterile.
Mantenendo l’esempio delle numerose razze di cani, spesso se ne trovano alcune con enormi differenze fisiche, ma per continuare ad esistere in modo distinto devono essere tenute separate, altrimenti si fonderebbero. L’esistenza in natura di razze diverse della stessa specie è pertanto dovuta al fatto che tali razze vivono in regioni distinte, separate da una lunga distanza, da una catena montuosa oppure dal mare, così come le razze domestiche sono tenute separate in diversi allevamenti o da un semplice recinto.
Dato che al concetto di specie è legato quello di stabilità, di immutabilità nel susseguirsi delle generazioni, si può comprendere la difficoltà, anche in assenza di dogmi religiosi, ad accettare l’idea che le varie forme di vita possano mutare nel tempo.
PALCO D’ONORE
CARL VON LINNE’
La moderna teoria dell’evoluzione afferma che, con il trascorrere di molte migliaia di anni, le specie dei viventi possono cambiare e dare origine a nuove specie; quindi nega che le specie siano fisse e immutabili come appare dall’esperienza comune.
Tali mutamenti sono però così lenti da risultare percepibili solo nell’arco di alcuni millenni e quindi, in simili intervalli di tempo, le specie possono quasi sempre essere considerate fisse ed immutabili come appaiono nella vita di tutti i giorni. La immutabilità delle specie viene dunque considerata come un concetto valido, ma relativo, limitando la sua validità ad alcuni secoli o millenni, cioè in periodi che vanno oltre la vita di decine di generazioni successive di uomini, i quali, né per esperienza tramandata dai propri avi, né tanto meno per esperienza diretta, avranno percezione di tali mutamenti.
La formazione di una nuova specie si ha quando, fra i numerosi cambiamenti che si accumulano nel tempo, ne compare uno che impedisce l’incrocio con la specie originaria.
L’attuale teoria dell’evoluzione poggia su due pilastri, due fenomeni entrambi necessari affinché si verifichi l’evoluzione delle specie: la selezione naturale e la mutazione genetica.
APPROFONDIMENTI
EVOLUZIONE DELLE SPECIE
PALCO D’ONORE
JEAN-BAPTISTE DE LAMARCK
Per capire il concetto della selezione naturale bisogna innanzi tutto osservare che, al pari degli esseri umani, gli esemplari di una specie animale presentano numerose caratteristiche individuali e quindi non sono perfettamente uguali fra loro. Gli elementi in comune sono distintivi della specie, gli altri sono distintivi dell’esemplare (per esempio, fra gli equini, il pelame bianco con strisce nere caratterizza la specie delle zebre, ma due zebre possono distinguersi per la diversa altezza, la diversa robustezza, la diversa qualità della dentatura, ecc.). Un altro fenomeno fondamentale e facilmente osservabile è che alcuni dei tratti individuali vengono ereditati dai figli.
La variabilità dei connotati individuali e la loro ereditarietà sono fatti oggettivi da sempre sfruttati dagli allevatori per selezionare razze particolarmente pregiate di bestiame. Gli esemplari con elementi distintivi ritenuti positivi vengono isolati dagli altri e fatti accoppiare fra loro, la prole che erediterà le qualità volute rimarrà nel gruppo mentre la restante parte sarà allontanata. In questo modo i caratteri positivi saranno sempre più comuni nel gruppo e dopo un certo numero di generazioni gli elementi distintivi di pochi individui saranno divenuti caratteri comuni di tutto il gruppo, ormai divenuto una varietà particolare della propria specie.
Gli animali nel loro ambiente formano una sorta di allevamento naturale nel quale ogni esemplare possiede numerose particolarità individuali che possono essere trasmesse alla prole. Alcune qualità del singolo animale però possono, in un dato ambiente, aumentare la sopravvivenza della sua prole rispetto ai propri simili; tali caratteri, generazione dopo generazione, si diffonderanno inevitabilmente nella popolazione fino a diventare comuni a tutta la popolazione stessa, formando una nuova varietà. Tale fenomeno è detto selezione naturale.
È importante notare che, per diffondere gli elementi distintivi di un esemplare, non è necessario che tutti gli altri vengano eliminati o che sia loro impedito di riprodursi; è sufficiente che la loro riproduzione abbia meno successo, ovverosia che abbiano un minor numero di figli in grado di riprodursi. In natura il ruolo dell’allevatore è svolto dall’ambiente, dato che sono le caratteristiche dello stesso a determinare le probabilità di successo riproduttivo. Un discorso perfettamente identico si può fare per le piante e i funghi.
APPROFONDIMENTI
SELEZIONE NATURALE
PALCO D’ONORE
CHARLES DARWIN
I caratteri individuali sono ereditati grazie ai geni presenti nelle cellule, comprese quelle destinate alla riproduzione dell’organismo. All’insieme dei geni, detto anche patrimonio genetico, corrisponde l’insieme delle caratteristiche fisiche individuali ereditabili.
I geni sono dei piccoli tratti di due lunghissimI fili, avvolti a spirale nella famosa doppia elica, formanti la molecola del DNA (DeoxyriboNucleic Acid, cioè acido desossiribonucleico). Ogni filamento di DNA è come una catena i cui anelli però non sono tutti uguali, ve ne sono di quattro tipi diversi e sono le celebri quattro basi chimiche (Adenina, Timina, Citosina e Guanina indicate in genere solo con A,T, C, G). Come le lettere dell’alfabeto, queste quattro basi si possono ordinare in sequenza in innumerevoli modi formando parole e frasi. In questo linguaggio nella molecola del DNA sono memorizzate le informazioni per la costruzione e la gestione della cellula nei suoi processi vitali. Un tratto del filamento che contiene un’informazione di senso compiuto, come ad esempio la struttura di una proteina, è appunto un gene. Se vediamo la molecola del DNA come una sequenza di informazioni significa che la vediamo come una sequenza di geni. Tale molecola ha inoltre la facoltà di replicarsi duplicando così anche i geni. È possibile, sebbene sia un fenomeno relativamente raro, che si verifichi un errore nella suddetta duplicazione e che ciò porti all’alterazione di un gene o della sequenza dei geni. Tale alterazione è detta mutazione, che può avere come conseguenza la comparsa di una nuova caratteristica individuale. Le mutazioni possono essere causate anche da agenti fisici o chimici esterni come radiazioni, virus ed altro, che vengono detti agenti mutageni.
La struttura di un organismo è un’architettura complicatissima nella quale un cambiamento arbitrario di un gene può avere gli effetti più disparati: saranno disastrosi se risulta compromesso il funzionamento di un gene che svolge una funzione strategica e fondamentale (ne sono un esempio le malattie genetiche), mentre si avranno effetti meno deleteri se il gene mutato ha una funzione più marginale fino ad arrivare al caso in cui non si avrà alcun effetto nocivo, come può essere il caso della comparsa di una nuova sfumatura del colore degli occhi. Le caratteristiche genetiche di un organismo sono enormemente numerose e lo sono pure le possibili mutazioni, comprese quelle innocue. Queste mutazioni, proprio perché innocue, non verranno eliminate dalla selezione naturale perciò si accumuleranno nel tempo dando origine alla grande variabilità dei caratteri individuali (gli occhi a mandorla, gli zigomi sporgenti, il mento sfuggente, il collo taurino e così via). Tanto maggiore sarà tale varietà, tanto maggiore sarà la probabilità che qualche caratteristica risulti utile in caso di cambiamento ambientale (per esempio il colore chiaro della pelle, dei capelli e degli occhi per gli uomini che hanno colonizzato le regioni nordiche del pianeta).
È da notare che le mutazioni svolgono un ruolo fondamentale nell’evoluzione delle specie in quanto forniscono alla selezione naturale il materiale su cui lavorare. Senza mutazioni la selezione naturale tenderebbe solo ad uniformare al massimo il patrimonio genetico già esistente senza procedere oltre. D’altro canto, si può dire che senza selezione naturale nemmeno le mutazioni da sole potrebbero portare al fenomeno dell’evoluzione delle specie, realizzando solo un aumento della variabilità genetica individuale con nuove combinazioni puramente casuali.
APPROFONDIMENTI
DNA, GENE, MUTAZIONE GENETICA, RADIAZIONE, VIRUS
PALCO D’ONORE
GREGOR MENDEL
CONCETTI IN PILLOLE
n. 1 – SELEZIONE NATURALE E MUTAZIONI
Quando nell’evoluzione compare una mutazione che impedisce la possibilità di incrocio con la specie originaria, viene superato un punto di non ritorno, un punto dopo il quale non sarà più possibile il rimescolamento genetico. Tale isolamento riproduttivo, che porta alla formazione di una nuova specie, non è dunque dovuto a barriere fisiche o geografiche, ma è fisiologico, fa parte dell’intrinseca natura della specie.
Tutto ciò può verificarsi in molti modi; per esempio, due popolazioni della stessa specie, separate in regioni diverse, possono sviluppare mutazioni proprie che portano alla creazione di due razze distinte; successivamente, se la razza della prima regione sviluppa un rituale di corteggiamento incompatibile con l’altra, i membri della seconda regione sarebbero sempre scartati in caso di incontro. Un altro caso si verifica quando le due razze sviluppano una conformazione fisica troppo diversa; si pensi alla differenza di taglia fra un cane san bernardo e un cane chihuahua che rende meccanicamente impossibile l’accoppiamento.
Il caso più importante è però quello dovuto a cause genetiche, cioè quando l’accumularsi di diverse mutazioni rende sempre più difficoltosa la fusione del DNA di due esemplari fino a raggiungere la totale incompatibilità, causando la sterilità della prole o il suo mancato sviluppo.
PALCO D’ONORE
ERNST MAYR
Quando una specie si scinde in due o più specie, si può dire che le nuove forme comparse discendono dalla prima così come i figli discendono dai genitori. In questo modo viene evidenziata una sorta di parentela fra specie le quali, come gli esseri umani, possono discendere l’una dall’altra, avere un antenato in comune, appartenere ad una famiglia molto numerosa e formare delle dinastie con alberi genealogici anche molto complicati. In genere, quanto più lontana è la parentela, tanto maggiori sono le differenze fisiche riscontrabili e ciò in conseguenza dell’accumularsi di più mutazioni; con un ragionamento inverso, quanto maggiori sono le somiglianze, tanto più stretta ci aspettiamo che sia la parentela. Con questo criterio è facile stabilire che un gorilla è un parente più stretto dell’uomo di quanto non lo sia un cavallo e che questo a sua volta ha una parentela con l’uomo maggiore rispetto a un falco.
Tutto ciò evidenzia che l’uomo non deriva dalle scimmie attuali così come un dato individuo non deriva da un proprio cugino; la specie dell’uomo e quella del gorilla, oggi coesistenti, derivano da una specie antenata di entrambe così come due cugini discendono da una coppia di nonni in comune.
PALCO D’ONORE
WILLI HENNIG
Per adattamento si intende l’insieme di uno o più cambiamenti che una specie subisce a causa della selezione naturale in un dato contesto ambientale. La selezione naturale privilegia le mutazioni che favoriscono la sopravvivenza delle generazioni future, le quali risulteranno appunto più adatte a vivere in quell’ambiente. Un classico esempio di adattamento è lo sviluppo di una folta e calda pelliccia in una regione dal clima molto freddo, oppure lo sviluppo di gambe lunghe e veloci per sfuggire ai predatori.
L’adattamento è dunque sempre relativo ad un certo ambiente perché è questo che determina le possibilità di sopravvivenza e quindi la selezione naturale. Tuttavia, un cambiamento positivo in un certo contesto può rivelarsi utile anche in altre circostanze; per esempio le mani, che le prime scimmie usavano per aggrapparsi ai rami e per raccogliere della frutta, sono state poi utilizzate dagli uomini per costruire strumenti di ogni tipo, per scrivere e per guidare l’automobile; un altro esempio è dato dallo strato di grasso, sviluppato per affrontare periodi di carestia e poi divenuto una protezione contro il freddo per gli animali delle regioni polari. In questi casi si parla di preadattamento, come se si trattasse di un adattamento anticipato, ma in effetti si tratta di fortunate combinazioni che comunque sono di grande importanza per l’evoluzione, perché aumentano le possibilità di adattamento a nuovi ambienti, nonché quelle di soddisfare nuove esigenze e di sfruttare nuove risorse. In generale l’evoluzione procede per piccoli passi, ma non può creare dal nulla dei nuovi organi, può solo modificare quelli già esistenti, i quali pertanto costituiscono un preadattamento, cioè una base per i futuri sviluppi.
In un eventuale ambiente stabile, che non muta nel tempo, si accumulerebbero mutazioni positive fino ad esaurire tutte le possibilità; con il tempo la comparsa di nuovi cambiamenti positivi diverrebbe sempre meno probabile e le diverse specie si troverebbero in una sorta di stato di equilibrio dato dal massimo adattamento al loro ambiente.
L’evoluzione è dunque lenta, graduale, ma non uniforme; spesso presenta una velocità variabile proprio in conseguenza della stabilità o meno dell’ambiente. Una situazione di perfetta stabilità è inoltre assai improbabile, infatti ogni mutazione di una qualunque specie è di fatto un piccolo o grande cambiamento ambientale e dunque l’evoluzione non si fermerà mai, anche senza considerare cambiamenti geologici o climatici.
PALCO D’ONORE
NILES ELDREDGE
Per progresso si intende generalmente un miglioramento, cioè un cambiamento che porta dei vantaggi; si parla infatti di progresso economico, tecnologico, ecc..
Se si parla invece di evoluzione, ci si riferisce a un graduale cambiamento nel tempo, non necessariamente vantaggioso; per esempio l’evoluzione di una malattia, di una tempesta, delle fasi della Luna.
Dato che l’evoluzione biologica consiste in un graduale cambiamento che comporta sempre un qualche vantaggio per la sopravvivenza della specie (ovvero della discendenza), come per esempio una maggiore capacità di procurarsi il cibo, di proteggere la prole, di sfuggire ai predatori, ci si può chiedere perché la si definisca evoluzione e non progresso biologico.
Il motivo principale è che la selezione naturale privilegia quei mutamenti che offrono un vantaggio immediato nell’ambiente in cui la specie vive, ma spesso tali mutamenti sono validi solo nel suddetto ambiente; per esempio, è un bene sviluppare una folta pelliccia in un clima molto freddo, ma se questo si riscalda, la stessa pelliccia diventerà un problema. Il progresso biologico è perciò relativo ad un dato ambiente, limitato a questo e viene più precisamente definito come adattamento, mentre l’evoluzione biologica non si ferma mai ed è anzi stimolata dai cambiamenti ambientali.
Ad una continua evoluzione non corrisponde allora un continuo progresso, ragion per cui è bene non confondere i due concetti.
I PUNTI DI VISTA
PROGRESSO SOCIALE
CONCETTI IN PILLOLE
n. 2 – PROGRESSO ED EVOLUZIONE