Ragioniamo insieme; dopo aver esaminato l’importanza di inquadrare bene un problema e dopo aver visto quanto sia facile e pericoloso sbagliare generando dei falsi problemi, possiamo iniziare lo studio dei veri problemi e partire da una loro razionale valutazione. Lo scopo finale è quello di capire quali siano i problemi che più danneggiano la nostra vita, quali siano quelli da affrontare per primi e magari trarre qualche spunto per impostare delle soluzioni.
CONCETTI IN MUSICA
ELIO E LE STORIE TESE – LA TERRA DEI CACHI
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Abbiamo già notato che vi è uno stretto legame fra problemi e valori, in quanto ciò che mina i nostri valori è sempre un problema e viceversa; di conseguenza, in modo naturale, tanto maggiore sarà l’importanza attribuita ad un valore, tanto più un problema ad esso associato sarà considerato grave; in questo modo, da una gerarchia di valori se ne ottiene facilmente una di problemi. Utilizzando questo criterio verranno poste in evidenza tutte le minacce alla nostra vita individuale come la guerra, la criminalità e le malattie mortali, che risulteranno ancora più gravi se riguarderanno i nostri figli; in secondo piano saranno posti furti ed atti di vandalismo che minacciano la nostra proprietà, quindi il nostro benessere, ma non la vita.
Notevole rilievo sarà dato alle minacce alla libertà di azione e di pensiero, come leggi autoritarie, ostacoli economici, propaganda ingannevole, oscurantismo e intolleranza, tuttavia è bene ricordare come tali pericoli siano spesso resi ancora più gravi da una loro errata percezione dovuta ad una cattiva educazione inconscia: avevamo fatto l’esempio dei medici che fumavano e guidavano ad alta velocità pur avendo tutte le conoscenze necessarie per comprendere il pericolo, ma il discorso si può facilmente estendere alla pubblicità e alle leggi antidemocratiche che vengono accettate con assurda noncuranza semplicemente perché siamo stati educati a farlo.
Un’educazione carente, arretrata e distorta rappresenta allora un problema veramente grave, in grado di danneggiare seriamente i nostri valori più preziosi; rientrano in questo ambito tutte le forme di inquinamento psicologico che abbiamo incontrato, a cominciare dai falsi problemi. A sua volta l’inquinamento psicologico è causato, mantenuto e diffuso dalla disinformazione, dall’evoluzione culturale (che è fuori dal nostro controllo e questo ci riporta alla mancanza di democrazia, senza la quale tale controllo diviene proibitivo), nonché all’emergenza evolutiva che ne è la diretta conseguenza.
I nostri principali problemi risultano quindi intrecciati fra loro e per affrontarli al meglio è bene fare un po’ di ordine; una classificazione basata sulla gravità dei problemi è un buon inizio, ma non è l’unico criterio possibile, ora ne cercheremo altri.
APPROFONDIMENTI
INTOLLERANZA, PROBLEMA
PALCO D’ONORE
ALBERTO MANZI
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Non sempre i problemi più gravi sono anche quelli più urgenti e, dovendo scegliere quali affrontare per primi, dobbiamo assolutamente tener conto di questo fatto. Da cosa è data l’urgenza di un problema? È data dal tempo che abbiamo a disposizione per risolverlo, in quanto esiste un limite oltre il quale sarà troppo tardi; tanto minore è il tempo rimasto, tanto maggiore sarà l’urgenza.
Cercando di risolvere il maggior numero di problemi, è ragionevole iniziare da quelli più urgenti, sperando che poi rimanga tempo sufficiente anche per gli altri; questa tecnica non presenta controindicazioni se pensiamo che non vi siano problemi più gravi di altri, ma in caso contrario, come spesso accade, dobbiamo prestare molta attenzione che non rimangano fuori tempo massimo alcuni dei più gravi.
Se però abbiamo molto tempo per le questioni più gravi, in base allo stesso ragionamento è sensato iniziare da quelle meno gravi, ma più urgenti; per fare un esempio estremo, se ci accorgiamo che il nostro bambino sta per far cadere un piatto dal tavolo, noi interrompiamo subito qualunque attività possa essere rinviata, per quanto importante essa sia, poiché l’intervento richiesto al tavolo è urgentissimo, sebbene non di vitale importanza; purtroppo però non è sempre così facile valutare le priorità.
IL CASO CELEBRE
JIM LOVELL
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Nell’affrontare realisticamente un problema, ci troveremo prima o poi a fare i conti con le risorse a nostra disposizione; una soluzione che richieda troppi soldi, troppo tempo, troppa forza fisica, che sia al di fuori della nostra portata per qualunque motivo, non è oggettivamente praticabile, non è una vera soluzione, non per noi almeno. Se non esistono o non riusciamo a trovare soluzioni praticabili il problema rimarrà al di fuori delle nostre possibilità.
Sembrerebbe allora ragionevole iniziare ad affrontare i problemi partendo da quelli che appaiono sicuramente entro il nostro raggio d’azione, evitando di sprecare tempo e fatica in quelli che probabilmente risulteranno per noi insolubili; questa tecnica è tuttavia molto rischiosa: come possiamo sapere se un problema non presenta soluzioni se non abbiamo già cercato di risolverlo? In linea di principio noi sappiamo con certezza che un problema è effettivamente alla nostra portata solo quando abbiamo trovato una buona soluzione, allo stesso modo dovremmo pensare che non lo sia dopo vari tentativi falliti; in genere invece ci basiamo su dei pregiudizi basati sul confronto con problemi simili o semplicemente sul sentito dire: quella è cosa da specialisti, quell’altra da filosofi e per quest’altra serviranno chissà quanti soldi. Lo scopo di questo modo di fare è proprio quello di evitare di sprecare risorse inutilmente, ma è piuttosto facile incorrere in gravi errori e rinunciare in partenza ad affrontare problemi che sono invece risolvibili.
Talvolta l’impresa sembra troppo grande perché sottovalutiamo le risorse a nostra disposizione, un caso classico è quello del giovane aspirante imprenditore che ignora l’esistenza di fondi agevolati o a fondo perduto stanziati dagli enti pubblici e quindi rinuncia ad aprire l’attività, ma ancora più comune è il caso di chi pensa di dover fare tutto da solo sottovalutando i possibili collaboratori, non pensando che lo stesso problema è condiviso da molti altri, i quali pertanto potrebbero rivelarsi ottimi alleati; questo eccesso di individualismo è dovuto al nostro retaggio culturale. Ricordiamoci che, se il gruppo è una delle strategie evolutive di maggior successo, è anche vero però che per noi, discendenti dei servi della gleba, è una risorsa che appare poco disponibile; la nostra struttura sociale è sempre quella di piccoli gruppi familiari isolati e disorganizzati, il nostro gruppo è frammentato ed inutilizzabile e ciò rappresenta sicuramente un danno sociale e culturale gravissimo.
Gli animali sociali nascono e vivono in un gruppo già formato che li sostiene in ogni occasione, non si forma un nuovo gruppo per ogni nuova difficoltà; ecco perché è così difficile per noi trovare degli alleati per i nostri problemi, sebbene il numero delle persone, cioè dei potenziali alleati, sia più elevato che mai e nonostante la vicinanza fisica che contraddistingue le nostre città. In altre parole ci manca tanto il legame sociale tipico del villaggio tribale, la nostra comunità originaria dalla quale siamo stati strappati non dal progresso, ma dalla schiavitù dell’antichità. Certamente non si può e non si deve tornare indietro, ma così come nel mondo attuale è stata introdotta l’agricoltura biologica, che riprende processi dell’agricoltura del passato in chiave moderna, si può pensare di fare lo stesso con la nostra società, introducendo una struttura equivalente a quella antica.
PALCO D’ONORE
DERRICK DE KERCKHOVE
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Consideriamo un problema molto attuale come quello dell’inquinamento dovuto allo scarico delle automobili: poniamo che una persona dotata di tanta buona volontà si trasferisca, dopo lunghe ricerche, in un appartamento a 1 km dal proprio ufficio al fine di poter andare a piedi al lavoro ed eliminare così la sua parte di inquinamento. Dopo tanto impegno che vantaggio trarrà il resto della popolazione da questa sua iniziativa? Un’automobile in meno su decine di migliaia comporterà una riduzione delle sostanze nocive assolutamente irrilevante, quindi per tutti i concittadini non vi sarà alcun vantaggio reale.
Quale vantaggio ci sarà per il nostro volenteroso camminatore? Respirando la stessa aria degli altri anche per lui la riduzione di sostanze nocive respirate sarà praticamente nulla e quindi la sua nobile iniziativa non servirà né a sé stesso, né agli altri. Probabilmente egli avrà la soddisfazione di aver fatto la propria parte dando il buon esempio, ma si tratta di un’illusione, come si può fare la propria parte realizzando qualcosa di totalmente inutile? Certo, se altri seguissero il suo esempio non sarebbe più una cosa inutile, ma noi sappiamo con certezza che non lo faranno, perché per rendere collettiva una simile iniziativa non è sufficiente un modello, è assolutamente necessaria un’organizzazione capillare ed efficiente, cioè un’organizzazione che non esiste.
Pur rendendo omaggio alla buona volontà del nostro concittadino esemplare, dobbiamo riconoscere che il suo tentativo è fallito, non ha ottenuto nulla e lo stesso accadrebbe a quei pochi che dovessero seguire il suo esempio.
Si deve concludere che non era un buon esempio, non era quella la parte che avrebbe dovuto fare un singolo individuo; l’inquinamento è infatti uno dei problemi collettivi per eccellenza e come tale richiede soluzioni collettive; la parte del singolo può pertanto essere solo quella di formare un gruppo di ambientalisti o di aggregarsi ad uno già esistente, sperando che questo diventi con il tempo tanto grande da poter realizzare soluzioni efficaci. Dobbiamo tuttavia ammettere che, per vari motivi, formare una grande e potente associazione ambientalista non è cosa facile, in molti vi hanno provato, ma con risultati ancora inadeguati.
Consideriamo ora un altro problema: la dipendenza dalle sigarette, cioè il fumo di tipo attivo; immaginiamo un’altra persona volenterosa che decida di fare la sua parte smettendo di fumare. Che vantaggio trarrà il resto della popolazione da questa sua iniziativa? Essendo l’uso delle sigarette un costume che si inserisce nella socializzazione, un fumatore in qualche modo incoraggia involontariamente gli altri a fare altrettanto, ma un singolo cattivo esempio in meno, tra tanti in continua attività, non porterà sensibile beneficio alla società. Dunque smettere di fumare non porta alcun beneficio agli altri, ma vediamo se ne porta alla persona in esame: i danni alla salute e la dipendenza psicologica dovuta al fumo attivo dipendono dalle proprie sigarette e non da quelle degli altri; in questo caso allora cambia tutto, il singolo trae grandi benefici da questa sua iniziativa, sia per la salute, sia per la libertà personale e anche per le sue finanze.
Indubbiamente egli non ha risolto il problema che le sigarette rappresentano per la nostra società, però almeno ha risolto il problema per sé stesso; il fumo attivo pertanto può essere considerato un problema con forte componente individuale in quanto il singolo individuo può risolvere la sua parte di problema dando un esempio che porterà vantaggi a tutti coloro che lo vorranno imitare.
Consideriamo ora un caso intermedio: il fumo passivo; immaginiamo venti impiegati di cui dieci siano accaniti fumatori che, per antica tradizione, fumino liberamente in ufficio. Se poniamo che tali impiegati lavorino in stanze separate in gruppi da cinque, sarà sufficiente accordarsi in sole cinque persone, in modo da formare una stanza di non fumatori, per risolvere o ridurre sensibilmente il problema del fumo passivo. Si tratta di un caso che può essere agevolmente risolto, a livello individuale, da un piccolissimo numero di persone e non da una grande e articolata organizzazione.
Abbiamo dunque visto che dei grandi problemi possono essere affrontati in modo collettivo, a beneficio di tutti, oppure in modo individuale a vantaggio del singolo o di pochi senza però recare danno agli altri, anzi estendendo il beneficio a tutti coloro che vorranno seguire il giusto esempio. Se poi una soluzione individuale dovesse diventare una moda, diffondendosi come un virus culturale, potrebbe anche risolvere il problema in modo collettivo senza alcuna particolare organizzazione.
Sappiamo che non tutti gli elementi culturali possono diffondersi in questo modo, ma quando questo è possibile, è certo un’opportunità da sfruttare; negli altri casi è invece necessario ricorrere alla forza del gruppo, cosa spesso proibitiva quando sono necessarie grandi associazioni di migliaia di individui, ma invece fattibile e rapida quando sono sufficienti poche persone, in tal caso è addirittura il problema stesso a stimolare la formazione del gruppo.
Davanti ai suoi grandi e piccoli problemi, l’uomo comune è forzato dunque a cercare soluzioni individuali o per piccoli gruppi poiché solo queste sono alla sua portata, salvo i rari casi in cui esistano già grandi associazioni in grado di aiutarlo; ne segue che una selezione dei problemi in base al tipo di soluzione (individuale, per piccoli gruppi, collettiva) risulta sovente inevitabile nella pratica.
PALCO D’ONORE
MUHAMMAD YUNUS
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Abbiamo introdotto vari criteri per valutare i problemi che ci affliggono, per capire quali sono più importanti, più urgenti o più facili da trattare, ma nessuno di questi ci permette di tenere conto dei legami che esistono fra di loro; sappiamo però che essi possono essere finemente intrecciati, che a volte si sostengono a vicenda e che altre volte discendono l’uno dall’altro. Se non impariamo ad orientarci in questa rete di problemi, difficilmente potremo trovare soluzioni veramente efficaci, al massimo metteremo a punto solo rimedi superficiali e temporanei.
Ricordando la regola dei 5 perché, abbiamo visto come, risolvendo un problema a monte, si possano risolvere tutti quelli a valle, si possano cioè risolvere più problemi con una sola soluzione. Questo ovviamente comporta un enorme risparmio di risorse ed in genere una maggiore efficacia, essendo stato il male estirpato alla radice. Studiare in che modo i problemi sono fra loro legati è dunque di fondamentale importanza e ne garantisce anche un migliore inquadramento.
Esaminiamo dunque la rete che circonda i problemi principali che abbiamo già incontrato, guerre, criminalità, alcolismo, malattie ecc., cercando le cause più profonde e magari in comune, che chiameremo problemi radice (o solo radici) in quanto alla base, ovvero a sostegno, di tutti gli altri. Ognuno di essi è per definizione all’origine di molti altri problemi di tipo derivato, ma questi possono essere il risultato combinato di radici diverse; se dunque risolvessimo un problema radice elimineremmo anche i suoi derivati, ma solo quelli da esso esclusivamente dipendenti, gli altri invece, avendo molteplici cause, ne risulterebbero solo ridimensionati, indeboliti, comunque però più facili da affrontare avendo ora basi meno solide.
Per ogni radice eliminata dunque si avrà una lunga serie di vantaggi, ma prima è necessario individuarle; è quanto cercheremo di fare nei prossimi paragrafi, senza la pretesa di riuscire a trovarle tutte, si tratta solo dell’inizio di un lungo lavoro nel quale dovremmo sentirci tutti coinvolti.
PALCO D’ONORE
KAORU ISHIKAWA
CONCETTI IN PILLOLE
n. 42 – I PROBLEMI RADICE
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Abbiamo citato come questioni particolarmente gravi le guerre, la criminalità e le malattie mortali, poiché mettono in serio pericolo la nostra vita. Dallo studio della nostra storia culturale sappiamo che le guerre sono un fenomeno antichissimo, probabilmente più antico della nostra stessa specie e nasce come mezzo per regolare le dispute territoriali fra tribù. Cercando di capire quale sia l’origine delle guerre abbiamo dunque trovato una prima causa storica: le guerre sono il mezzo che la cultura tribale ha sviluppato per vincere la concorrenza territoriale delle altre tribù; il territorio è ovviamente la principale risorsa economica nel mondo antico, in esso infatti troviamo tutti i beni primari come acqua, selvaggina, terreni coltivabili, giacimenti minerari, legname, ecc. e dato che ciascuna di queste risorse può essere oggetto di contesa, può anche diventare la causa di una guerra. Alla base di tutto troviamo quindi la rivalità economica fra le popolazioni umane, le quali come tutte le popolazioni animali tendono ad espandersi fino al massimo sfruttamento delle risorse disponibili.
Nel mondo animale l’espansione demografica viene arginata da carestie, siccità, incendi o inverni particolarmente rigidi; la disponibilità delle risorse non è fissa, ma può variare da un anno all’altro; se la variazione è positiva si avrà un periodo di abbondanza e un contestuale aumento della popolazione, se è negativa si avrà un periodo di carestia e la popolazione denutrita cadrà più facilmente vittima dei predatori e delle malattie con conseguente riduzione della popolazione fino ad un nuovo punto di equilibrio.
È necessario ricordare che in assenza di predatori e malattie, come accade negli zoo, un eventuale sovraffollamento o penuria di cibo porta ad esplosioni di violenza fuori dalla norma, tali da causare morti fratricide (ovvero fra membri della stessa specie). In natura non si arriva a tali estremi perché si può emigrare in nuovi ambienti alla ricerca di cibo e di spazio, cosa impossibile in uno zoo. In assenza dunque dei normali fattori che controllano l’espansione demografica, se ne attivano altri di emergenza: l’aumento della violenza dovuto alla maggiore concorrenza e l’esplorazione di nuovi territori.
Nel mondo umano queste condizioni eccezionali sono diventate la norma, fin dall’antichità i predatori sono stati sostituiti da predatori umani e quando con l’avvento dell’agricoltura è aumentata la disponibilità di cibo, dopo un periodo di prosperità sono iniziate presto nuove guerre, con eserciti più grandi, con battaglie più violente ed armi più sofisticate; lo stesso processo si è poi riproposto con la rivoluzione industriale.
Anche l’invasione di nuovi territori e nuovi ambienti è stata una strategia largamente applicata in tutti i tempi; nel lontano passato ci ha portato a colonizzare l’intero pianeta, ma terminati i territori disabitati, le ondate migratorie hanno portato a nuove guerre con le popolazioni locali.
Le guerre dunque storicamente ci appaiono come la naturale conseguenza della concorrenza economica dovuta a sua volta alla penuria di risorse che deriva da una mancata regolazione demografica. Alla base di tutto questo vi sono le nostre eccezionali capacità di adattamento culturale che ci hanno reso quasi invulnerabili rispetto agli antichi predatori.
Abbiamo dunque trovato una serie di quattro cause storiche, ma tali cause sono presenti ancora oggi? La scienza moderna ci ha reso più adattabili che mai, debellando anche molte malattie, la popolazione è cresciuta enormemente, la penuria di risorse si è invece diversificata: nei paesi poveri le carestie sono ricorrenti, ma in quelli ricchi sembrano un lontano ricordo; i paesi ricchi tuttavia continuano a farsi la guerra, come mai? La rivoluzione industriale ha cambiato radicalmente l’economia e con essa le risorse utilizzate ed ecco che le grandi potenze di oggi non combattono più per il grano, ma per i giacimenti minerari, per quelli petroliferi e per altre moderne risorse. La storia inoltre ci documenta che anche alla base delle guerre più recenti si trova spesso la concorrenza economica e quindi, dato che tutte e quattro le cause sono ancora presenti, non dobbiamo stupirci che vi siano nuove guerre.
Come mai questi problemi non sono stati risolti nonostante tutta la nostra scienza e tecnologia? Perché per la nostra cultura tradizionale, frutto di una evoluzione inconsapevole e quindi non soggetta né a critica razionale, né ad interventi correttivi, tali problemi sono già risolti; essa infatti riconosce come problemi solo la scarsità di risorse e la presenza di rivali con cui contenderle, per poi superarli entrambi con un’unica soluzione, che è appunto la guerra.
Dunque quello che per i singoli esseri umani è uno dei mali principali, per la nostra spietata evoluzione culturale e per la politica tradizionale è una soluzione e non un problema; la guerra diviene allora una risorsa per la sopravvivenza da tutelare ed esaltare con adeguata propaganda e cultura bellica, basata sul valore dell’eroe guerriero e sull’esaltazione delle gradi potenze militari del passato; ancora oggi si parla della gloria dell’antica Roma, formata dalle sue innumerevoli vittorie militari. In un simile contesto culturale la guerra può essere vista al massimo come un male necessario ed inevitabile, non come un problema da risolvere.
APPROFONDIMENTI
CARESTIA
PALCO D’ONORE
JOHAN GALTUNG
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La soluzione del gravissimo problema delle guerre che affliggono l’umanità è ostacolata, oltre che dalla presenza di cause storiche, anche da una cultura che valorizza la guerra come soluzione, oppure che la presenta come un male inevitabile, come un tempo lo era la peste, dovuto ai capricci del destino e non a precise leggi di natura, prevedibili e aggirabili; questo è un problema aggiuntivo che sostiene quello principale e che, anche senza esserne una causa diretta, ne costituisce un’importante base culturale che inibisce ogni tipo di possibile soluzione.
È tuttavia doveroso osservare che se anche qualcuno trovasse il modo di eliminare tutte le cause principali, poi nessuno sarebbe in grado di metterlo in pratica; non esiste infatti un governo globale in grado di applicare detto metodo su tutto il pianeta e se venisse applicato solo da alcune nazioni, queste sarebbero comunque esposte agli attacchi delle altre. Altro grande ostacolo ad un mondo pacifico è dunque la frammentazione e disorganizzazione politica.
Passando dall’epoca tribale a quella moderna possiamo anche notare che, purtroppo, nel tempo si sono aggiunte anche altre cause a fianco di quelle originarie: una di queste è il mantenimento o la crescita del potere politico; nulla come una guerra unisce una nazione e placa ogni dissidio interno, inoltre essa comporta quasi sempre un aumento dell’autorità e del prestigio dei governanti. Questa è una strategia ben nota fin dall’antichità e sono numerose le guerre che la storia oggi riconosce come nate per questo fine.
Spesso al caso precedente si unisce anche la crescita del potere politico verso l’esterno, nei confronti degli altri paesi; tanto più una nazione diviene grande, ricca e potente, tanto minore è la probabilità che qualcuno le faccia concorrenza od osi attaccarla. Le guerre di questo tipo ovviamente non dipendono da problemi economici della popolazione, ma dagli interessi della classe dominante; esse sono una delle prove tangibili della mancanza di democrazia, a sua volta dovuta alla tradizione culturale e alla frammentazione sociale della popolazione in nuclei familiari isolati.
In tempi ancora più recenti è sorto un nuovo fenomeno: l’influenza politica delle varie lobby industriali, che sono l’equivalente dei clan familiari nella nuova classe dominante, a cominciare dalla potentissima industria bellica che, fin dall’inizio della rivoluzione industriale, è uno dei settori di traino sia economico che tecnologico. Per fare un esempio della sua potenza anche a livello politico basti pensare che durante la guerra fredda le due superpotenze rivali accumularono un arsenale nucleare, con annessi impianti, edifici, fonti di energia, ecc., tale da distruggere la vita sulla Terra oltre 70 volte di seguito. A cosa servivano tutte quelle bombe se il 2% di esse era più che sufficiente per cancellare qualsiasi nemico? Come deterrente erano inutili, come riserva il 10% di esse era già assai abbondante (sette volte la fine del mondo!), come manifestazione di potenza per infondere sicurezza ed esaltazione al proprio popolo erano uno strumento valido, ma ve ne erano altri assai meno costosi. Sorge il sospetto che il motivo principale fosse che tutto quell’arsenale doveva anche essere pagato, alimentando un’industria fondamentale per l’economia della nazione. Non vanno dunque sottovalutate le ricorrenti e documentate accuse secondo le quali il peso politico di queste lobby sia stato determinante nello scatenare alcune guerre, altrimenti evitabili; ne segue, di nuovo, che tali conflitti non sarebbero stati combattuti solo per penuria di risorse delle comunità coinvolte, ma per il profitto di gruppi di interesse esterni ad esse; sebbene dunque sia vero che nel mondo tribale le guerre fossero inevitabili per la popolazione al fine di sopravvivere economicamente, questo non vale per molte guerre moderne. Questa influenza politica non sarebbe possibile senza altissimi livelli di corruzione nelle istituzioni, a loro volta permessi dalla mancanza di democrazia.
Riassumendo quanto abbiamo detto riguardo la guerra, essa è dovuta ad una serie di cause molto antiche che rappresentano gli anelli di una catena: la grande adattabilità dell’essere umano, la sconfitta dei nemici o rivali naturali, l’aumento demografico, la scarsità delle risorse e la conseguente rivalità territoriale; a queste se ne sono aggiunte altre più recenti come la ricerca del potere politico e gli interessi delle lobby industriali. Abbiamo inoltre rilevato che, volendo eliminare qualcuna di queste cause, si incontrano determinati ostacoli che abbiamo definito problemi di sostegno a quelli principali, si tratta di fattori culturali come la semplice ignoranza, la mancanza di organizzazione politica e sociale di tipo democratico, la cattiva educazione e tradizione culturale, fattori che presentano la guerra come una soluzione o un male necessario.
È importante sottolineare come tali fattori culturali inibiscono ogni tipo di soluzione al problema della guerra e quindi andrebbero eliminati per primi; si tratta dunque di premesse fondamentali per il persistere delle guerre il cui contributo non deve essere ignorato.
PALCO D’ONORE
MICHAIL SERGEEVIC GORBACEV
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Oggi è festa nel Villaggio di Ofelon!
A sei mesi dalla fondazione del Villaggio di Ofelon
oltre trentaduemila “viandanti telematici”
hanno visitato il Villaggio.
vi aspettiamo tutti con piena cittadinanza, muniti del vostro avatar,
per ampliare sempre di più la nostra tavola rotonda
in cui vogliamo confrontarci su temi importanti,
ma sempre divertendoci insieme
e fino a raggiungere risultati concreti
per un effettivo, diffuso e percepito miglioramento
della qualità della nostra vita.
Le origini della criminalità si perdono nella notte dei tempi, comportamenti simili sono stati osservati anche fra gli animali, soggetti anche questa volta a particolari condizioni di scarsità di cibo. In simili condizioni furti e rapine compaiono anche fra membri dello stesso gruppo o della stessa famiglia, fino ad arrivare ad atti di cannibalismo. Tali comportamenti sembrano essere la versione individuale del comportamento bellico tribale, hanno la stessa origine e la stessa funzione, sono strategie per la sopravvivenza in caso di carestia.
I comportamenti umani però in genere si manifestano per tradizione culturale e non solo in caso di povertà estrema, inoltre spesso non sono atti individuali, ma effettuati da gruppi organizzati. I fenomeni criminali ci mostrano come probabilmente si è passati dai furti e rapine simili a quelli degli animali a comportamenti bellici tipici dell’essere umano. Una piccola banda di rapinatori equivale ad una banda di guerrieri che compie una scorreria ai danni di una tribù vicina; vi sono forti inibizioni e grandi rischi nel derubare membri della propria famiglia o della propria tribù, invece derubare degli estranei al gruppo è certo più facile e in genere meno rischioso, potendo contare sulla protezione e collaborazione della propria tribù. Quelle che chiamiamo associazioni a delinquere, sono gruppi di individui che si pongono al di fuori della società ufficiale e che si riorganizzano nel modo più naturale per gli esseri umani, cioè costituendo piccole o grandi bande formate da clan di amici o familiari proprio come le antiche tribù, e come queste trattano come prede gli altri esseri umani.
Le associazioni più grandi inoltre sviluppano al proprio interno una rigida gerarchia ed una rigorosa organizzazione, con un proprio regolamento o codice d’onore al quale si aggiungono rituali interni, fra i quali assumono particolare importanza quelli di iniziazione esattamente come i nostri lontani antenati.
Se escludiamo i cosiddetti delitti passionali, il resto dei fenomeni criminali appare molto più simile agli scontri fra tribù nemiche piuttosto che ad atti scorretti all’interno di una comunità animale; questo ci indica che la delinquenza è un fenomeno sociale che segue delle proprie leggi naturali e non la somma casuale del contributo dei singoli criminali. Una seconda conferma del fatto che i malviventi formino delle comunità indipendenti ci viene dal fatto che spesso arrivano a farsi la guerra fra loro, guarda caso per motivi economico-territoriali, come avviene nelle guerre di mafia. Una terza conferma ci viene dall’incremento di criminalità che segue i flussi migratori: gli immigrati hanno per vari motivi sempre grosse difficoltà ad inserirsi nella società locale, diversa per cultura, lingua e forse per etnia, la quale per sua natura tende a respingerli come corpi estranei; le popolazioni dunque rimangono a lungo distinte e sorgono inevitabilmente dispute per le risorse; posti di lavoro, case, luoghi aperti al pubblico, fondi per l’assistenza, ecc., sono le dispute territoriali moderne; se poi le attività illegali sono fra le poche risorse disponibili la predazione fra popolazioni rivali è inevitabile. Tale fenomeno si è ripetuto più volte nella storia, ad esempio negli Stati Uniti con la grande immigrazione di fine ottocento dall’Europa e attualmente dal Messico; lo stesso è accaduto in Europa occidentale con l’immigrazione dall’Africa, dai paesi dell’est e dall’estremo oriente.
Per quanto sia giusto che ognuno si assuma la responsabilità delle proprie azioni e ne subisca le conseguenze al fine di limitare e reprimere i fenomeni criminosi, nel cercare di prevenire tali fenomeni non possiamo dimenticare che sono frutto di leggi biologiche, sociali e culturali e non solo della malvagità dei singoli delinquenti; ecco perché tutti i tentativi basati sull’educazione religiosa, tesi a rendere più buoni i singoli esseri umani, hanno sempre fallito e lo stesso vale per la semplice dissuasione basata sulla minaccia delle forze dell’ordine. La criminalità è sopravvissuta a secoli di polizia e di religione, essa si sviluppa o regredisce indipendentemente o quasi da questi fattori; il fattore determinante è l’evoluzione della società e questo rende la criminalità un problema da affrontare e prevenire principalmente a livello politico; sono dunque i governanti che devono rendere sconvenienti le attività illegali e non la polizia, la quale è nata per gestire situazioni di emergenza, quando il reato è stato già commesso, o di pericolo, quando si ritiene che possa accadere a breve, con attività di prevenzione che, per quanto importanti, avranno sempre un’efficacia limitata.
È dunque necessario distinguere fra repressione e prevenzione: nella prima è fuori discussione la centralità del singolo delinquente, poiché, essendo lo scopo quello di evitare che si ripeta quanto già accaduto, si interviene su specifici eventi e sui relativi autori; nella seconda invece si cerca di evitare crimini non ancora commessi, pertanto non vi è alcun autore da perseguire e di conseguenza si deve intervenire più a monte, a livello politico, nella struttura della nostra società.
Un analogo discorso vale per la magistratura; sono frequenti le notizie di processi infiniti, di criminali liberati per decorrenza dei termini o per cavilli procedurali a cui seguono pesanti accuse a una magistratura molle, incapace di amministrare la giustizia. A ben vedere però, i giudici sono tenuti ad applicare la legge e quindi è l’operato del legislatore e dell’amministrazione che dovrebbe essere messo in discussione, non quello dei giudici.
La prevenzione e la riduzione dei fenomeni criminali è pertanto un compito specifico dei politici, ma si deve ricordare che se questi non sono soggetti a un efficace controllo democratico, formano inevitabilmente anch’essi una popolazione ben distinta dalla massa, divenendo in breve tempo una tipica classe dominante. Per quale motivo il gruppo dei potenti dovrebbe contrastare la criminalità che infierisce sulle masse? I politici combatteranno la criminalità solo se questa minaccia il loro potere e lo faranno nella misura in cui è necessario al mantenimento o al rafforzamento della loro supremazia, in caso contrario la delinquenza non sarà degna del loro interesse. Si può ben capire poi la gravità di una classe politica corrotta, a sua volta dedita a varie attività illecite o legalizzate appositamente: come possono dei delinquenti combattere efficacemente il crimine? Potranno al massimo contrastare le attività dei criminali concorrenti, ma favoriranno sempre i loro complici; ecco dunque che un sistema politico efficace ed autenticamente democratico risulta indispensabile per affrontare questo problema. La permanenza per molti decenni di grandi e potenti associazioni criminali sono un chiaro segno di connivenza o aperta complicità fra politica e criminalità, nonché di una mancanza di vera democrazia.
Riassumiamo quindi la rete di problemi legati alla criminalità: le cause storiche sono le stesse che portano anche alla guerra, ma rispetto a questa, risulta ancora più importante il contributo dato dai fattori culturali come la mancanza di democrazia e la cattiva gestione politica ed economica.
PALCO D’ONORE
ALESSANDRO BARATTA
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Come tutti sappiamo, le malattie sono sempre esistite e sono chiaramente un fenomeno naturale, tuttavia oggi farebbe scandalo la morte di un paziente affetto da polmonite, mentre un tempo era una ovvia fatalità. Grazie ai progressi della medicina sono cambiati gli strumenti per difenderci sia dal punto di vista delle cure che da quello della prevenzione.
La scienza moderna ci ha permesso di conoscere la vera natura di tali fenomeni che, nel loro manifestarsi, sono a volte meno naturali di quanto si possa pensare; ad esempio le ricorrenti e spaventose epidemie di peste bubbonica del medioevo furono favorite dal trasporto di topi infetti nelle navi commerciali che provenivano da paesi lontani; alla base della pestilenza dunque non vi era solo la natura o l’ignoranza di cure mediche, ma anche la rete di rotte commerciali che furono la causa scatenante delle epidemie nei paesi europei; in tempi assai più recenti, nel ventesimo secolo, si ebbe una epidemia della febbre emorragica di Ebola, dovuta alla povertà che indusse gli ospedali africani a riutilizzare gli aghi usati dopo averli disinfettati; purtroppo il virus era in grado di resistere a quel processo di disinfezione e quindi furono proprio le cure ospedaliere a scatenare l’epidemia. Meritano di essere citate anche le patologie dovute alle varie forme di inquinamento industriale dell’aria e dell’acqua, nonché quelle dovute agli esperimenti atomici a cielo aperto e simili.
La medicina oggi documenta innumerevoli patologie che sono legate più al comportamento umano che alla natura, ne segue che anche questi fenomeni, a prima vista così naturali, spesso hanno una base culturale e politica, che ci riportano a problemi già noti come la mancanza di democrazia, lo stato di sudditanza della popolazione, la frammentazione sociale.
Su questo argomento vale la pena ricordare l’importanza di una corretta ed adeguata informazione, nonché di un’adeguata cultura per comprenderla: le nozioni di storia, medicina ed economia, necessarie per comprendere sia i predetti legami fra malattie e società, sia le eventuali misure di prevenzione, devono essere un patrimonio comune. Ecco un caso pratico che conferma come la cultura serva a vivere e non solo a lavorare; la medicina non è riservata esclusivamente ai medici, alcune nozioni di base devono essere note a tutti, sia per capire i consigli dei medici stessi, sia per capire le responsabilità nostre e dei nostri politici in merito. Un analogo discorso può essere fatto per tutte le altre discipline: diritto, economia, biologia, psicologia, ecc.
APPROFONDIMENTI
EBOLA, ESPERIMENTI NUCLEARI, INQUINAMENTO, PESTE
PALCO D’ONORE
ALBERT BRUCE SABIN
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In precedenza si è detto che i limiti più grandi alla libertà personale e collettiva derivano da regimi politici e tradizioni culturali autoritarie. A questi problemi si è risposto culturalmente introducendo nuovi valori come la democrazia, la tolleranza, la parità dei sessi e i diritti dei bambini; tuttavia eravamo giunti alla conclusione che tra le libertà più importanti vi erano anche quelle di avere una casa, una famiglia, un lavoro, prospettive di carriera o di prestigio sociale; nell’esercizio di tali libertà si incontrano ancora grandi ostacoli anche nel mondo occidentale, non autoritario e con la mentalità patriarcale in netto declino.
La prima causa che incontriamo per questi problemi è di tipo economico: disoccupazione, salari contenuti, case troppo costose e quindi difficoltà e lunghi tempi di attesa per poter formare una famiglia. La povertà o una semplice cattiva gestione economica è certamente uno dei principali mali, nemico della libertà quanto le dittature alle quali è spesso associata; le masse oppresse economicamente si trovano infatti in uno stato di naturale dipendenza ed esasperazione che le rende più facilmente manipolabili favorendo l’instaurarsi di governi autoritari.
Vale la pena di ricordare che la povertà in genere comporta anche un minore accesso all’istruzione, esponendo i cittadini ai pericoli dell’ignoranza e della disinformazione, altri fattori che facilitano la manipolazione delle masse.
La gestione della propria economia personale è certo una responsabilità del singolo individuo, ma indubbiamente è molto dipendente anche dall’economia collettiva ovvero dalla politica economica; di nuovo troviamo un legame con la gestione politica, la quale dovrebbe essere uno strumento per risolvere tali problemi. Le difficoltà che incontriamo nell’ottenere una vita dignitosa dunque possono dipendere sia dalle nostre incapacità personali, sia da una cattiva gestione economica a livello politico. Si badi bene che i problemi economici, anche se non dovuti ad una cattiva politica economica, ma all’evoluzione storica dei mercati e ad altri fattori imprevedibili, dovrebbero essere perlomeno attenuati da una buona gestione a livello politico; in alcuni casi quindi la responsabilità dei politici non è quella di essere la prima causa del problema, ma quella di non intervenire in modo adeguato. Le difficoltà nel gestire i politici inadempienti o incapaci ci riportano infine al problema della mancanza di democrazia.
Oltre ai soldi vi è un altro bene assai prezioso la cui carenza rappresenta un grave problema: il tempo. Per compiere qualunque azione occorre del tempo, a volte ciò che ci occorre non è del tutto fuori portata, ma per ottenerlo ci occorre troppo tempo: lunghe ore nel traffico per andare a lavoro, ore di fila alla posta, lunghi anni per completare gli studi, anni per trovare un lavoro stabile, anni per essere in grado di mantenere una famiglia, decenni per pagare il mutuo della casa. Altre volte manca il tempo necessario: poco tempo per mangiare, per stare con i figli, per divertirsi, per lavorare bene.
Come mai nel terzo millennio, con elettrodomestici per ogni esigenza, con computer superefficienti, con automobili velocissime e con telefoni portatili, ci manca il tempo? Si ripresenta lo stesso fenomeno dei geni vantaggiosi: una volta che si sono diffusi a tutta la popolazione non sono più un vantaggio, essere grandi e forti per esempio è un vantaggio solo fino a quando sono numerosi quelli piccoli e deboli, ma quando la selezione li avrà eliminati si ritornerà al punto di partenza, con un’accanita e temibile concorrenza. Allo stesso modo, sempre in un ambiente concorrenziale, la diffusione delle tecnologie più veloci porta al fatto che più tempo risparmiamo, più ne abbiamo bisogno in un circolo vizioso senza fine. È un fenomeno normale sia nell’evoluzione biologica, sia nell’evoluzione della società, ma che risulta particolarmente evidente nello stato di emergenza evolutiva nel quale ci troviamo.
Il discorso appena fatto per il tempo può essere generalizzato per qualunque risorsa: se coltiviamo un campo di grano per il nostro personale fabbisogno, un sistema di coltivazione più efficiente ci permetterà di produrre più grano, qualora ce ne sia la necessità, oppure ci consentirà di risparmiare terreno, la nostra risorsa, in modo da poterlo destinare ad altri usi; se invece produciamo grano per venderlo in concorrenza con altri produttori, il diffondersi di una nuova tecnica più efficiente consentirà a chi la possiede di vendere a prezzi minori e ciò farà aumentare la clientela, cioè la domanda del prodotto; la maggiore richiesta di grano renderà necessario un aumento della produzione, magari tale da richiedere tutto il terreno già disponibile e forse anche di più.
In regime di concorrenza può quindi capitare che un aumento delle proprie capacità non comporti un risparmio di risorse; questo vale per il terreno, per il tempo e per ogni bene legato a un’economia di mercato, ecco dunque che la capacità di risparmiare tempo non ha portato ad un aumento effettivo della libertà.
PALCO D’ONORE
ARTHUR CECIL PIGOU
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Parlando dei pericoli che minacciano la libertà di scelta e di pensiero si erano posti in evidenza la disinformazione, la pubblicità e le tecniche di manipolazione mentale; l’essere umano è infatti un animale sociale e come tale è stato predisposto dalla natura ad uniformarsi al gruppo, ne segue che noi tutti siamo facilmente influenzabili e quindi siamo potenziali vittime di manipolatori che ben conoscono i meccanismi della mente umana.
A conferma di quanto appena detto è sufficiente ricordare alcune situazioni molto comuni, delle quali noi tutti abbiamo avuto esperienza diretta:
• molti di noi hanno acquistato dei prodotti dopo aver ricevuto dei campioni in omaggio (tecnica che sfrutta la spontanea tendenza a contraccambiare ed a riconoscere come amico chi ci tratta con cordialità) e per lo stesso motivo hanno votato dei politici solo per aver partecipato a una cena elettorale; si badi che la reazione a contraccambiare un favore è inconscia e quindi si possono fare concessioni molto più importanti rispetto a quanto ottenuto. Inoltre, nei rari casi in cui si è consapevoli del trucco, si può verificare che, se si è accettato il dono, è quasi impossibile resistere al senso di colpa che ci impone di non andar via senza aver comprato qualcosa.
• altri hanno lasciato una mancia ai camerieri vedendo un recipiente con delle monete (tecnica che si fonda sull’innata tendenza ad uniformarsi alla consuetudine) e per lo stesso motivo si recano puntualmente alle urne a ogni elezione politica (anche in questo caso agiamo istintivamente, senza pensare al servizio reso dal cameriere o ai meccanismi delle leggi elettorali che in molti casi stravolgono la volontà popolare);
• molte volte ci siamo trovati a ritenere congruo il prezzo di un oggetto dopo aver visto il prezzo molto più elevato di oggetti simili (tecnica che sfrutta il giudizio basato sul confronto) e per lo stesso motivo abbiamo votato un politico dopo aver giudicato assolutamente inaffidabile l’avversario (il tutto sempre per reazioni condizionate, che non valutano le effettive qualità dell’oggetto rispetto al proprio prezzo o le reali capacità del politico a svolgere il proprio mandato);
• probabilmente tutti abbiamo comprato qualcosa di pubblicizzato da un’attrice o da un campione sportivo (tecnica che deriva dall’innata reazione di simpatia) e per lo stesso motivo abbiamo votato un politico solo perché originario della nostra città o perché ha più o meno la nostra età (anche stavolta la reazione non è controllata dal ragionamento, che evidenzierebbe immediatamente l’assoluta mancanza di nesso fra le caratteristiche dell’attrice o del politico con l’oggetto commercializzato piuttosto che con il programma elettorale);
• a diverse persone è capitato di ordinare vini costosissimi al ristorante dopo essere stati consigliati da uno sconosciuto qualificatosi come sommelier (tecnica studiata sull’innata sottomissione all’autorità o a un personaggio autorevole) e per lo stesso motivo è capitato di votare un politico in quanto affermato professore o ricco imprenditore (anche la reverenza all’autorevolezza scatta senza valutare le nostre effettive necessità);
Alla base di queste banali tecniche di inganno, come di altre più complesse, vi è dunque la natura della mente umana che la rende facilmente pilotabile, ma la stessa natura forma persone con pochi scrupoli: anche i manipolatori sono infatti esseri umani che seguono la propria natura, quella di predatori dei propri simili. Che cosa spinge lo stesso uomo ad essere ora un alleato e dopo uno spietato truffatore o peggio? I fattori che scatenano la parte peggiore di noi sono molto numerosi, ma nel caso della pubblicità commerciale troviamo certamente la paura di soccombere alla concorrenza, la semplice avidità, la paura di future crisi economiche che spinge ad accumulare il più possibile nel presente ed infine una tradizione culturale di tipo delinquenziale. Per quanto riguarda la propaganda politica troviamo fattori assai simili, in particolare un’accesa concorrenza ed una mentalità con pochi scrupoli, fra i quali ha un peso maggiore la sete di potere.
Stiamo parlando di cose così profondamente radicate nell’animo umano da apparire fin troppo naturali, quindi devono essere sempre esistite e sempre esisteranno, vi siamo abituati da millenni e sappiamo come difenderci in modo accettabile. Le cose tuttavia sono cambiate nell’ultimo secolo con gli sviluppi della psicologia e dei mass media, esistono oggi nuove tecniche e nuove situazioni e noi, povere prede, non sappiamo chiaramente difenderci, visto il successo delle varie forme di propaganda.
Oltre che alla natura, la situazione attuale va imputata allora alla nostra veloce evoluzione culturale, alla quale ci dobbiamo adeguare in modo altrettanto rapido; il tutto si riduce quindi ad un problema di adattamento culturale, dobbiamo produrre nuove tecniche di difesa, l’ignoranza e l’apatia sono i principali alleati delle tecniche di persuasione.
Considerando poi che i nostri nemici sono degli specialisti al soldo di grandi e ricche aziende o grandi e potenti partiti, non si può sperare che il singolo cittadino riesca a difendersi da solo: deve a sua volta formare ed appoggiarsi ad una grande organizzazione che lo difenda; una simile organizzazione dovrebbe essere lo Stato, che avrebbe i mezzi e l’autorità per farlo, ma che purtroppo è sotto il comando dei politici, dei partiti e delle grandi aziende senza scrupoli da cui ci dovrebbe difendere. Anche altre organizzazioni, come i sindacati o le varie associazioni, in mancanza di un ordinamento democratico efficiente non possono operare, oppure non tardano a fare accordi sottobanco con i potenti.
Anche in questo caso dunque, la disorganizzazione del cittadino e la mancanza di democrazia giocano un ruolo decisivo rispetto al problema della manipolazione mentale.
PALCO D’ONORE
ROBERT CIALDINI
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Si parla spesso della progressiva decadenza delle scuole, insegnanti sottopagati ed umiliati in vari modi, programmi antiquati o scelti con criteri molto discutibili, studenti privi di disciplina e abbandonati a sé stessi, strutture prive di manutenzione. Cerchiamo di analizzare insieme questi problemi che sembrano aumentare in modo esponenziale ed inarrestabile: gli uomini cercano di scegliere un lavoro che dia loro gratificazioni sia economiche che morali; se insegnare nelle scuole pubbliche significa guadagnare stipendi minimi, lavorare in ambienti spesso fatiscenti, subire pressioni, minacce e denunce da parte dei genitori degli allievi delle scuole primarie e da parte direttamente degli studenti delle scuole secondarie, alla lunga, chi svolgerà il delicato e fondamentale ruolo dell’insegnante? Probabilmente chi non è riuscito a trovare di meglio, si sta cioè effettuando una selezione dei meno qualificati unitamente a un’ingiusta umiliazione di coloro che, nonostante tutto, hanno la vocazione dell’insegnamento e tentano di svolgere seriamente il proprio lavoro. Si tratta di un problema di primaria importanza che genera una terribile spirale involutiva: una classe insegnante debole e impreparata forgia allievi ignoranti e indisciplinati che domani saranno genitori incapaci di crescere dei figli rispettosi degli insegnanti e propensi allo studio; i titoli di studio saranno sempre più sviliti dalla diffusione dell’impreparazione e, in una società in cui non si emerge per i meriti, gli studenti più lodevoli saranno comunque destinati a chiedersi perché abbiano studiato tanto; una popolazione di ignoranti, cresciuti da genitori assenti e da insegnanti impreparati, demotivati e succubi dei propri allievi, nonché insieme a coetanei altrettanto ignoranti, bulli e teppisti, non potrà mai capire l’importanza dello studio, soprattutto se i titoli di studio non danno certezze di lavori gratificanti e la società in generale non dà certezze per il prossimo futuro. Se il futuro è solo una nebulosa indefinita, ecco il proliferare delle tanto criticate generazioni del “tutto e subito”, senza rispetto per lo studio e per gli insegnanti, per il lavoro e i lavoratori, per i deboli e gli anziani, per gli altri e per sé stessi.
La pubblica istruzione è un sistema piuttosto complesso, come accade spesso nelle varie organizzazioni umane; tali sistemi sono come dei giardini, se non vengono curati in continuazione, saranno invasi dalle erbacce. La scuola pubblica è dunque un giardino trascurato dai propri giardinieri, cioè dalle istituzioni dello Stato, le quali evidentemente non sono interessate ad una buona formazione della generazioni future.
Sappiamo infatti che tanto più i cittadini sono ignoranti tanto più sono manipolabili, inoltre quanto più le scuole risultano inefficienti, tanto minori saranno gli studenti a raggiungere un alto livello di istruzione, cioè coloro che domani saranno i rivali dell’attuale classe dirigente, la quale peraltro si può permettere scuole private.
Alla base dunque del degrado progressivo delle scuole troviamo ancora una pessima gestione politica che, in assenza di democrazia, siamo costretti a subire passivamente, nonché tutta una serie di problemi economici e sociali, dovuti ai rapidi cambiamenti del mondo moderno, che hanno mutato le aspettative di occupazione dei giovani e reso i tradizionali percorsi scolastici inadeguati. Abbiamo già espresso il concetto di emergenza evolutiva e detto come questa possa essere fronteggiata solo con appositi adattamenti culturali; ne segue che una scuola inadeguata, una scuola carente soprattutto nell’istruzione di base che dovrebbe invece formare all’adattamento continuo alle veloci mutazioni ambientali, crea dei danni veramente incalcolabili.
PALCO D’ONORE
JOSEPH LANCASTER
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Visti gli esempi precedenti, possiamo notare come alla base dei problemi esaminati si trovi sempre la mancanza di democrazia, alla quale poi sono sempre legati altri problemi come l’ignoranza, la disinformazione e la disorganizzazione sociale dei cittadini. Potremmo fare molti altri esempi nei quali arriveremmo alla stessa conclusione, questo perché per affrontare un qualunque problema è necessario avere le conoscenze adeguate, le informazioni giuste e, se sono necessarie delle soluzioni collettive, un’organizzazione che ci permetta di metterle in pratica. Se dunque vi sono delle grandi questioni da lungo tempo irrisolte è quasi certo che alla loro base troveremo i suddetti problemi.
I problemi radice che abbiamo trovato non sono allora delle cause remote e comuni alle principali disgrazie che ci affliggono, ma sono degli ostacoli che ci impediscono un adattamento culturale adeguato, sono delle barriere che bloccano la nostra principale risorsa per trovare delle soluzioni, ecco perché li ritroviamo alla base di tutti quei problemi che non riusciamo a risolvere.
È chiaro che ogni problema presenta anche delle difficoltà sue peculiari; ad esempio, se vogliamo raggiungere una baita in montagna per le vacanze (problema iniziale) stabiliremo il percorso da seguire con la nostra auto (soluzione), ma lungo la strada potremmo incontrare ghiaccio o neve come ostacoli ulteriori; se avessimo scelto un’altra destinazione come una casa al mare, forse avremmo trovato l’autostrada bloccata per un incidente o per l’alto numero di turisti e certo non la neve, ma se alla partenza scopriamo che la nostra auto ha la batteria scarica, avremo un ostacolo da superare qualunque destinazione si voglia raggiungere. Allo stesso modo, i problemi radice sono degli ostacoli validi per qualunque problema si voglia risolvere, è necessario dunque superarli per primi, così come bisognerà ricaricare la batteria della macchina prima di mettersi in viaggio.
È opportuno anche notare che tali problemi, come vere e proprie radici, alimentano e sostengono in continuazione tutti gli altri problemi da loro dipendenti; ignoranza, disinformazione e disorganizzazione da sempre formano un terreno fertile per le guerre, la criminalità, le malattie, la manipolazione delle masse.
Se si taglia una pianta alla base lasciando le radici nel terreno, molto probabilmente la pianta ricrescerà; allo stesso modo per quante guerre vengano combattute e vinte, se ne trovano sempre di nuove da combattere; finita una forma di discriminazione sociale, ad esempio fra nobili e plebei, ne compare presto un’altra fra padroni ed operai oppure una nei confronti delle popolazioni immigrate, o di tipo religioso e così via.
Facendo l’esempio inverso, se tagliamo alla base una pianta e poi estirpiamo le radici, anche ripiantando il fusto, certamente senza radici questo si seccherà e morirà; allo stesso modo con una cultura, una informazione, nonché con una organizzazione democratica efficienti, tanti dei nostri problemi non potranno sopravvivere così come è già accaduto per tante malattie davanti ai progressi della medicina.
È dunque di fondamentale e primaria importanza dedicare tempo ed energia per individuare, esaminare e risolvere i problemi partendo dalle radici.
UN FENOMENO DA CONOSCERE
L’APARTHEID
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Parlando in astratto, tutti consideriamo negativamente l’ignoranza, la disinformazione, la disorganizzazione sociale e la mancanza di democrazia, ma per passare alle situazioni concrete bisogna tornare al concetto di percezione-reazione esaminato nello studio delle nostre strategie evolutive. E’ infatti improbabile che si possa reagire adeguatamente ai problemi radice senza averne piena consapevolezza e questa è ancora una volta offuscata dal grande inquinamento psicologico che caratterizza i nostri tempi. Riflettiamo insieme:
• come si fa a pensare che il problema dell’ignoranza sia una priorità in un mondo di laureati? La reale portata dell’attuale ignoranza è mascherata dai vari titoli di studio che tutti possiamo vantare, senza soffermarci sulla vera valenza di attestati e diplomi, nonché dalla convinzione che una persona ultraspecializzata, per esempio un neurochirurgo, non possa essere ignorante in infinite altre discipline alcune delle quali di fondamentale importanza;
• è mai possibile che esista un problema di disinformazione nell’era dei mass-media? La vera dimensione dell’attuale disinformazione è coperta dalla grande mole di dati che ci sommergono ogni giorno da diverse fonti: varie reti televisive, con vari telegiornali, rassegne stampa, interviste, esperti, ecc., ma la grande quantità è sempre più a discapito della qualità: giornalisti opinionisti, giornalisti conduttori, giornalisti portavoce, giornalisti intrattenitori, giornalisti mediatori, insomma tutto meno che veri giornalisti, cioè portatori di fatti, fatti oggettivi, non interpretati, manipolati, omessi o falsati;
• come si può percepire il problema della disorganizzazione sociale in pieno boom del terzo settore? L’effettiva consistenza dell’attuale frammentazione sociale è nascosta dalla miriade di forme associative esistenti: partiti politici, sindacati dei lavoratori, comitati di quartiere, associazioni sportive, congregazioni religiose, enti di beneficienza, fondazioni culturali, ecc., ma ancora una volta la quantità non permette di focalizzare la carenza di qualità: quante persone possono affermare che esiste un partito politico veramente rappresentativo? E un sindacato veramente affidabile? E un’associazione sportiva senza fini di lucro? E un ufficio pubblico veramente efficiente?
• non è inconcepibile parlare di mancanza di democrazia dopo la conquista del suffragio universale? Come può mancare in un mondo dove tutti votano? Abbiamo visto che è invece estremamente semplice: basta votare il meno peggio (rinunciando quindi ad avere dei veri rappresentanti), o votare delle liste compilate dalle segreterie di partito (rinunciando quindi alla libertà di voto), tuttavia è opinione assai diffusa che questo sia un modello di democrazia reale o che addirittura vi sia un eccesso di democrazia. Si tratta del problema radice più difficoltoso da estirpare proprio perché meno avvertito, anzi del tutto ignorato. Inoltre tale carenza di percezione è figlia dell’ignoranza (anche dei plurilaureati), della disinformazione (dovuta proprio ai mezzi di informazione) e della disorganizzazione sociale che ci porta, bisognosi della tutela di un gruppo come siamo, ad aderire ed appoggiare qualunque tipo di dittatura o falsa democrazia; questo paradossalmente vale maggiormente per chi è più insoddisfatto dello stato di cose attuale, perché essendo esasperato è disposto ad accettare di tutto pur di cambiare; ecco allora che i problemi radice si intrecciano fra loro creando una rete sinergica che ne amplifica la forza.
PALCO D’ONORE
JOI ITO
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