Capitolo 5.a

10 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

IL VILLAGGIO MODERNO

Abbiamo osservato che ogni adattamento può essere visto come la soluzione di un problema ed ogni problema come una necessità di un adattamento; l’essere umano è la specie che ha sviluppato molto più di ogni altra la capacità di adattamento culturale il quale è molto più veloce di quello genetico, si tratta di una delle nostre caratteristiche principali, la nostra strategia evolutiva vincente. Trovare delle soluzioni fa pertanto parte della nostra natura, è un’attività impegnativa, ma sicuramente alla nostra portata, siamo i migliori del pianeta in questo campo. I problemi radice sono degli ostacoli all’esercizio di questa nostra facoltà, ecco perché vanno affrontati per primi; la difficoltà principale consiste nel riconoscerli come problemi: siamo infatti tutti cresciuti con la convinzione di essere ben informati guardando il telegiornale, di non appartenere più al volgo ignorante perché abbiamo raggiunto un certo grado di istruzione, di vivere in grandi comunità per giunta democratiche.
Questa difficoltà per noi è ormai cosa superata, forse ora trovare delle soluzioni potrebbe essere più facile di quanto ci si possa aspettare poiché i problemi radice, una volta riconosciuti come tali, diventano problemi qualsiasi. Evitiamo dunque di farci scoraggiare da vecchi luoghi comuni su problemi insolubili o sogni irrealizzabili.

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5.a.1 – Bisogna perseguire le utopie?

11 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Bisogna perseguire le utopie?

L’utopia viene spesso definita, sebbene non sia il suo significato originale, come un progetto irrealizzabile basato su dei principi giudicati universalmente giusti; da questa definizione deriva quella di utopista, visto come una persona che decide di seguire un ideale che ritiene giusto pur sapendo che questo ideale resterà irrealizzato. Si tratta di un concetto applicato ai progetti che tendono a una società ideale e perfetta, a una società fraterna e senza ingiustizie, pur riconoscendo che si tratta di una condizione irreale e irrealizzabile.
C’è chi esalta gli utopisti come gli uomini in cui riporre la speranza di un mondo migliore, come coloro che per un giusto ideale sono disposti ad immolare la propria vita; altri li vedono come esempi da seguire, confidando in una diffusione talmente universale dell’ideale utopico che ne permetta la realizzazione concreta; in altri casi gli utopisti vengono considerati uomini puri e senza peccato, come tali degni del massimo rispetto; infine c’è chi, pur considerandoli degli inguaribili sognatori, ne rimane comunque affascinato.
Anche questa volta è opportuno soffermarsi a riflettere: quando un progetto, ancorché basato su dei principi ritenuti giusti da tutti, viene giudicato irrealizzabile, che senso ha portarlo avanti? Se un progetto non porta a risultati concreti, si possono studiare dei correttivi e ritentare, ma sempre nella convinzione di arrivare prima o poi agli obiettivi prefissati; intestardirsi invece in un progetto per definizione irrealizzabile è semplicemente assurdo. Inoltre, come può un ideale irrealizzabile essere ritenuto universalmente giusto? Se veramente fossimo tutti d’accordo, si tratterebbe di un ideale non solo realizzabile, ma già realizzato; se invece si tratta di un ideale veramente condiviso, come per esempio il mantenimento del fisico dei ventenni fino a novanta anni, piuttosto che la possibilità di respirare sott’acqua, la mancata realizzazione dipende dal fatto che non si tratta di un obiettivo giusto, ma semplicemente contro natura. Sono stati fatti degli esempi estremi per sottolineare il paradosso implicito nella suddetta definizione di utopia, ma è importante non confondere gli ideali giusti con quelli irrealizzabili; tale confusione porta infatti una gravissima conseguenza a livello di inquinamento psicologico, porta cioè a tacciare di utopismo, e quindi di irrealizzabilità, progetti innovativi e validi, colpevoli solo di rompere gli schemi attuali, schemi magari superati e quindi inadatti alle nuove esigenze ambientali e sociali. Abbiamo invece visto come, in piena emergenza adattativa, sia indispensabile adeguarsi velocemente alle mutate condizioni senza farsi frenare da preconcetti, né tantomeno da modi di dire dei quali non si conosce nemmeno l’esatto significato dei termini.
Possiamo pertanto concludere che:
• se l’utopia è un progetto irrealizzabile, allora è un progetto da abbandonare;
• gli utopisti non esistono: coloro che credono nella realizzazione di un progetto irrealizzabile sono persone che sbagliano; coloro che non credono nella realizzabilità di un progetto e tuttavia insistono nel perseguirlo, sono dei masochisti; coloro che si vantano di essere degli utopisti, avendo subito il fascino di una definizione paradossale, sono semplicemente degli stolti.
• un progetto innovativo di cui non si conoscono esperienze simili, non è detto che sia utopistico;
• un progetto largamente sperimentato per lungo tempo, ma che non abbia portato mai ai risultati sperati, è probabile che sia utopistico; esso quindi non va modificato all’infinito con inutili correttivi, ma va abbandonato completamente per lasciare tempo ed energie a nuovi progetti validi. Spesso dei progetti utopistici non vengono abbandonati, nonostante i fallimenti succedutisi nel tempo, solo perché non si trovano progetti alternativi e ciò induce a pensare che siano sufficienti dei correttivi; una volta convinti di perseguire un progetto realizzabile, ancorché bisognoso di miglioramenti, si tenderà a rifuggire da qualsiasi progetto veramente alternativo e magari a considerare questo come utopistico solo perché mai sperimentato.
Un progetto che interessi l’organizzazione della nostra società, che ambisca a un miglioramento della qualità della vita, ma che non sia utopistico, deve dunque necessariamente basarsi su una profonda conoscenza della natura umana, sia dal punto di vista biologico, sia da quello culturale e portare a dei risultati concreti rispetto ai problemi reali. Chi decide di intraprendere un tale complesso percorso, deve aspettarsi di incontrare diversi ostacoli sul proprio cammino, deve essere pronto a valutare di volta in volta i cambiamenti di rotta che si rendessero necessari fino a rivedere profondamente le proprie convinzioni, ma soprattutto non dovrà farsi scoraggiare dai molti che inevitabilmente lo additeranno come utopista.

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5.a.2 – Demagogia, populismo e qualunquismo sono sinonimi?

12 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Demagogia, populismo e qualunquismo sono sinonimi?

La demagogia può essere definita come l’abilità dei politici ad assicurarsi dei vantaggi raggirando il popolo con discorsi ingannevoli e quindi spingendolo ad agire contro i propri interessi. Ecco allora che di volta in volta si alimenta l’odio verso gli immigrati, si aumenta la paura verso uno Stato autoritario, si fanno promesse irrealizzabili, ci si dichiara contro la droga; si tratta di una tecnica molto antica conosciuta sin dai tempi dell’antica Grecia e già allora veniva vista come una degenerazione della democrazia. Riflettendo un attimo risulta però evidente che in un vero sistema democratico la demagogia non potrebbe esistere, sarebbe la stessa organizzazione sociale, con a disposizione un efficiente sistema di formazione e informazione dei cittadini, a renderla inattuabile. La demagogia si basa dunque sui problemi radice della disinformazione, dell’ignoranza e della frammentazione sociale, non può essere una degenerazione della democrazia e anzi rappresenta una prova lampante che una vera democrazia non si è mai realizzata.
Il populismo è un termine con diverse accezioni: a volte viene usato come sinonimo di demagogia, altre volte per identificare quei movimenti politici che, cavalcando l’onda del malcontento popolare verso la classe dominante, tentano di effettuare un ricambio politico a proprio favore usando un linguaggio aggressivo che risulti di facile presa sulla popolazione. I politici al potere usano tale termine in senso dispregiativo, lo considerano un comportamento scorretto da parte degli avversari, un atteggiamento “poco sportivo” fra competitori, ma in realtà si tratta dell’ennesimo inganno per la popolazione, una popolazione disinformata, ignorante e frammentata da manipolare comunque.
Il qualunquismo si basa anch’esso sulla sfiducia nelle istituzioni e nei partiti politici, visti come distanti dal popolo, non rappresentativi e quindi d’intralcio alla libertà, ma tende a identificare la suddetta situazione come fisiologica della democrazia, portando a pericolose derive anarchiche. Anche il termine qualunquismo viene usato come sinonimo di demagogia e populismo quando viene attribuito a dei soggetti politici che vogliono scalzare quelli al potere sobillando le folle.
E’ importante conoscere bene il significato di tali termini perché molto spesso vengono usati impropriamente, ma efficacemente, contro i propri avversari. Succede che i maestri della demagogia accusino di demagogia i propri antagonisti, che i politici più populisti additino come tali i politici emergenti, che coloro i quali hanno conquistato le proprie poltrone parlamentari ricorrendo massicciamente al qualunquismo ora ne parlino con sdegno rispetto ai nuovi avversari. Non conoscere il vero significato di tali termini significa permettere l’espansione proprio della demagogia, del populismo e del qualunquismo, può significare non riconoscere i portatori di sane riforme sociali, ecco perché abbiamo voluto fare un po’ di chiarezza prima di cominciare a parlare delle possibili soluzioni ai nostri problemi.

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Domenica 13 settembre 1309

13 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

medieval percussionist

RULLINO I TAMBURI!

Oggi è festa nel Villaggio di Ofelon!

A sette mesi dalla fondazione del Villaggio di Ofelon
oltre trentaseimila “viandanti telematici”
hanno visitato il Villaggio.
vi aspettiamo tutti con piena cittadinanza, muniti del vostro avatar,
per ampliare sempre di più la nostra tavola rotonda
in cui vogliamo confrontarci su temi importanti,
ma sempre divertendoci insieme
e fino a raggiungere risultati concreti
per un effettivo, diffuso e percepito miglioramento
della qualità della nostra vita.

Ofelon per tutti
e tutti per Ofelon!

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5.a.3 – Su cosa si fondano i piccoli gruppi?

14 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Su cosa si fondano i piccoli gruppi?

Abbiamo identificato quattro problemi radice ed essi risultano strettamente legati fra loro, tanto da non poter essere risolti separatamente. Esaminando gli obiettivi che ci siamo posti possiamo notare che quasi tutti possono essere raggiunti solo in modo collettivo; il primo ostacolo da rimuovere dunque è quello della frammentazione sociale.
Al fine di ricomporre la nostra struttura sociale abbiamo stabilito due obiettivi:
• organizzare dei piccoli gruppi che formino una struttura rispettosa della natura umana, selezionata per vivere in una società tribale, e che allo stesso tempo sia compatibile con la vita moderna;
• riuscire a rendere veramente democratica tale struttura.
Organizzare piccoli gruppi è cosa piuttosto comune, si pensi ad una squadra di calcetto oppure ad un gruppo di turisti, ma si noti come in ogni caso sia necessaria un’attività che richieda collaborazione; questa caratteristica, da considerare principale già nei villaggi tribali, ha mantenuto inalterata la sua importanza fino ai nostri giorni, ma oggi le comunità moderne si sono svincolate dall’antico stile di vita basato su insediamenti isolati, autosufficienza economica e dipendenza dal territorio. Strutture di questo tipo quindi già esistono e sono ben note, pertanto il metodo per raggiungere il primo obiettivo esiste certamente ed è alla nostra portata; tale metodo consiste nel riunirsi attorno ad un obiettivo preciso, facilmente raggiungibile, in cui ognuno possa avere un ruolo nel comune interesse.
Quando l’esigenza che ha originato il gruppo perdura nel tempo, come nel caso delle associazioni di volontariato, il gruppo assume caratteristiche di stabilità e tende a crescere di numero. È da notare inoltre che, superata una certa dimensione, il gruppo tende ad organizzarsi in sottogruppi locali fra loro federati, i quali tendono a ricostituire anche una certa prossimità fisica fra i membri; nonostante la varietà di mezzi di comunicazione messa a disposizione dalla tecnologia, è infatti indubbio che la nostra natura ci porta a preferire i contatti diretti.
Con riferimento al secondo obiettivo abbiamo come modello solo la democrazia diretta che però non si può estendere a gruppi numerosi, incontrando grosse difficoltà già in gruppi di venti persone.

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5.a.4 – Può esistere una democrazia mista?

15 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Può esistere una democrazia mista?

L’unico modello di democrazia valido finora noto è quello diretto che però è applicabile al nostro ipotetico gruppo fino a che questo non superi un numero di una decina circa di persone. Tale numero corrisponde a quello degli amici che frequentiamo abitualmente così come corrisponde a quello di una squadra di cacciatori o di un altro gruppo di lavoro della società tribale; pertanto è questo il numero che per natura possiamo utilizzare in modo da svolgere proficuamente un’attività collaborativa, oltre tale numero si tende ad organizzarsi in gruppi paralleli.
Dato che lo scopo di un’assemblea democratica è quello di raggiungere una decisione che soddisfi al meglio il comune interesse e visto che si tratta chiaramente di un’attività collaborativa, appare logico cercare di applicare lo stesso principio.
Se per esempio consideriamo un gruppo di settanta persone così organizzato, avremo sette assemblee da dieci persone in cui si applica senza problemi la democrazia diretta ed ognuna di queste selezionerà la decisione ritenuta migliore. A questo punto possiamo notare che settanta persone sono troppe per la democrazia diretta, ma sono pochissime per quella indiretta, quindi per confrontare le diverse idee si può utilizzare comodamente il principio della rappresentanza inviando un delegato ad un consiglio generale di sette persone, il quale a sua volta potrà applicare al suo interno le regole della democrazia diretta.
Si può notare che con questa procedura non si presentano i problemi tipici della democrazia parlamentare in quanto i delegati conoscono direttamente tutti quelli che rappresentano, e quindi non necessitano di alcuna propaganda che andrebbe finanziata da qualcuno con cui sdebitarsi; inoltre un manipolatore potrebbe al massimo riuscire a circuire il proprio gruppo, arrivando a competere nel consiglio generale con altri che hanno raggiunto lo stesso livello onestamente, senza ottenere dunque un sensibile vantaggio rispetto ad essi. Egli potrebbe certo cercare di circuire anche i membri del consiglio generale i quali però saranno persone con idee già consolidate, riconosciute come leader e probabilmente più preparate, quindi meno esposte alla manipolazione.
Ecco allora che in un gruppo di numero paragonabile al villaggio tribale, cioè conforme alla nostra natura, siamo riusciti a fondere i due sistemi di democrazia tradizionali cogliendone i vantaggi ed evitando i rispettivi problemi.

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5.a.5 – E’ possibile allora un villaggio democratico?

16 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È possibile allora un villaggio democratico?

Affinché il nostro villaggio moderno sia effettivamente democratico deve rispettare i due requisiti minimi:
• l’insieme dei membri deve costituire effettivamente la massima autorità;
• la gestione deve essere una forma di autogestione, quindi deve seguire la volontà della collettività;
come sappiamo, nel sistema parlamentare vi sono vari motivi che rendono molto difficile per gli elettori controllare l’operato dei propri rappresentanti. Questo accade perché gli organi di informazione sono inaffidabili e corrotti, perché i cittadini non hanno la cultura e la mentalità per controllarli, né quella per eleggerli visto che in genere essi affermano di non sentirsi rappresentati e tuttavia continuano a votare le stesse persone o gli stessi partiti.
Nel villaggio moderno, con il sistema da noi proposto, ognuno può invece informarsi direttamente sull’operato dei delegati e può farlo anche con una certa cognizione di causa, trattandosi di argomenti già discussi personalmente nell’assemblea del proprio gruppo. Ancora più facile sarebbe esercitare su di essi la propria autorità, in quanto la nomina dei delegati avviene da parte di una decina di persone, non vi sono lunghi e costosi periodi elettorali e pertanto i rappresentanti possono essere cambiati in ogni momento e per qualsiasi motivo a costo zero: è infatti sufficiente accordarsi in solo sei persone. Per una maggiore competenza, sarebbe inoltre possibile cambiare delegato in base all’argomento da discutere nell’assemblea generale. Bisogna poi ricordare che su una popolazione così ristretta intervengono altri sistemi naturali di autocontrollo: i rappresentanti frequentano personalmente i propri deleganti e sono spesso ad essi legati da vincoli di amicizia o di parentela e quindi solo in casi rarissimi tradiranno la loro fiducia, sapendo di rischiare di perdere la faccia davanti a tutto il proprio gruppo.
Per quanto riguarda il secondo punto, dobbiamo vedere se un tale sistema permette una forma di autogestione; in effetti, poiché gli argomenti trattati nell’assemblea generale sono tutti o quasi già discussi nelle assemblee dei gruppi, i rappresentanti dovranno esprimere in maniera molto più dettagliata quella che è la volontà popolare e saranno molto più vincolati ad essa rispetto al sistema attuale.
Considerando inoltre che il villaggio moderno nasce dallo sviluppo di un piccolo gruppo di amici che si sono scelti vicendevolmente, che con lo stesso spirito accettano i nuovi aggregati e che dunque risulta formato da persone con affinità di carattere e di valori, è probabile che si generi una notevole uniformità di pensiero, tale da rendere minime le divergenze e frequenti le votazioni unanimi o quasi. In questo contesto le varie assemblee, compresa quella generale, non potranno che esprimere effettivamente la volontà popolare realizzando una forma di autogestione. Nelle antiche società tribali, alle quali si apparteneva dalla nascita senza possibilità di scelta, una simile uniformità di pensiero veniva invece realizzata attraverso una severa educazione di stampo dogmatico, la suggestione collettiva e la disinformazione naturale; nei nuovi villaggi in formazione, basati sulla selezione di individui già affini per mentalità ed interessi, questi fenomeni non sono più necessari e possono essere ridotti al minimo favorendo sia una maggiore libertà di pensiero, sia una maggiore ricchezza culturale e venendo quindi incontro alle esigenze del mondo moderno.
Tuttavia anche questo sistema si basa sul presupposto che i singoli abbiano un’adeguata cultura democratica, ovvero sappiano qual è lo scopo della democrazia, qual è il proprio ruolo e quello dei delegati, nonché conoscano quali siano gli strumenti che il sistema mette a loro disposizione e come usare correttamente gli stessi al fine di tutelare i propri interessi. Per realizzare la vera democrazia, anche in un piccolo villaggio, non possiamo dimenticare il problema di una valida gestione culturale che valorizzi la preparazione democratica dei singoli.

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5.a.6 – Come gestire un’assemblea?

17 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come gestire un’assemblea?

L’assemblea è lo strumento democratico principale e tutti, quando occorre, devono essere in grado di usarlo. A tal fine è certo necessario sapersi esprimere con chiarezza, ma ancora più importante è saper ascoltare, non si può pretendere di avere sempre ragione. Di nuovo troviamo la necessità di un minimo di umiltà, quel tanto che basta per ammettere i propri errori.
In una riunione non ci si deve limitare a parlare per affermare le proprie idee, ma si deve anche giudicare con obiettività quello che dicono gli altri; per questo allora è necessario anche avere il tempo per riflettere, per capire, per domandare e magari per rivedere le proprie convinzioni. Il modello che spesso ci viene presentato dalla televisione di una democrazia basata sul dibattito, sulle discussioni o peggio sui litigi, è altamente diseducativo: con tale metodo prevarranno le idee di chi ha la risposta più pronta o di chi urla più forte, non certo le idee migliori e di interesse comune. La vera democrazia si basa sul dialogo, interrotto da lunghe pause per pensare, il cui scopo è cercare la soluzione migliore per tutti e non quello di imporre il proprio punto di vista; questo è anzi l’atteggiamento antidemocratico per eccellenza, nel quale si rivela uno scarso rispetto per la collettività.
Abbiamo dunque scoperto un altro concetto fondamentale: le decisioni da prendere devono essere valide per tutta la comunità, le proposte che vengono fatte non si devono limitare a tutelare gli interessi di una fazione, ma devono concretamente realizzare un progresso collettivo; scegliere un rappresentante che tuteli i nostri interessi personali o di fazione a discapito di quelli degli altri, non è una scelta democratica, ma l’esatto contrario, ci si sta ponendo al di fuori della comunità per poterla sfruttare. Affinché vi sia volontà popolare ci deve essere un popolo e un aggregato di fazioni in guerra fra loro evidentemente non lo è.
Affinché da una riunione si ottengano le decisioni migliori per la collettività, è dunque necessario che i partecipanti conoscano bene valori quali la tolleranza, il rispetto e la solidarietà. Se infatti applichiamo una regola da tutti conosciuta, quella della maggioranza, a due popolazioni che non si rispettano reciprocamente e che quindi si mantengono ben distinte, si ottiene che il gruppo più numeroso, essendo in maggioranza, opprimerà la minoranza come ogni classe dominante che si rispetti; tale paradosso, detto dittatura della maggioranza, ci mostra come un presupposto fondamentale per la democrazia sia un gruppo solidale che si riconosca come tale.
A questo punto è opportuno soffermarsi un attimo a parlare della differenza fra un gruppo pluralista e uno con divisioni interne: il primo è un gruppo al cui interno sono presenti opinioni diverse e dove queste vengono tollerate senza incrinare l’identità del gruppo, identità data appunto dalla solidarietà, dallo spirito di corpo e dalla collaborazione; il secondo è un gruppo in cui le differenti opinioni, anche se tollerate, spingono le diverse fazioni ad identificarsi come gruppi diversi, indebolendo il rispetto e la solidarietà reciproca e in breve tempo sarà difficile parlare ancora di un singolo gruppo. Pluralismo e divisione vanno ben distinti perché, come sappiamo, il primo è una ricchezza per la comunità in quanto, come la varietà genetica, aumenta le sue probabilità di sopravvivenza; la seconda è invece una rovina, in quanto mina alle fondamenta la comunità che è una delle principali risorse per la sopravvivenza dell’uomo. Per avere democrazia pertanto non è necessaria l’uniformità di pensiero, peraltro dannosa, ma solo rispetto e solidarietà.

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5.a.7 – Come tutelare le minoranze?

18 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come tutelare le minoranze?

Se a questo mondo esistono le regole è perché non viene sempre naturale seguirle, analogamente, anche se tutti riconoscono il rispetto e la solidarietà come dei valori importanti, non sempre il nostro comportamento è coerente con essi; ecco perché bisogna porre delle regole e fare in modo che siano rispettate. Partendo allora dai nostri valori, dobbiamo porci delle regole che garantiscano il rispetto e la solidarietà all’interno del gruppo; lo scopo è evitare che si formi una dittatura della maggioranza.
Considerando un gruppo di tre persone è possibile che due si accordino sistematicamente a danno della terza; in precedenza abbiamo detto che in una comunità tutti devono avere un vantaggio nell’appartenervi, se invece vi è un danno non si è membri della comunità, ma vittime della stessa; affinché quindi vi sia una vantaggiosa convivenza e collaborazione è essenziale anche il diritto di dissociazione oltre che quello di associazione. Il gruppo non deve essere una prigione e quindi, riprendendo l’esempio delle tre persone, il terzo elemento sempre in minoranza deve avere il diritto di andarsene, se lo ritiene conveniente. Questa facoltà certo pone un limite alla prepotenza degli altri due, ma non è sufficiente ad eliminarla perché, contando sul bisogno che ha il terzo, come tutti gli altri, di appartenere al gruppo, essi possono continuare a vessarlo senza arrivare al punto di convincerlo che restare non è più conveniente.
In base al principio della solidarietà nel gruppo le decisioni devono essere a vantaggio di tutti o quantomeno non danneggiare nessuno, ma in certi casi questo non è possibile e quindi qualcuno dovrà sacrificarsi per il bene degli altri (non per il bene collettivo, essendo egli escluso dai benefici e anzi danneggiato). In una vera comunità verrebbe spontaneo che i beneficiati cerchino di ricompensare chi si è sacrificato per loro, limitando o annullando il danno che ha ricevuto. Se dunque questa volta consideriamo tre persone legate da sincera amicizia, e due di queste possono guadagnare diecimila euro causando un danno di duemila al terzo, immediatamente si accorderebbero spartendo in tre parti ottomila euro e usando i duemila rimanenti per coprire il danno arrecato al terzo, il quale avrebbe alla fine un vantaggio invece che un danno. Pertanto per un atteggiamento corretto, coerente con gli scopi della democrazia, è bene porre la seguente regola: quando la maggioranza ritiene opportuno prendere una decisione che danneggia una minoranza, la stessa è tenuta a risarcirla e condividere con essa parte del beneficio ottenuto.
Con una simile regola possiamo prevedere che molte decisioni verrebbero prese all’unanimità oppure, nel caso in cui il guadagno non superi il risarcimento, non verrebbero prese affatto. L’unanimità è la situazione di massimo accordo, non significa avere in partenza tutti la stessa idea, ma aver trovato un buon compromesso grazie al dialogo e al confronto, tuttavia anche con la regola del risarcimento sappiamo che non sempre sarà possibile realizzarla, per esempio nel caso in cui alcuni non siano d’accordo senza essere danneggiati in alcun modo. Se dunque è giusto cercare di raggiungere l’unanimità nel maggior numero di casi possibile, non è realistico pensare di riuscirci sempre, un sistema che non preveda soluzioni alternative non può funzionare.
Se non si raggiunge il totale accordo la posizione che lascia insoddisfatte il minor numero di persone è certo quella della maggioranza assoluta; alla minoranza non resta che accettare il risarcimento, se dovuto, o abbandonare il gruppo.

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5.a.8 – Come scegliere il rappresentante?

19 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come scegliere il rappresentante?

Anche in un gruppo estremamente piccolo di quattro o cinque persone, può accadere che un membro non possa o non voglia partecipare alla riunione. In tal caso si possono adottare varie strategie:
• si può rimandare la riunione, se si tratta di un impedimento temporaneo e la decisione da prendere non è urgente;
• la riunione si svolge regolarmente e l’assemblea decide anche per chi è assente, come se questi, con la sua assenza avesse delegato automaticamente l’assemblea a decidere per lui;
• il membro mancante, invece di rimettersi all’assemblea, delega una singola persona che lo sostituirà.
Il delegato può rappresentare il suo delegante fondamentalmente in due modi: nel primo egli presenterà all’assemblea la volontà direttamente a lui riferita dal delegante; nel secondo egli deciderà come meglio crede a nome del delegante. Il secondo modo diviene una necessità quando il membro assente non conosce gli argomenti che saranno trattati nella riunione o se ritiene di non avere le conoscenze necessarie per prendere una decisione responsabile.
In gruppi più grandi i rappresentanti vengono utilizzati principalmente per evitare riunioni troppo numerose e quindi si formano dei sottogruppi ognuno dei quali manderà un rappresentante all’assemblea generale, tuttavia le caratteristiche del rappresentante rimangono le stesse: secondo i casi egli presenterà le decisioni già prese oppure deciderà autonomamente per gli altri.
Dato il ruolo fondamentale svolto dai rappresentanti nella democrazia indiretta e in particolare nella struttura del nostro moderno villaggio, risulta evidente che i criteri di scelta del rappresentante sono di enorme importanza, essi devono essere stabiliti liberamente dal delegante e non possono essergli imposti, poiché in caso contrario sarebbe compromessa la sua libertà di scelta e quindi la sua capacità di farsi rappresentare adeguatamente. Bisogna assolutamente ricordare che tali criteri, proprio per la loro importanza, devono essere scelti con molta cura in modo che possano svolgere bene la loro funzione, poiché altrimenti la partecipazione democratica del singolo verrebbe nuovamente compromessa; non basta dunque assicurare la libertà di scelta del rappresentante, ma bisogna realizzare un sistema che permetta una rappresentanza efficace, cioè una vera tutela degli interessi del delegante.
Il fatto che ognuno possa scegliere i criteri che vuole non significa che il criterio scelto sia sempre valido, anzi è facile constatare che i criteri normalmente usati, basati sulla simpatia, sul partito di appartenenza, sulle dichiarazioni fatte in campagna elettorale e sulla propaganda in generale, sono un clamoroso fallimento: i rappresentanti scelti con tali metodi pongono gli interessi dei loro elettori all’ultimo posto. Per mancanza di cultura democratica, il singolo cittadino non controlla l’efficacia dei propri metodi di scelta come non controlla l’operato dei propri politici.
Per lo stesso motivo, quasi nessuno di noi conosce dei criteri validi ed è quindi indispensabile porsi il problema di trovarli. Dei suggerimenti ci possono venire dal contesto: ovviamente la scelta del rappresentante è limitata alle persone disponibili per svolgere tale compito; tale scelta dovrà inoltre indirizzarsi verso coloro che possiedono una preparazione adeguata, cioè sufficiente a svolgere bene il proprio compito. Da quest’ultima banalità si evince un concetto molto importante: la persona da noi delegata deve essere scelta a seconda del compito che deve svolgere ed in genere non servono qualità eccezionali; un elettricista ad esempio deve essere in grado di riparare i guasti del sistema elettrico, parlando invece della preparazione di un atleta prima delle gare, non si può dire che la sua preparazione è adeguata quando è in grado di battere tutti gli altri perché non potrebbero esistere due atleti con tale preparazione. Nelle competizioni non ha dunque senso il concetto di preparazione adeguata, se lo scopo è vincere, si cercherà la preparazione migliore possibile. Se invece si è bruciato un interruttore, non si cercherà il migliore elettricista del mondo, poiché per un lavoro ordinario non potrà che comportarsi come un elettricista comune.
Partecipare ad una assemblea e riferire il nostro pensiero, oppure decidere in maniera responsabile al nostro posto, non è certo un’attività agonistica, la preparazione del nostro delegato deve essere dunque adeguata, non la migliore possibile; in tali casi non abbiamo bisogno di un genio perché si tratta di scegliere un rappresentante, non un capo. Trattandosi di un incarico dato sulla fiducia, è ovvio che il rappresentante deve essere prima di tutto affidabile e degno di stima, tuttavia nel sistema parlamentare attuale è prassi comune eleggere personaggi dediti ad ogni sorta di imbroglio, ipocriti e senza scrupoli e riusciamo a fare una cosa simile nella convinzione di tutelare i nostri interessi.
In un villaggio, dove tutti si conoscono personalmente e dove i gruppi si formano in base ai vincoli di amicizia e sull’affinità di carattere, di cultura e di interessi, scegliere un rappresentante affidabile è la cosa più naturale e semplice del mondo: nella nostra cerchia di amici sono praticamente tutti affidabili, ed in caso contrario ce ne accorgeremmo presto; salvo casi eccezionali, trattando argomenti di interesse comune che normalmente vengono discussi insieme, anche la preparazione adeguata sarà alla portata di tutti. Ne segue che, nella maggior parte dei casi, tutti o quasi saranno in grado di svolgere il ruolo di rappresentante del gruppo e la scelta alla fine si baserà prevalentemente sulla disponibilità di tempo che il candidato possiede. Nel caso in cui si presenti un argomento particolare che richieda conoscenze specifiche, la cerchia dei candidati si restringerà e la scelta risulterà ancora più facile.
Data la semplicità di un gruppo formato al massimo da dieci o dodici persone e data la facilità con cui ognuno può sostituire l’altro sugli argomenti più comuni, sarà piuttosto semplice inviare all’assemblea generale un rappresentante diverso secondo la necessità di competenze specifiche o la disponibilità di tempo. Inoltre nulla vieta di mandare anche due rappresentanti se nell’assemblea andranno affrontati due argomenti che richiedono competenze diverse, perché non sfruttare a pieno le conoscenze del gruppo? Ovviamente di volta in volta solo uno voterà per tutto il gruppo. Ciascun gruppo disporrà quindi di diversi rappresentanti secondo le necessità, i quali saranno quindi più stimolati ad una partecipazione attiva.
Tornando all’esempio del villaggio costituito da settanta persone suddivise in gruppi di dieci, se ogni gruppo inviasse all’assemblea generale due rappresentanti invece di uno, il numero dei membri di tale assemblea passa da sette a quattordici e ciò può sembrare un appesantimento che potrebbe incidere negativamente sulla snellezza decisionale. Si deve invece notare come l’assemblea in realtà non abbia raddoppiato i membri, poiché risulta costituita da sette coppie di rappresentanti; ogni coppia esprime un solo parere e un solo voto nell’interesse del gruppo che rappresenta, ma con evidenti vantaggi rispetto alla situazione precedente:
• con il doppio rappresentante il gruppo può farsi rappresentare da un delegato costante nelle varie assemblee, in modo da assicurare una continuità di presenza e di rapporti, e allo stesso tempo può affiancare a tale delegato una seconda persona che varierà invece di volta in volta a seconda degli argomenti trattati nelle diverse assemblee e che viene scelto proprio per le sue competenze specifiche;
• i due rappresentanti saranno confortati dal non essere soli, troveranno un vicendevole aiuto, un immediato consiglio e un reciproco controllo.
Il vantaggio più grande offerto da un continuo contatto con i propri rappresentanti è comunque il fatto di poter continuamente constatare la qualità della loro opera, permettendo così di applicare un altro importantissimo criterio oggi totalmente trascurato, quello del giudizio sulla base dei risultati oggettivi; solo in questo modo è infatti possibile sostituire con cognizione di causa un delegato che ci ha deluso.

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5.a.9 – Cosa unisce il gruppo?

20 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Cosa unisce il gruppo?

In linea di principio un gruppo si forma per svolgere una determinata attività, come una battuta di caccia o una gita in montagna, al termine della quale il gruppo si scioglie. Nei casi in cui l’attività svolta non ha carattere temporaneo, ma ricorrente o permanente, anche il gruppo assume ovviamente la medesima caratteristica, come ad esempio avviene quando cinque amici formano una squadra di calcetto per divertirsi e mantenersi in forma, oppure quando degli appassionati della storia dell’antico Egitto aprono un sito internet dedicato a tale tema.
Nel mondo moderno ognuno di noi frequenta più di un gruppo: c’è quello degli amici abituali, che si riunisce per varie attività ricreative, quello dei colleghi di lavoro e una serie di gruppi occasionali che si formano per i motivi più vari come la riunione fra genitori degli alunni e insegnanti o l’assemblea del condominio.
Un’importante differenza che possiamo subito notare fra i gruppi moderni e quelli tribali è che non sempre i rispettivi membri si conoscono fra loro; anche rimanendo nell’ambito delle amicizie, molti di noi frequentano due o tre gruppi di amici ben distinti e totalmente estranei fra loro. Questa è chiaramente una novità nella società umana, un fenomeno del tutto impossibile prima della formazione delle grandi città, tuttavia in tali gruppi ritroviamo anche caratteristiche comuni con le poche società tribali superstiti.
È piuttosto facile infatti osservare che, a fianco delle normali attività ricreative, nei gruppi di amici se ne sovrappongono altre, importantissime da un punto sociale ed affettivo: gli amici si scambiano confidenze in cerca di un consiglio o di sostegno morale, in caso di bisogno si aiutano con varie forme di assistenza, ma anche in assenza di ragioni particolari, gli amici parlano fra loro, per il semplice gusto di farlo.
Può sembrare un’attività fine a se stessa, un semplice divertimento, ma non è affatto così, essa svolge delle funzioni molto importanti da un punto di vista sociobiologico: parlando amichevolmente del più e del meno noi tutti ci scambiamo opinioni ed informazioni, modelli di ragionamento e tratti culturali, è così che si genera il famoso passaparola, cioè il canale di comunicazione ancora oggi più usato al mondo. Appare dunque del tutto logico che la selezione naturale ci abbia dotato di un senso di piacere nel parlare con gli amici, anche per discorsi a prima vista vuoti e privi di senso, questo accade nelle grandi città come nei villaggi tribali del Borneo o dell’Amazzonia.
Se dunque l’attività di partenza, ad esempio giocare a pallone, è stata la causa che ha determinato la formazione del gruppo, le attività sociali che vi si sovrappongono sono il collante che tengono unito, affiatato e quindi efficiente il gruppo stesso.

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5.a.10 – Come sfruttare il gruppo?

21 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come sfruttare il gruppo?

Per quale motivo le piccole associazioni che formiamo non si estendono mai fino a formare l’equivalente di un antico villaggio? Così come il gruppo si scioglie quando cessa l’attività che esso svolge, allo stesso modo esso interrompe la sua crescita quando ha raggiunto le dimensioni sufficienti per svolgerla al meglio. I nostri gruppi svolgono attività che permettono una crescita limitata in quanto le altre sono svolte da grandi aziende private o dalle istituzioni dello Stato; inoltre le poche associazioni che riescono a diventare molto grandi, come per esempio i sindacati, non avendo altri modelli di riferimento, si organizzano con sistemi parlamentari simili a quello dello Stato, imitandone di conseguenza anche i difetti ed integrandosi così bene con esso da divenire simili ad istituzioni statali e perdendo così tutte le caratteristiche positive del piccolo gruppo originario. Non è quindi un caso che le organizzazioni sindacali, nate dalla base operaia per tutelare gli interessi della stessa, si trasformino in grandi strutture non democratiche e molto distanti dagli interessi per i quali sono state fondate, così come è naturale che i lavoratori della base prima o poi avvertano tale distanza e tentino di riorganizzarsi in nuovi sindacati. E’ inoltre il caso di notare come il fatto che i lavoratori siano costretti a fondare nuovi sindacati piuttosto che a riformare quelli esistenti, sia la prova lampante della mancanza di democrazia in seno ai sindacati.
Il problema della mancata rappresentanza dei lavoratori è quindi attenuato dalla libertà di poter fondare un nuovo sindacato, ma la storia ci dimostra che anche questo tende ad evolvere negativamente come il precedente, in una ciclicità che non risolve mai definitivamente il problema. Questo esempio ribadisce quanto precedentemente affermato, cioè che non basta la libertà di scelta del rappresentante, ma che è necessario un sistema di rappresentanza efficiente.
Affinché un insieme di amici diventi dunque la prima pietra per costruire un moderno villaggio democratico, è necessario che non si limiti a svolgere attività temporanee oppure a crescita troppo limitata; esaminiamo allora quali attività si prestano meglio a soddisfare le nostre aspettative.
Abbiamo già notato che problemi come la frammentazione sociale, la mancanza di democrazia, la disinformazione sociale e l’ignoranza, sono così strettamente legati da non poter essere risolti separatamente, essi infatti si sostengono a vicenda portando l’uno a rigenerare l’altro. Allo stesso tempo non si può sperare di trovare una soluzione unica per problemi così diversi fra loro e allora non rimane che studiare un insieme di soluzioni che, come i relativi problemi, si intreccino e si sostengano a vicenda. Tra le attività che i nostri gruppi dovranno svolgere vi dovranno pertanto essere la partecipazione democratica, la gestione dell’informazione e la gestione culturale. Si tratta di attività che, inconsciamente, gli amici tendono già a fare spontaneamente, ma senza la tecnica appropriata, cioè senza il giusto adattamento culturale. Si tratta inoltre senza dubbio di attività illimitate nel tempo e che non impongono particolari vincoli alla crescita del gruppo; del resto questo vale anche per la nostra squadra di calcetto, la quale, contando le riserve può superare di molto le cinque persone, ma arrivando a dieci potrà formare due squadre e riprendere il ciclo di crescita.
Affinché il gruppo rimanga tale, dovrà sempre svolgere le attività di coesione sociale che consentano di esprimere l’amicizia dei partecipanti e che li aiutino a mantenersi in ottimi rapporti, in particolare ricordiamo il partecipare insieme a ricchi banchetti nelle grandi occasioni e il prestare qualche forma di mutua assistenza, basata oggi come in passato sullo scambio di favori. Non ha importanza di che tipo di favori si tratti, la loro caratteristica fondamentale è quella di stimolare la gratitudine di chi li riceve e la soddisfazione di rendersi utili in chi li elargisce, rafforzando così il legame affettivo e predisponendo il ricevente a contraccambiare, alimentando un circolo virtuoso. Infatti anche le prestazioni professionali, quando sono fornite agli amici in genere sono gratuite, se di poco conto, verranno invece sensibilmente scontate negli altri casi, proprio per confermare la relazione amichevole, infatti ciò avviene anche se l’amico-cliente è ricco e non ha bisogno di sconti.
A riprova che anche l’altruismo, e non solo l’egoismo, fa parte della natura umana, molti al giorno d’oggi cercano di dare un contributo positivo alla società fornendo opere di volontariato nel tempo libero; in questo modo essi compensano un po’ le carenze dell’apparato statale, tali servizi però sono spesso erogati a persone estranee che rimarranno tali e quindi la loro gratitudine, per quanto dia comunque molta soddisfazione, non potrà contribuire al rafforzamento dei legami sociali.
Sappiamo anche che sono ancora più numerosi quelli che si pongono spontaneamente al servizio dei propri parenti e conoscenti, fornendo una sorta di servizio di volontariato individuale. In tal caso, oltre al piacere di aiutare un parente o un amico, si aggiunge anche quello di assumere un ruolo ed una reputazione all’interno del gruppo (o di una federazione di gruppi), acquistando prestigio ed importanza presso le persone che per essi contano. Il gruppo allora deve essere un luogo dove poter mettere a disposizione le proprie qualità, ottenendo in cambio una grande gratificazione psicologica ed un miglioramento delle pubbliche relazioni. In questa forma di volontariato interno (o di prossimità) possono essere inserite attività di qualunque tipo.
In generale possiamo così riassumere le caratteristiche delle attività del gruppo:
• vi deve essere un’attività di partenza (giocare a calcetto, gestire un sito sull’antico Egitto), che causa la formazione del gruppo, che sia di carattere permanente e che consenta una crescita non troppo limitata;
• si deve svolgere una o più attività ricreative per consolidare i legami affettivi all’interno del gruppo;
• lo scambio di favori non si deve limitare all’iniziativa individuale, ma tutto il gruppo deve collaborare, tutti devono conoscere le risorse interne disponibili;
• non può mancare una gestione della cultura e delle informazioni di comune interesse;
• alle decisioni collettive si giunge con vera partecipazione democratica.
Nel gruppo, come possiamo vedere, si sovrappongono diverse attività e la partecipazione democratica è solo una di esse. Nulla proibisce che una squadra così formata si specializzi anche in un’attività lavorativa, ma questa non dovrà mai essere l’unica attività o contrastare con le altre, altrimenti si perderebbe la funzione di aggregazione sociale divenendo una semplice azienda privata. Quando il gruppo crescendo diventerà troppo numeroso, si dovrà suddividere in gruppi più piccoli che però rimarranno legati dalla comune attività che ha consentito la crescita. In questo modo si può formare un piccolo villaggio moderno, in modo spontaneo, seguendo la natura umana e sfruttando le risorse che essa ci ha messo a disposizione.

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5.a.11 – Quali sono le funzioni del villaggio?

22 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Quali sono le funzioni del villaggio?

Per come è stato presentato, il villaggio può essere visto come un serbatoio di risorse disponibili con facilità, esse sono date da persone che si conoscono direttamente fra loro e che sono legate da vincoli di amicizia. Esso è anche un punto di riferimento per il coordinamento dei singoli sottogruppi nelle attività che svolgono in comune e quindi consente anche una maggiore specializzazione delle attività stesse, potendo contare sul contributo di vari gruppi interni.
In caso di bisogno, in un piccolo gruppo è possibile che nessuno sia momentaneamente disponibile o che abbia conoscenze adeguate od altro, ma in un villaggio composto da oltre 50 persone tale eventualità diviene altamente improbabile. In questo caso il singolo ha dunque giustamente la sensazione di non essere mai solo, c’è sempre qualcuno su cui contare e a cui rivolgersi. I benefici psicologici in termini di serenità e sicurezza sono di immediata evidenza. In particolare nella gestione della cultura e delle informazioni si possono ottenere prestazioni molto maggiori, infatti su una popolazione di molte decine di individui si può raccogliere un patrimonio culturale enorme e lo stesso vale per le informazioni utili o potenzialmente utili. Ecco allora definito un altro concetto di fondamentale importanza: la crescita del gruppo è importante per moltiplicare le specializzazioni e le sinergie e quindi la crescita ha un senso solo se permette un miglioramento dell’efficacia del gruppo o una riduzione della fatica del singoli, in caso contrario si tratta di una crescita inutile se non addirittura dannosa. Quando le dimensioni di un gruppo possono incrinare i legami sui quali il gruppo stesso si fonda, è bene non procedere ad un ulteriore crescita o addirittura può essere consigliabile un ridimensionamento, ma questo non deve far rinunciare definitivamente alla crescita, deve anzi essere visto come il necessario passo per mettere a punto una diversa struttura che consenta una crescita vantaggiosa.
Oggi le associazioni formate da poche decine di persone sono innumerevoli, svolgono mille attività diverse e potrebbero tutte assumere la forma di un villaggio, assumendo una maggiore funzione di aggregazione ed organizzazione sociale. Infatti le attività che si aggiungerebbero (informazione, cultura, assistenza psicologica e materiale) renderebbero la nuova organizzazione simile ad una vera e propria comunità dotata di una certa autonomia dal punto di vista sociale; si tratterebbe proprio di quella comunità che è andata persa da tempo nelle grandi città lasciando il piccolo cittadino sempre più solo.
Tempo fa delle giovani madri, dovendo lavorare e non avendo degli asili nido nelle vicinanze, si sono organizzate prendendo il giorno di riposo settimanale in giorni diversi in modo che ciascuna, a turno, si prendesse cura dei bambini di tutte le altre. Davanti al problema dei continui incidenti stradali che puntualmente si verificano il sabato sera facendo strage dei ragazzi che ritornano dai locali notturni, un padre che in tal modo aveva perso il figlio, riuscì ad organizzare delle famiglie in modo da affittare un pullman che come uno scuolabus facesse il giro delle discoteche vicine, riducendo enormemente il rischio di incidenti. Tali sistemi sembrano funzionare bene, mentre sono anni che lo Stato non sa cosa fare, o peggio spende soldi per iniziative inutili.
Se chi ha avuto queste due brillanti idee avesse fatto parte di un villaggio, quanta fatica in meno avrebbe fatto per realizzarle? Quanta fatica in meno faremmo noi per imitarli? Infatti, sebbene tali iniziative abbiano funzionato, sono rimaste dei casi isolati, perché costruire un’organizzazione da zero non è facile, tuttavia con un villaggio di qualsiasi tipo tale problema non ci sarebbe, qualunque sia l’attività svolta, la sua struttura potrebbe essere riutilizzata per sperimentare le nuove soluzioni.
In precedenza avevamo detto che un singolo individuo, per affrontare un problema, si deve limitare a soluzioni individuali o per piccoli gruppi, avendo la possibilità di coinvolgere tre o quattro amici. I problemi che non hanno soluzioni di questo genere sono fuori della sua portata, ma aggregandosi a un villaggio egli può realizzare soluzioni molto più impegnative, da realizzare in venti o quaranta persone e forse più, in questo modo il numero dei problemi risolvibili sarà assai più esteso. Il villaggio dunque è anche uno strumento per amplificare la nostra capacità di risolvere i problemi.

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5.a.12 – Quali sono i vantaggi che possiamo ottenere?

23 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Quali sono i vantaggi che possiamo ottenere?

Considerando che in un villaggio convivono e collaborano diversi gruppi, equivalenti agli antichi clan familiari, i quali possono avere diverse specializzazioni o addirittura diverse attività, possiamo vedere tale villaggio come una struttura multiuso a cui rivolgersi secondo il bisogno. Ricordiamo che in natura gli animali sociali non formano un branco diverso secondo le varie necessità, ma è sempre lo stesso branco che si adatta e sostiene le esigenze dei singoli secondo i casi.
Il villaggio segue lo stesso principio e questo porta alcuni vantaggi rispetto alle altre forme di associazione che forniscono servizi. Il moderno cittadino per soddisfare una qualche necessità si deve rivolgere ad un ente statale, ad una azienda privata, ad una cooperativa ovvero a tante organizzazioni diverse. Ovviamente egli non può partecipare attivamente a tutte, spesso a nessuna, e quindi ha grande difficoltà a poter esercitare un controllo su di esse, poiché è costretto ad osservarle dall’esterno. Con il villaggio invece ci troviamo di fronte un’unica struttura da tenere sotto osservazione ed alla quale partecipiamo dall’interno, pertanto è facilissima per tutti da sorvegliare. Inoltre se essa è dotata di un sistema democratico efficiente, ognuno può anche influire direttamente sulla sua politica interna.
Si tratta di un nuovo modello di organizzazione basato sulle antiche leggi della natura umana, un modello democratico e a misura d’uomo: la semplicità della sua struttura richiede pochissime regole che tutti, partecipando liberamente, impareranno presto a memoria senza averle mai studiate, tutti infatti, quando seguono una partita di calcio, conoscono le regole del gioco, ma nessuno le ha mai studiate sui libri, hanno solo giocato qualche volta a pallone e seguito con passione le partite giocate da altri.
Indubbiamente molte attività sono più economiche se svolte in grande scala con enti assai più grandi di un villaggio, tuttavia spesso ci troviamo davanti al problema opposto: attività che risultano più semplici da svolgere in piccoli gruppi locali vengono affidate a grandi strutture dalla pesantissima burocrazia con risultati assai scadenti. Si potrebbero quindi liberare molti servizi di pubblica utilità dagli impedimenti della burocrazia, sulla quale peraltro non abbiamo nessuna autorità, e renderli più efficienti e sotto controllo democratico.
Per quanto riguarda la democrazia, essa è un valore che, come tutti gli altri, deve essere praticato e non solo ricordato o esaltato a parole; vivere in una democrazia apparente porta a seguire un’apparente cultura democratica, che ci insegna a votare chi non ci rappresenta, a non considerare cosa grave un politico o un partito che mente ai propri elettori, a non domandarsi chi ha scelto i candidati che si presentano alle elezioni, a non chiedersi come ha votato il partito che abbiamo scelto su una legge per noi importante. Se invece abbiamo trovato il modo di realizzare una vera democrazia in un singolo villaggio, partecipando ad esso possiamo imparare una vera cultura democratica. La diffusione di tale cultura è certamente uno dei vantaggi più importanti che possiamo ottenere, perché essa è l’indispensabile premessa anche per una democrazia a livello nazionale.
Il villaggio ha però anche un limite, sopra i cento membri sorgono grandi problemi di organizzazione, in quanto per sua natura l’essere umano è in grado di mantenere un numero limitato di contatti, giusto il necessario per condurre una vita tribale. Sopra tale limite ci si deve suddividere in due o più villaggi. Per gestire grandi associazioni con centinaia o migliaia di soci, oppure per affrontare i problemi di una grande città, è necessario ricorrere a qualcosa di diverso come una federazione di villaggi, nella quale però dovremo mantenere le caratteristiche fondamentali della democrazia, un problema questo che non abbiamo ancora affrontato su grandi popolazioni.
In attesa di risolvere anche tale questione possiamo però anche ricordare che le attività che richiedono un numero di persone inferiore a cento sono moltissime e che le stesse oggi sono del tutto fuori del nostro controllo; in questi casi dobbiamo allora riconoscere che usare una struttura come il villaggio porterebbe molti vantaggi in termini di praticità, efficienza, benessere psicologico e qualità della vita in generale.

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5.a.13 – Possiamo ricostruire una vera comunità?

24 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Possiamo ricostruire una vera comunità?

Se riprendiamo l’esempio degli egittologi che si riuniscono per gestire un sito su internet dedicato alla loro materia, possiamo immaginare che all’inizio essi siano solo tre o quattro, e che essi lentamente trasferiscano sul loro sito conoscenze, documenti e fotografie raccolti dalle fonti più varie. Se il sito è di buona qualità è probabile che ottenga un certo seguito e che anche altri appassionati vogliano partecipare. Se i fondatori del gruppo si organizzano secondo i nostri criteri di aggregazione, al crescere del numero si suddivideranno in gruppi di lavoro, ognuno dei quali si occuperà di un periodo diverso della lunga storia egizia, oppure di aspetti diversi della loro cultura come architettura, religione, arte, economia, ecc…
Nel villaggio sviluppatosi intorno al sito sarà poi naturale far circolare informazioni riguardo a delle visite guidate nei musei o direttamente nei siti archeologici in Egitto. Non sarà difficile trovare occasioni per incontrarsi, dovendo gestire il sito ed organizzare delle visite in gruppo, sarà poi opportuno associare a queste riunioni attività divertenti per aiutare la socializzazione dei partecipanti. Se il numero continua a crescere alla fine sarà necessario suddividersi in villaggi diversi, ognuno con una sua specializzazione di livello sempre più alto. In questo processo però si può verificare anche un altro fenomeno: se fra i nuovi arrivi ve ne sono alcuni interessati anche ad altre civiltà antiche che ebbero contatti con quella egiziana, questi potrebbero introdurre nuove sezioni sui Sumeri, i Babilonesi ed altri; inizialmente per delineare meglio il contesto nel quale si è sviluppata la storia egiziana, poi per sviluppare uno studio specifico indipendente, estendendo quindi la trattazione del sito dall’antico Egitto a tutte le principali civiltà antiche.
Possiamo notare quindi come al progressivo crescere del numero segua non solo una crescita della specializzazione internamente ma a volte anche un calo della specializzazione complessiva vista dall’esterno.
Un processo analogo lo possiamo riscontrare anche con l’esempio della squadra di calcetto: aumentando i giocatori questi si divideranno in squadre diverse e potranno organizzare dei veri e propri tornei interni. Sarà necessario un sistema di comunicazione per tenere tutti informati sulla disponibilità dei campi di gioco, sugli orari, sulla possibilità di contattare dei tecnici per gli allenamenti ecc… anche in questo caso avremo un moltiplicarsi delle attività, dei ruoli e quindi delle specializzazioni. Se poi alcuni volessero praticare anche altri sport, cercheranno sicuramente di coinvolgere i loro amici del gruppo, inserendoli come attività sportive secondarie. Da una semplice squadra di calcetto si potrà allora passare ad una associazione sportiva multidisciplinare.
In entrambi i casi essere sempre più numerosi porterà altri vantaggi, come disporre di maggiori risorse economiche e culturali ma anche maggiori soddisfazioni psicologiche, dovute alla partecipazione ad attività più importanti e dall’ampliamento e consolidamento della propria rete di amicizie.
Cosa accadrebbe poi se alcuni egittologi per divertirsi e tenersi in forma decidessero di giocare a calcetto? Senza difficoltà potrebbero riutilizzare la stessa struttura del loro villaggio culturale per organizzare la loro attività sportiva, anche se non tutti vorranno parteciparvi, non sarà necessario formare un nuovo villaggio a carattere sportivo. I gruppi di lavoro che vorranno giocare formeranno la loro squadra come oggi nel campionato di calcio fanno le varie città.
Possiamo osservare come al crescere del gruppo questo in genere tenda a differenziarsi internamente moltiplicando i ruoli e le specializzazioni ma può anche aumentare le attività rendendosi polivalente e somigliando sempre più ad una comunità. Questo come sappiamo rispecchia la nostra natura umana, poiché in quanto animali sociali ci rivolgiamo istintivamente ad un’unica organizzazione sociale (la comunità) per ogni necessità. Non è pensabile tuttavia cercare di soddisfare tutte le necessità della vita moderna con organizzazioni piccole come i villaggi o gruppi di villaggi, questo però non è un vero problema, lo scopo del villaggio non è sostituirsi allo Stato, ma quello di restituire al cittadino una delle sue risorse evolutive più importanti, un gruppo organizzato che gli permetta di fare agevolmente cose altrimenti impossibili, aumentando la sua libertà di azione ed anche la sua capacità di contribuire alla società come già fanno oggi le attività di volontariato. Se una federazione di villaggi può svolgere molte attività diverse, ne segue che in caso di necessità può rendersi più indipendente dal resto della società ma di norma sarà più integrata nella stessa offrendo un maggior numero di servizi anche a cittadini esterni e quindi alla fine più legata alla società nel suo complesso.
Il villaggio è uno strumento per il cittadino contemporaneo, si ispira a quello tribale come l’agricoltura biologica si ispira all’agricoltura pre-industriale, non si tratta di un ritorno al passato ma di un modo di affrontare il futuro rispettando la natura, in particolare quella umana. Ricordiamo pertanto che il villaggio moderno non ha riferimenti geografici, non ha un suo territorio come quello tribale, non è legato a degli insediamenti dove abitare, è principalmente una rete di rapporti, un modo di organizzarsi valido sia in città, sia in provincia o perfino su internet, ma non è mai una realtà virtuale, è una struttura funzionante che lega esseri umani reali. Ricordiamo inoltre che i benefici del piccolo gruppo sono immediati, esso nasce per svolgere un piccolo lavoro con pochissime persone; chi forma un gruppo sa bene cosa otterrà in cambio e sa che non dovrà attendere molto. La stessa cosa non vale per il villaggio o per strutture più grandi, ecco perché nessuno organizza un villaggio partendo da zero; il villaggio semplicemente si forma partendo da un gruppo in crescita, che può essere visto come un villaggio embrionale. A una grande struttura pertanto si arriva per gradi, seguendo obiettivi alla nostra portata e a breve termine, poiché solo questi garantiscono il successo e la soddisfazione del gruppo, ponendo le basi per la sua crescita fino ad arrivare ad una grande comunità.

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5.a.14 – Pubblico o privato?

25 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Pubblico o privato?

Le varie forme di associazione degli esseri umani dipendono dalle attività per le quali esse sono state create. Un fattore quindi di fondamentale importanza, che non può essere trascurato, è l’aspetto economico.
In precedenza abbiamo definito la ricchezza come l’insieme dei beni, ovvero tutto ciò che utilizziamo per vivere al meglio; ne sono un esempio i nostri vestiti, gli elettrodomestici, la nostra casa, ma rientrano in questa definizione anche beni pubblici come le strade, la rete idrica e le scuole. Possiamo notare come alcuni beni siano per loro natura personali ed altri di tipo collettivo: quale senso avrebbe considerare come bene collettivo le mie scarpe o il mio spazzolino da denti se sono ovviamente il solo ad usarli? Un bene è per definizione qualcosa che aiuta la vita, ma se svolge questa funzione solo per un singolo individuo non può essere considerato un bene collettivo. Questo tipo di considerazioni possono certo essere utilizzate per giustificare il concetto di proprietà privata, ma con la stessa logica si può fare lo stesso anche con il concetto di proprietà collettiva e poi di quella pubblica: se infatti prendiamo come esempio una sorgente d’acqua potabile, questa sarà un bene prezioso per tutta la popolazione locale ed è quindi ragionevole considerarla un bene di tutta la comunità del territorio circostante. Con un ragionamento simile un qualunque bene di interesse nazionale andrebbe considerato pubblico, ovvero di proprietà di tutti i cittadini, ma si può andare anche oltre: se pensiamo all’inquinamento dell’aria, questo non rispetta i confini nazionali, ma si diffonde ovunque, sotto questo aspetto l’aria si comporta come un bene unico per tutta l’umanità.
Ne segue che i concetti di pubblico e privato non sono in contrasto, ma entrambi necessari alla natura umana; sono tradizionalmente presentati come contrastanti a causa dello storico conflitto fra le due principali ideologie economiche e politiche del passato, quella liberale e quella socialista, rivelatesi entrambe fallimentari. Esaminando tali concetti con obiettività, tale contrapposizione appare oggi del tutto priva di fondamento e questo anche se non è sempre facile stabilire a quale categoria assegnare un dato bene; un ospedale ad esempio può essere sia pubblico che privato, dipende da chi ne ha finanziato la costruzione o l’acquisto. Inoltre lo stesso bene può svolgere funzioni diverse: una foresta può essere vista come una risorsa dalla quale ricavare del legname per la popolazione che vive nei suoi pressi, ma è anche una fonte di ossigeno per tutto il pianeta; un ghiacciaio può essere una attrazione turistica per praticare degli sport invernali, ma anche una riserva d’acqua che alimenta per tutto l’anno i fiumi a valle. Non è dunque sempre facile distinguere il pubblico dal privato, ma non è neppure un’impresa difficilissima quando si hanno le idee chiare.
Su ragionamenti simili oggi si basano le tasse ecologiche, le quali mirano a scaricare sui consumatori di un prodotto i costi indiretti dovuti ai danni ambientali provocati dalla produzione di tale bene, come le spese ospedaliere per malattie dovute all’inquinamento, quelle per le ricostruzioni a seguito di inondazioni dovute ai mutamenti climatici o al disboscamento e simili. Questi costi di norma pesano su tutta la collettività che viene in questo modo danneggiata due volte, prima subendo il danno e poi ripagandolo; la suddetta forma di prelievo fiscale tende allora a colpire le industrie, i cui cicli produttivi sono ben noti sia nelle risorse che impiegano, sia nelle scorie che creano, in proporzione ai rispettivi impatti ambientali; tali oneri fiscali, che verranno inevitabilmente riversati nel prezzo dei prodotti, hanno il pregio di rendere evidente direttamente sul prodotto il costo che esso comporta per la comunità in termini monetari e svolge almeno tre funzioni positive:
• rende meno convenienti le attività che danneggiano l’ambiente scoraggiando l’acquisto del prodotto finale;
• induce a spostare i consumi su prodotti ecocompatibili, incoraggiando un’economia rispettosa dell’ambiente e la ricerca tecnologica in tal senso;
• consente di risarcire almeno in parte la collettività dei danni subiti.
Sebbene tale sistema non possa compensare i danni difficilmente calcolabili in termini monetari come quelli morali, esso è un importante passo nella giusta direzione; inoltre è il caso di ricordare che i sistemi tradizionali per controllare la compatibilità ambientale dei cicli di produzione, oltre a portare risultati assai scarsi, sono anche molto più costosi, basandosi su una complicata burocrazia collegata a ispettori per i controlli, processi in tribunale, spese carcerarie per i condannati e simili. Tutte queste spese invece vengono ridotte al minimo con tale sistema, il quale è oggi universalmente conosciuto fra i politici e gli economisti, ma applicato solo in casi sporadici; questo rivela una mancanza di volontà politica in aperto contrasto con gli interessi della popolazione ed a favore delle grandi lobby economiche che non mancano mai di finanziare i politici corrotti. Di nuovo dobbiamo constatare la necessità di un sistema realmente democratico che possa applicare simili strategie su larga scala.
All’interno di un villaggio moderno, si dovrà pertanto stabilire di volta in volta come valutare una data risorsa e come gestirla, scegliendo fra un approccio di tipo pubblico, collettivo o privato.

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5.a.15 – Come si è evoluta la figura del capo del villaggio?

26 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come si è evoluta la figura del capo del villaggio?

Abbiamo parlato a lungo della specializzazione e della varietà di ruoli o attività all’interno del villaggio, sia in quello tribale che in quello moderno. Fra i vari ruoli vi è sempre stato quello dell’esperto, colui che ne sa più degli altri, che diviene un punto di riferimento per tutti, i quali si affidano a lui con fiducia. Il capo dell’antico villaggio tribale era un’evoluzione di questa figura, rafforzata dalla tradizione culturale e la cui investitura era disciplinata da precisi rituali. Il ruolo, il criterio di scelta e l’autorità del capo cambiavano notevolmente da cultura a cultura; per esempio, a volte la sua figura coincideva con quella dello sciamano, in altri casi esse erano ben distinte. Nelle società agricole al capo villaggio si è sostituito il Re, che a sua volta si presenta in modo un po’ diverso secondo la cultura o le epoche; ad esempio un tempo in Europa veniva eletto fra una rosa di nobili di grado più elevato, poi tale carica divenne ereditaria, fino ai nostri giorni in cui il Re condivide il potere con un parlamento, arrivando anche a pagare le tasse come un semplice cittadino.
Abbiamo però già fatto notare che le nazioni non sono una semplice evoluzione degli antichi villaggi tribali e lo stesso possiamo dire dei re, i quali non discendono dal capo villaggio, ma più propriamente si sono sostituiti ad esso, esaltando al massimo le caratteristiche del leader: autorità, severità, magnanimità, ostentazione di potere e di ricchezza. Storicamente quindi la figura del capo è scomparsa con il villaggio, ma non il suo ruolo: nel mondo moderno infatti sappiamo che istintivamente l’uomo cerca di ricostruire attorno a sé delle strutture sociali che sotto vari aspetti ricordano il villaggio tribale, specialmente nel mondo del lavoro, dove troviamo dirigenti e capi reparto.
Il ruolo di incarnare un’autorità gerarchica, insieme a un’autorevolezza derivata dalla competenza, oggi è ricoperto dai presidenti delle società, dai dirigenti, dai responsabili di settore, sono loro la vera evoluzione del capo villaggio.
Nel villaggio moderno troviamo diversi gruppi di lavoro che contribuiscono all’attività principale del villaggio, in ogni gruppo vi sarà un responsabile oppure un referente il cui ruolo corrisponde all’esperto o all’anziano del mondo tribale. Anche se sotto molte forme diverse, sarà in genere necessaria una figura che si occupi del coordinamento dei vari gruppi, la sua importanza dipenderà da quella del coordinamento, che a sua volta dipenderà dal tipo di attività svolta. Tale personaggio potrà essere secondo il caso una guida autorevole oppure un semplice amministratore delle comunicazioni interne, la sua influenza in ogni caso non è limitata ad un gruppo in particolare, ma comprende tutto il villaggio. Abbiamo dunque trovato un ottimo candidato al ruolo di capo moderno, si tratta di una carica strettamente legata all’attività svolta, una sorta di direttore dei lavori, non un capo politico nel senso comune del termine. Le linee guida della politica del villaggio e le decisioni che coinvolgono tutta la collettività sono prese dall’assemblea generale, essa svolge il ruolo di organo pensante della comunità, la guida autorevole invece si occuperà di compiti gestionali, operativi, prenderà decisioni su argomenti particolari legati all’esecuzione dell’attività. Si tratta di compiti specializzati legati alla particolare attività, tale lavoro non può essere affidato all’assemblea poiché questa immediatamente si affiderebbe ad un esperto oppure a un supervisore avente il tempo disponibile per svolgere tale ruolo e quindi servirebbe solo ad appesantire la fluidità delle operazioni gestionali.
Tale distinzione, dettata da necessità pratiche, rispecchia quella presente in alcune culture tribali fra consiglio degli anziani e capo del villaggio; tale figura non è in linea di principio in contrasto con la democrazia, purché la sua autorità dipenda dalla volontà popolare. Tale condizione può essere rispettata in un villaggio con estrema facilità, infatti in un piccolo insieme di persone, dove tutti si conoscono bene e dove, per quanto affini, nessuno è uguale all’altro, la figura più autorevole viene in genere individuata con facilità direttamente dai singoli per acclamazione popolare oppure, nei casi più controversi, si può procedere a votazione con la regola della maggioranza. Il moderno capo, ovvero il responsabile della gestione, può quindi ricevere l’incarico in modo democratico con estrema semplicità e con lo stesso metodo può essere facilmente rimosso e sostituito.
Nel villaggio dunque la gerarchia e l’autorità non vengono imposte dall’alto, ma costruite dal basso, in caso di insanabile disaccordo interno poi nulla proibisce di suddividersi in due gruppi o villaggi diversi. In un’associazione non troppo grande è dunque la conoscenza diretta che permette di sfruttare le diverse qualità individuali in modo democratico. Nelle grandi associazioni la conoscenza diretta viene meno e il processo non si può svolgere in modo così naturale; ne sono una conferma i grandi partiti politici, le cui dirigenze hanno assunto spontaneamente una struttura tribale in parlamento, ma assolutamente non democratica.

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5.a.16 – Dove trovare il tempo?

27 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Dove trovare il tempo?

Nel mondo occidentale il tempo diventa un bene sempre più prezioso; si deve infatti svolgere un numero sempre maggiore di attività e quindi è necessario più tempo oppure più velocità, una velocità che cerchiamo di ottenere con strumenti sempre più sofisticati, al ritmo dei quali però spesso ci dobbiamo adeguare. Viviamo una vita sempre più frenetica, sempre più convulsa che fatichiamo a sopportare e in tale contesto dilagano fenomeni di stress, ansia, depressione e aggressività che abbattono drasticamente la qualità della nostra vita. Alcuni cercano di riprendersi dallo stress frequentando centri benessere o svolgendo attività rilassanti, altri si rivolgono al consiglio degli psicologi, altri ancora, magari considerando che le precedenti attività necessitano comunque di tempo prezioso, preferiscono ricorrere ai farmaci antidepressivi. C’è poi un numero sempre maggiore di persone che, invece di provare a compensare lo stress subìto, tentano di sostenerlo con farmaci stimolanti fino a ricorrere a sostanze stupefacenti. E’ in grande aumento anche il numero di coloro che tendono a fuggire da questo mondo oppressivo isolandosi il più possibile e limitando al massimo i contatti umani, peraltro già danneggiati dalla mancanza di tempo, con risultati ancor più negativi.
Si può notare come nei suddetti comportamenti non si cerca mai di rimuovere la causa dello stress e ciò avviene semplicemente perché è opinione diffusa che la frenesia del mondo moderno sia una disgrazia, non un problema da risolvere. Sappiamo invece che la velocità dei cambiamenti è dovuta a uno stato di emergenza evolutiva e abbiamo già discusso come questa possa essere governata.
Alcuni potrebbero pensare che per partecipare alla vita del villaggio sia necessario trovare del tempo, che questa alla fine sia un impegno in più; nulla di più errato, il villaggio deve essere uno strumento per risolvere i problemi, non per crearne altri. Il villaggio è una forma di organizzazione per fare con maggiore efficacia ciò che già facciamo, come tenersi informati, divertirsi con gli amici, condividere un hobby il tutto quindi con un impiego di tempo uguale o minore.
Tale strumento può inoltre essere usato per fare cose che ora vorremmo fare, ma non possiamo, ad esempio aprire un asilo nido o una scuola secondo i nostri criteri di qualità; in genere tali attività comportano un risparmio di tempo, per questo ne sentiamo l’esigenza, quanto tempo perdiamo per accompagnare i nostri figli in strutture troppo lontane o troppo costose? Vale sempre la regola del vantaggio, se un individuo partecipa ad una attività del villaggio è perché vi trova la sua convenienza.
L’essere umano è geneticamente predisposto a vivere in un villaggio, pertanto farne parte non deve sottrarre tempo libero, anzi il tempo impiegato è tempo libero; è infatti tempo speso insieme ai nostri amici, per fare o progettare cose che ci piace fare e che di norma facciamo fuori dal lavoro.

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5.a.17 – Il villaggio si basa sulla famiglia?

28 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Il villaggio si basa sulla famiglia?

Parlando del valore della famiglia avevamo scoperto che lo Stato attuale non si fonda affatto sulla famiglia, come invece dovrebbe, e che storicamente è contro la sua natura farlo; la sua forma di governo infatti si basa su una netta separazione fra le istituzioni da una parte e la popolazione dispersa in famiglie totalmente disorganizzate e prive di ruolo politico dall’altra. Le grandi nazioni quindi, sebbene riconoscano di avere il dovere di tutelare la famiglia come mattone fondamentale della società, possono permettersi di ignorare tale dovere.
Possiamo notare che per il villaggio moderno vale esattamente l’opposto, in quanto si ispira alla comunità tribale formata proprio da un aggregato di famiglie, la cui unione si basava sulla collaborazione e sulla reciproca assistenza; si trattava dunque di una struttura nata per rinforzare e proteggere le famiglie dei suoi abitanti.
Un simile modello può facilmente essere riprodotto anche nel villaggio moderno, il quale potrà allora dare un valido contributo anche per costruire una società veramente basata sulla famiglia. Ecco un nuovo esempio di come anche le soluzioni, come i problemi, possono sostenersi a vicenda; tuttavia dobbiamo ricordarci che la soluzione da noi proposta per il problema della disorganizzazione sociale non è mai stata sperimentata a fondo, pertanto prima di essere considerata una soluzione valida deve superare la prova dei fatti. In particolare dovrà rivelarsi veramente rispettosa dei nostri valori ed un valido sostegno anche alla soluzione degli altri problemi radice.

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5.a.18 – Come iniziare la sperimentazione?

29 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come iniziare la sperimentazione?

Il concetto di villaggio moderno deve essere sperimentato nella realtà; per farlo non c’è bisogno di cavie, ma di persone che intendono risolvere uno o più problemi in comune. Si deve partire da un piccolo gruppo di amici collaudati, che magari svolgono già delle attività in comune e che, facendo interagire i rispettivi amici (in partenza fra loro sconosciuti) arrivino a costituire un supergruppo di un centinaio di persone.
La sperimentazione deve inoltre avere un approccio giocoso: nessuno di noi ha bisogno di nuovi impegni o di cimentarsi in cose faticose, ma abbiamo tutti bisogno di rilassarci e divertirci un po’; ben venga allora la costituzione di un gruppo di amici con interessi in comune che si diverta nello svolgere insieme una data attività. Per divertirsi insieme non c’è bisogno di costituire un’associazione ufficiale con statuto e codice fiscale, non servono né regolamenti particolari, né organi ufficiali (con tutta questa burocrazia il divertimento finirebbe prima ancora di iniziare), ma una volta consolidatosi il gruppo svolgerà naturalmente altre funzioni e si organizzerà sia verso l’interno, sia verso l’esterno.
La sperimentazione deve inoltre avvantaggiarsi degli strumenti di cui oggi si dispone: computer sofisticati e connessioni mobili veloci, chat e forum, motori di ricerca e social network; se dobbiamo incontrarci per una pizza, perché non farlo con un giro di e-mail ravvivate da simpatiche emoticon? Se dobbiamo collaborare allo sviluppo di un progetto, perché non impostare un apposito wiki? Divertirsi a raggiungere risultati concreti è forse una perdita di tempo? Una buona partenza per il nostro villaggio può dunque sicuramente avvenire con l’aiuto di strumenti informatici che accelerino il conseguimento dei primi obiettivi e quindi delle prime gratificazioni; tali strumenti permettono inoltre il confronto fra le idee, le attività e i risultati di più gruppi estranei che abbiano iniziato separatamente, o meglio parallelamente, la sperimentazione del proprio villaggio.
L’unione dell’aspetto ludico a quello informatico porta all’idea di sperimentare il villaggio con un social network inserito in un gioco di ruolo on line. Con esso ci si potrà divertire a confrontare le proprie idee per un villaggio moderno, a vederle selezionate e valorizzate fino alla loro realizzazione, si potranno conoscere persone affini con cui condividere progetti, si potrà competere alla pari, rispettare le migliori idee degli altri e sfidare gli stessi in una nuova partita. Si tratterà di un gioco in cui chi partecipa risulterà comunque vincitore perché il vero fine è quello di migliorare la qualità della vita dei giocatori.
Durante la sperimentazione si dovranno poi innestare nuovi metodi di scambio e controllo delle informazioni, nuove attività di formazione reciproca, nuove forme di solidarietà, insomma si potrà innescare un processo di riconversione culturale che porti ad affrontare concretamente anche gli altri problemi radice, quali la disinformazione e la gestione culturale.

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   n. 47 – CHE COSA POSSIAMO FARE?

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Capitolo 5.b

30 Settembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

IL CORALLO UMANO

Tuffiamoci insieme ad ammirare i coralli. I coralli sono costruzioni calcaree marine di riconosciuta bellezza, opera di piccoli animaletti lontanamente imparentati con le meduse. Tali animali vivono in grandi colonie dentro il corallo dal quale non si staccano mai, esponendo all’esterno solo i loro tentacoli che sembrano dei piccoli fiori. La cosa che ci interessa è che lo scheletro calcareo della colonia, il corallo, è una struttura che ci appare di una certa complessità, date le sue numerose ramificazioni, ma il criterio con cui viene costruita è semplicissimo: ogni piccolo “colono” costruisce la sua casa, un pezzetto di corallo nel quale vive, e genera altri coloni che fanno altrettanto, ripetendo sempre lo stesso schema. I bellissimi coralli che ammiriamo sono dunque il risultato dell’attività di centinaia di animaletti che rivestono lo stesso ruolo. Abbiamo una costruzione che segue il caratteristico disegno della propria specie, dovuta a un grande numero di individui uguali fra loro, i quali senza specializzazione eseguono tutti lo stesso tipo di lavoro. Si tratta in effetti di un piccolo miracolo della natura che ci insegna come a volte sia possibile eseguire opere complesse semplicemente sommando attività più semplici, senza particolare specializzazione.
Si tratta di una possibilità che anche noi esseri umani possiamo prendere in considerazione davanti a problemi come la disinformazione o la gestione culturale. Come sappiamo infatti chi controlla le nostre informazioni e la nostra cultura controlla anche le nostre scelte, quindi per essere liberi, ovvero intellettualmente indipendenti, è necessario gestire il più possibile in modo autonomo le informazioni e la cultura, proprio come facciamo con il nostro conto corrente in banca per essere indipendenti economicamente. Una gestione individuale è il sistema più decentrato che riusciamo a concepire, ma ci appare anche contro la nostra natura di animali sociali, non possiamo essere totalmente indipendenti l’uno dall’altro.
I coralli appunto ci suggeriscono che è possibile una soluzione che contemperi entrambe le esigenze, cioè una gestione estremamente decentrata che realizzi un sistema collettivo efficiente e più complesso di quello realizzabile dal singolo individuo. Vediamo dunque come costruire dei sistemi simili ai coralli, ma formati da uomini.

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5.b.1 – Quali sono i nostri obiettivi finali?

1 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Quali sono i nostri obiettivi finali?

Abbiamo più volte posto in evidenza l’importanza della cultura per la sopravvivenza dell’essere umano e non deve quindi sorprendere che l’incapacità di gestire la propria cultura e la sua evoluzione sia uno dei nostri problemi radice. Per affrontare tale problema ci siamo posti due obiettivi fondamentali:
• sviluppare un adattamento culturale che permetta una gestione della cultura da parte del singolo individuo;
• affidare a un’organizzazione veramente democratica la gestione della cultura su larga scala per la collettività.
La gestione affidata al singolo individuo dovrà corrispondere alla produzione di una piccola cella di corallo; sommando le varie unità si dovrà poi formare una struttura democratica per la gestione collettiva della cultura, ovvero il secondo obiettivo che ci siamo posti.

 

 

 

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5.b.2 – A cosa serve la cultura?

2 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

A cosa serve la cultura?

Da un punto di vista biologico la cultura è un’integrazione del patrimonio genetico che, con il tempo, nell’essere umano ha assunto una sua propria autonomia. Ogni adattamento culturale è la soluzione di un problema, la funzione principale della cultura è dunque quella di aiutare la nostra vita, si tratta di un patrimonio di enorme valore pratico. È bene ricordare che esistono anche altre finalità, come quella di tramandare caratteri di identità collettiva: ogni regione ha il suo dialetto, ogni generazione ha un suo particolare vocabolario, ma tutti i linguaggi sono fra loro equivalenti, tali differenze non sono soluzioni a problemi diversi, sono come le innocue varianti genetiche individuali, non danneggiano né favoriscono nell’immediato la sopravvivenza, ma hanno lo stesso un ruolo fondamentale nell’evoluzione.
Quando parliamo di gestione culturale tuttavia, intendiamo prima di tutto valutare proprio di quale cultura abbiamo effettivamente bisogno nella vita, da un punto di vista essenzialmente pratico, perché l’ambiente dove viviamo, e quindi i nostri problemi, sono profondamente cambiati e molte delle nostre tradizioni culturali, a cominciare da molti luoghi comuni, non sono più valide.

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FRANCESC FERRER I GUÀRDIA  stella4stella4

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5.b.3 – Da dove inizia la gestione della propria cultura?

3 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Da dove inizia la gestione della propria cultura?

Un bambino impara seguendo la sua curiosità personale, giocando da solo o con altri, sia bambini che adulti. Il ruolo dell’adulto è importante anche nel gioco, durante il quale partecipa all’educazione del piccolo. Un ulteriore contributo è dato dall’incoraggiamento che viene dato ai bambini a svolgere determinati giochi piuttosto che altri, si tratta di un’elaborata forma di insegnamento del tipo “esperienza guidata”.
I bambini si fidano dei loro genitori, e la motivazione dei primi è strettamente legata all’approvazione dei secondi. Per quanto un padre e una madre si sforzino di spiegare al loro figlio in tenera età dei vantaggi che avrà nella vita adulta dall’essere ubbidiente o dal prendere buoni voti a scuola, il motivo principale per cui il piccolo ubbidirà o studierà sarà sempre quello di fare contenti i genitori e non curare i suoi lontani interessi futuri. Nell’educazione dei bambini sono pertanto gli adulti che stabiliscono cosa deve sapere il piccolo.
Anche gli adulti sono curiosi, anche a loro piace giocare, ma se devono imparare qualcosa in genere non lo fanno per accontentare i genitori, ma per soddisfare delle proprie esigenze ovvero risolvere dei problemi; questo è un modo per gestire la propria vita, un’attività che tipicamente distingue l’adulto dal bambino. Nella vita adulta è quindi l’individuo stesso che stabilisce cosa ha bisogno di sapere. È allora perfettamente naturale che un adulto, nello scegliere i suoi interessi culturali, segua il criterio dell’utilità pratica, oltre quello di assecondare i propri gusti personali e la tradizione collettiva. I possibili criteri per valutare l’importanza dei vari ambiti culturali sono già stati discussi in precedenza, ma è opportuno richiamarli brevemente: una nozione risulta più utile di un’altra se:
• viene usata in un’attività più importante
• le sue applicazioni sono più numerose
• viene utilizzata da un maggior numero di persone
• viene usata più spesso.
In base a questi criteri generali possiamo facilmente individuare come categorie culturali particolarmente importanti le seguenti:
• la cultura della collaborazione, che include il linguaggio verbale, quello scritto ed ogni altra forma di comunicazione, nonché l’educazione a valori quali l’amicizia, il rispetto, il lavoro, la famiglia, lo spirito di gruppo, la democrazia e le regole di un corretto comportamento sociale (le buone maniere), l’onestà; la sua importanza è legata al ruolo fondamentale che essa svolge per la sopravvivenza dell’individuo e della comunità, ma allo stesso risultato si giunge anche con gli altri criteri;
• la cultura della cura del proprio corpo, che diffonde le norme igieniche, lo sport, una dieta sana ed equilibrata, nonché le norme di sicurezza nelle varie situazioni: lavoro, spostamenti, tempo libero e l’educazione a valori come la vita e la salute; anche in questo caso l’importanza per la sopravvivenza dell’individuo è di tutta evidenza;
• la cultura di base, su cui si fonda quella specialistica e che comprende molte discipline scolastiche come matematica, storia, geografia e filosofia, nonché valori come la conoscenza, l’oggettività, la coerenza e l’umiltà; la sua importanza è legata al numero di applicazioni che ne derivano e dal numero di persone che ne fanno uso;
• la cultura specialistica, tipica del mondo del lavoro il cui ruolo per la sopravvivenza dell’individuo e della comunità è indiscutibile;
• la cultura comune, che include tutto ciò che riguarda attività frequenti e molto diffuse, come l’uso dell’automobile o del televisore, la cui importanza è dovuta proprio al largo uso che ne viene fatto.
Queste cinque categorie rientrano sicuramente tutte nella cultura di cui abbiamo un bisogno reale ed oggettivo nella vita, quella appunto che dobbiamo gestire con il nostro personale giudizio. Possiamo facilmente notare però che la maggior parte di noi si sente ben preparata solo nelle ultime due o tre; nelle prime due, che sono così strettamente legate alla sopravvivenza ed al benessere sia fisico che psicologico, presentiamo tutti gravi lacune; di fatto siamo stati educati a delegare la loro gestione alla tradizione o alle istituzioni. Quanti infatti si pongono il problema di stabilire a quale gruppo appartengono o sarebbe bene appartenere? Non aderiamo forse al gruppo dei tifosi di una squadra di calcio solo perché va di moda? Vi è forse un qualche vantaggio pratico?
Tutti invece troviamo difficoltà a identificarci con il gruppo dei cittadini insoddisfatti, dei truffati, di quelli che pagano le tasse, semplicemente perché la tradizione non ci ha fornito dei simboli distintivi per identificarci come tali; truffatori e politici disonesti, fonte delle nostre principali disgrazie ed insoddisfazioni, sono gruppi nascosti, parlano e vestono come noi e tanto basta per accoglierli nel nostro gruppo generico ed anonimo, mentre siamo pronti alla competizione se non alla guerra con i tifosi della squadra avversaria, facilmente identificabili dai loro colori. Quanti di noi oggi, pur avendo un buon lavoro, lo considerano un valore piuttosto che un peso da evitare?
Della cattiva educazione riguardo alla democrazia, a cui tutti noi siamo stati sottoposti, abbiamo già parlato a lungo, ci limitiamo qui a ricordare che essa è alla base di quasi tutti i nostri problemi. Ancora più evidente è la nostra cattiva educazione per quanto riguarda la cura della nostra salute: quanti di noi trascurano le norme di sicurezza alla guida, sul lavoro o praticando dello sport? Quanti di noi praticano delle diete senza criterio copiate da inattendibili riviste al solo fine di fare bella figura sulla spiaggia? Quanti di noi fumano od usano altre sostanze tossiche? Non vi sono dubbi allora che vi sono tradizioni culturali molto importanti che siamo abituati a trascurare per semplice imitazione o consuetudine. Una buona gestione culturale inizia dunque dallo stabilire di cosa abbiamo veramente bisogno di imparare e di cosa magari ci dovremmo dimenticare.

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PAULO FREIRE 

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5.b.4 – Di chi ci dobbiamo fidare?

4 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Di chi ci dobbiamo fidare?

Gestire la propria cultura esige anche altre attività oltre a stabilire cosa è opportuno sapere; una di queste è valutare se quanto apprendiamo è valido, se è vero o falso oppure giusto o sbagliato. Con quali criteri possiamo raggiungere questo scopo? Parlando del mondo immaginario avevamo detto che la mente umana aspira alla verità, ma di fatto cerca qualunque cosa possa soddisfare le proprie esigenze, psicologiche o pratiche, ed abbia un minimo di coerenza con l’evidenza dei fatti. Sappiamo che rafforzando un po’ tale coerenza con la verifica sperimentale e con misure di precisione adeguate si ottiene la scienza attuale; i criteri fondamentali sono dunque la coerenza e l’utilità.
La difficoltà di queste valutazioni è che spesso vengono fatte a livello inconscio, in modo acritico, senza controllare se il risultato sia soddisfacente da un punto di vista razionale oltre che da quello psicologico; altre volte tali valutazioni non vengono proprio fatte perché ci si affida istintivamente al pensiero dominante, alle dicerie o all’autorevolezza di qualche noto personaggio.
Iniziamo dal caso più semplice, valutiamo una nostra scoperta personale: sappiamo di non essere infallibili, che per nostra natura a volte rifiutiamo o alteriamo la verità dei fatti per quanto evidente essa sia, ma sappiamo anche che questo meccanismo è alla base del processo che ci permette di conoscere il mondo, non possiamo farne a meno, ma solo cercare di gestirlo al meglio. L’esperienza storica ci ha insegnato come fare:
• le nostre idee vanno accuratamente confrontate con l’evidenza dei fatti con la quale devono essere coerenti, per poi rispondere con delle verifiche ad ogni dubbio sollevato;
• rifiutare il concetto di idea indiscutibile, essere pronti a mettere in discussione qualsiasi cosa, coltivare l’umiltà necessaria per accettare le critiche;
• non cercare la perfezione nell’immediato, ma migliorare nel tempo il proprio sistema di credenze.
Accettiamo dunque la nostra natura, la nostra cultura non può essere sempre giusta, ciò che crediamo non può essere sempre vero, ma si può migliorare eliminando ciò che è inutile, dannoso ed incoerente con l’esperienza, poiché evidentemente non può essere né utile, né vero.
Con un po’ di pratica possiamo applicare tali principi a ciò che conosciamo bene e che è frutto della nostra esperienza, ma cosa possiamo fare con ciò che invece apprendiamo dagli altri? Si tratta ovviamente di qualcosa che è stato concepito da altri, quindi sempre frutto dell’intelletto umano e pertanto non potrà mai essere sempre vero o sempre giusto; pretendere un amico, un esperto o un insegnante infallibile significa vivere fuori della realtà. Gli amici in particolare svolgono un ruolo fondamentale nella formazione culturale dell’essere umano adulto: sappiamo che è chiacchierando piacevolmente con i conoscenti che si diffondono le opinioni, i modi di pensare e di vedere il mondo, come pure i consigli su come affrontare nuove situazioni e nuovi problemi. Fra gli adulti la cultura si diffonde principalmente fra pari ed i moderni studi sull’apprendimento confermano che impariamo con maggiore efficacia attraverso questo canale. Nel mondo moderno vi sono però anche altri canali molto importanti, ad esempio la televisione, i giornali e le riviste, che non fanno solo informazione, ma anche cultura, vi sono poi i corsi post-universitari o i corsi di formazione professionale.
Quando qualcuno ci parla di argomenti che non padroneggiamo bene, spesso non è possibile controllarne la coerenza o l’efficacia e tantomeno valutare eventuali critiche; siamo dunque costretti a fidarci ciecamente? Ciò si può evitare valutando il modo in cui l’argomento ci viene presentato, da esso infatti si può capire se chi ci parla, l’esperto, ha eseguito uno studio serio sull’argomento ed ha a sua volta applicato le regole anzidette. Se nell’esposizione non si fa cenno ai fatti su cui si basa il discorso, se questo poggia solo sulla consuetudine e simili, allora è chiaro che non ci si può fidare, può anche darsi che sia tutto vero, ma non vi è motivo di crederlo, meglio essere prudenti.
Da una valutazione della cultura siamo dunque passati ad una valutazione delle persone che ci donano la loro cultura, dalla loro affidabilità discende quella dei loro insegnamenti. Il vantaggio è che per giudicare le persone non è necessario essere degli esperti della loro materia, è una attività alla portata di tutti. Tale valutazione può essere tanto più precisa quanto meglio si conoscono, a livello personale, tali esperti; è bene dunque rivolgersi per quanto possibile a persone ben note, entro la propria cerchia di amici o magari dentro il proprio villaggio, per le quali nutriamo una consolidata stima sotto questo aspetto.
Lo scopo finale è quello di rendere massima la probabilità che quanto ci viene detto sia vero od equivalente al vero, perlomeno rispetto alle nostre esigenze; non è un comportamento che garantisce la verità assoluta, ma almeno è conforme alla natura ed alle possibilità umane.

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5.b.5 – Come si diffonde la cultura?

5 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come si diffonde la cultura?

Affinché le nuove idee possano essere utilizzate, spesso è necessario che si diffondano, che siano condivise con la comunità. Una terza attività fondamentale nella gestione della cultura è la sua diffusione, sia fra adulti che verso le nuove generazioni; questo in genere comporta la partecipazione di molti individui, anche migliaia, e quindi si deve affrontare il problema dell’organizzazione.
Il primo canale che consideriamo è quello naturale del passaparola fra amici e conoscenti, attraverso di esso ciascuno può presentare agli altri i risultati della propria gestione, ovvero la sua personale selezione degli argomenti e le sue valutazioni. A questo punto gli altri devono solo ripetere l’operazione, ovvero valutare l’importanza del tema trattato, nonché la credibilità dell’interlocutore e delle sue fonti, e diffondere il messaggio ad altri, ecco un primo esempio di corallo umano. Si tratta in effetti di fare quello che già ora tutti fanno, ma con un pizzico di tecnica in più al fine di filtrare solo le opinioni, le conoscenze e le informazioni più attendibili. Questa tecnica non può essere applicata durante il colloquio, perché questo è un momento di svago e divertimento e non un impegno di lavoro che richiede calma e concentrazione. La scelta degli argomenti e le relative valutazioni vanno fatte da soli, con calma e lucidità ed in un secondo momento si coglierà l’occasione, tra una chiacchiera e l’altra, di esprimere la propria opinione con competenza. Tale canale risulta agevole da utilizzare solo per trattazioni estremamente brevi di qualsiasi argomento, non risulta efficiente per discorsi che richiedono più tempo di una breve chiacchierata.
Un sistema per certi aspetti simile al precedente è l’insegnamento che i genitori impartiscono ai figli parlando o giocando con loro, si tratta anche in questo caso di una trasmissione diretta e personalizzata della cultura in cui ogni genitore trasmette l’educazione che reputa opportuna ai propri figli così come ciascuno racconta quello che vuole ai propri amici. In questo caso però non si tratta di una diffusione fra pari, i ruoli sono nettamente diversi: i genitori insegnano ed i figli imparano. Inoltre i bambini non ripeteranno l’operazione fino a che non saranno grandi ed avranno a loro volta dei figli; il ciclo è estremamente più lento e la diffusione è limitata alla famiglia e non alla comunità.
Tuttavia in questo caso è ancora più facile applicare i nostri principi della gestione culturale in quanto noi tutti in genere sentiamo sulle nostre spalle una grande responsabilità quando cerchiamo di educare i bambini e vi prestiamo molta attenzione. A differenza di quando con leggerezza parliamo con gli amici, in questo caso ci verrà naturale utilizzare le migliori tecniche di gestione che conosciamo facendo attenzione a cosa dire e come dirlo. Anche in questo caso tuttavia è necessario un lavoro di preparazione anticipato poiché altrimenti istintivamente imiteremo in modo acritico il comportamento dei nostri genitori, copiando anche i loro errori o delle tradizioni superate.

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5.b.6 – E’ importante gestire la televisione?

6 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È importante gestire la televisione?

La televisione è uno strumento di comunicazione e di intrattenimento estremamente potente e versatile; come tutti gli strumenti però può essere utilizzato bene o male. I filmati televisivi sono un miracolo della tecnologia: grazie ad essi possiamo vedere ed ascoltare persone e cose lontane nel tempo e nello spazio come se fossero in casa nostra. Tale strumento può essere usato per fare spettacolo oppure per materializzare storie e fantasie come al cinema. Nel momento in cui si racconta una storia però, volenti o nolenti si fa cultura; è infatti questa la principale funzione delle storie e, per qualunque motivo le si racconti, il nostro cervello le percepisce come degli esempi, come possibili modelli di comportamento da imitare quando necessario. Altro modo di fare cultura con la televisione è trasmettere i discorsi di qualcuno che esprime le proprie opinioni, sappiamo infatti che è attraverso simili discorsi che la cultura si diffonde fra conoscenti al bar, durante una pausa di lavoro e simili; la televisione si inserisce dunque nel circuito naturale della diffusione culturale e lo fa nell’intimità della nostra casa.
Se dunque dobbiamo stare attenti alla cultura che riceviamo da amici, parenti e conoscenti vari, appare logico fare lo stesso anche con la televisione, tuttavia in questo caso sono necessari alcuni accorgimenti particolari dovuti al fatto che chi ci parla attraverso la televisione non è affatto un nostro amico, è sempre dentro casa nostra, ma non è un familiare, è un perfetto estraneo che sta lavorando, ma non per noi e talvolta contro di noi, come nel caso della pubblicità, della propaganda politica, ecc..
Chi di noi affiderebbe i propri figli ad un estraneo di passaggio? Nessuno risponderà affermativamente a questa domanda, ma la verità è invece che lo facciamo tutti, perché quando li lasciamo davanti alla tv stiamo facendo esattamente questo, anche se solo da un punto di vista educativo. Un uso incauto della televisione non è un pericolo solo per i bambini, ma anche per gli adulti: seguire infatti una telenovela, degli spettacoli di varietà, dei film o dei telefilm, comporta un considerevole impiego di tempo che viene sottratto alle pubbliche relazioni, al coniuge e di nuovo all’educazione dei figli. Nelle famiglie si parla sempre meno, il tempo è sempre più scarso ed il poco che rimane lo dedichiamo alla tv; questo fenomeno porta all’isolamento sociale anche all’interno delle nostre famiglie, peraltro già in crisi.
La televisione ha indubbiamente un grande fascino e questo ci porta a dedicarle un tempo eccessivo, oltre che ad essere molto sensibili e suggestionabili ai suoi messaggi: avete mai notato che chi parla per televisione appare automaticamente autorevole e più affidabile della media? Questo anche se ha parlato come un perfetto idiota; tutto ciò vuol dire che siamo molto più vulnerabili ai condizionamenti negativi davanti alla televisione piuttosto che insieme agli amici.
Le considerazioni precedenti ci invitano ad un uso più moderato della televisione, il cui uso responsabile deve essere stabilito dagli adulti, ma come? Cosa vuol dire uso responsabile? Abbiamo detto che ogni strumento può essere usato bene o male, quale è dunque un uso positivo della televisione? Di certo se la guardiamo non è per farci del male, deve pur esserci una buona ragione per farlo. Una volta in effetti c’era, la tv era una finestra sul mondo in grado di ampliare gli orizzonti del singolo come mai nessun altro mezzo aveva fatto prima, le sue potenzialità ed i suoi benefici sembravano illimitati. Oggi le cose sono cambiate, essa è diventata il principale veicolo di disinformazione e di cattiva educazione, ha perso del tutto o quasi le sue funzioni positive. Allora per quale motivo la guardiamo ancora? Abitudine, tradizione, ignoranza e paura di regredire ai tempi in cui essa non c’era.
Bisogna però anche osservare che non è logico rinunciare ai benefici che la televisione potrebbe portare alla comunità e questo vuol dire che oltre a gestire i tempi dovremmo controllare la qualità dei suoi programmi, ma oggi non siamo assolutamente in grado di farlo. Ciascuno di noi può scegliere di guardare meno televisione, è un problema individuale, ma controllare la sua qualità è un problema collettivo come lo è la gestione di qualunque strumento di diffusione culturale: giornali, riviste, scuole, università; di nuovo si presenta la necessità di una qualche forma di organizzazione. I moderni strumenti sono molto diversi dal colloquio diretto con amici o parenti stretti e per gestirli in modo democratico dobbiamo cambiare un po’ le nostre strategie.

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5.b.7 – Chi gestisce oggi la cultura e l’informazione?

7 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Chi gestisce oggi la cultura e l’informazione?

Gestire il passaparola fra amici come in un corallo umano è una cosa semplice perché da sempre si tratta di un’attività per sua natura decentrata; esattamente il contrario vale per la gestione di scuole, giornali e televisioni. Le scuole nella nostra tradizione da sempre sono gestite dallo Stato, il quale sceglie i professori e stabilisce i programmi di ogni materia, utilizzando gli stessi criteri in tutta la nazione; in tal modo viene garantita una certa uniformità su tutto il territorio, assai utile affinché i titoli di studio possano avere lo stesso valore dovunque vengano rilasciati. Tale sistema, se ben applicato, può garantire una vantaggiosa uniformità, ma in uno stato non democratico non garantisce in alcun modo la qualità delle scuole. In un simile contesto, se il servizio è scadente, i cittadini non hanno infatti modo di imporre che venga migliorato, né di suggerire come debba esserlo.
Attualmente la gente può solo organizzarsi, con la grande fatica che tale operazione comporta, per condurre delle manifestazioni di protesta, per chiedere, come fosse una massa di sudditi, che le sue proposte vengano ascoltate (non c’è bisogno di sottolineare che un popolo sovrano non protesta, ma dispone ed esige; avete mai visto un sovrano raccomandarsi ad un’altra autorità? Oppure sfilare con striscioni di protesta?). Puntualmente quindi le richieste vengono ascoltate, ma quasi mai esaudite. In alternativa il cittadino dovrebbe ricordarsi a quale partito appartiene il ministro dell’istruzione per non votarlo alle elezioni successive e sperare che il messaggio venga capito, cosa assai improbabile poiché tale partito avrà partecipato a tante iniziative politiche, molte non condivise, altre magari ottime, per quale di esse sarà dunque stato punito? Lo stesso accadrebbe attribuendo la responsabilità a tutta la coalizione di governo. Con un solo voto non si può esprimere con chiarezza la propria opinione sull’operato del governo riguardo alla scuola, sanità, lavoro, sicurezza e tutto il resto; se dunque un governo avesse anche ben governato in molti settori, in modo nettamente migliore del governo rivale precedente, il popolo non potrebbe esprimere il proprio dissenso riguardo la politica scolastica senza danneggiare altri settori della comunità.
I cittadini dunque non sono in grado di intervenire per ottenere un miglioramento delle scuole, ma per quanto riguarda le università le cose vanno anche peggio. Le università infatti godono di maggiore autonomia rispetto alle scuole statali, ne segue che in molti casi esse non devono rendere conto né allo Stato, né al cittadino, il quale allora risulta completamente escluso anche da un punto di vista formale. Le università risultano alla fine gestite dai cosiddetti baroni, professori inamovibili che devono rendere conto del loro comportamento solo alle lobby politiche o economiche che hanno appoggiato la loro nomina.
I professori universitari vengono nominati titolari della cattedra dopo moltissimi anni, durante i quali sono tenuti in condizioni di semischiavitù, sottopagati ed al servizio degli anziani, poiché da questi dipenderà la loro ammissione nell’eletta schiera dei professori titolari, solo chi dimostra fedeltà al sistema può sperare di fare carriera; per ottenere la cattedra infatti è necessario sostenere degli esami tenuti ovviamente dai professori più anziani. Non si deve dimenticare inoltre l’influenza occulta della politica sui finanziamenti per l’università con i quali i partiti ufficiosamente condizionano tutta la vita dell’accademia comprese le carriere dei professori.
Il risultato è un mondo universitario governato da una casta di tipo nobiliare ( i baroni appunto) tutta concentrata sul mantenimento del suo potere; in un simile contesto si può ben immaginare quanto possano essere invise ed avversate le innovazioni di qualunque tipo e le nuove idee in generale. Con il passare del tempo le università rischiano dunque di trasformarsi da centro di produzione della cultura e dell’innovazione ad istituzioni simbolo dell’arretratezza e della chiusura mentale, oltre che della prepotenza, visto l’atteggiamento tenuto da alcuni professori nei confronti degli studenti e dei propri assistenti, i quali non hanno difese legali adeguate contro le loro angherie.
Una situazione assai simile la troviamo nei giornali, i quali per sopravvivere dipendono oggi dai finanziamenti statali e di conseguenza risultano asserviti ai politici più disonesti e corrotti, i quali controllano così sia la cultura che l’informazione. Per quanto riguarda la televisione di Stato la situazione è scontata, per quelle private invece le lobby partitiche possono influire su di esse in almeno due modi: influendo sulle licenze per occupare i canali (che sono in numero limitato) oppure favorendo l’acquisto o la maggioranza azionaria delle aziende televisive ad imprenditori amici e fidati.
Pertanto possiamo dire che il controllo del cittadino sulla gestione della cultura e dell’informazione è nullo, mentre quello dei politici con pochi scrupoli è quasi assoluto.

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5.b.8 – E’ possibile una gestione collettiva della cultura?

8 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È possibile una gestione collettiva della cultura?

In precedenza abbiamo detto che le soluzioni dei problemi radice si devono sostenere a vicenda e appare pertanto logico cercare di sfruttare la struttura del villaggio per realizzare una gestione democratica della cultura.
Alla base del villaggio ci sono i gruppi interni, caratterizzati dall’essere formati al massimo da una decina di persone, i quali svolgono il ruolo che un tempo apparteneva al casato familiare. In gruppi così piccoli una singola idea si può diffondere con il passaparola in tempi brevissimi e può anche essere discussa in una riunione collettiva; è certo possibile che una buona idea venga rifiutata anche con tale sistema, ma non si tratterà di un errore imposto dall’alto e quindi, qualora l’errore venisse scoperto, sarà possibile correggerlo in futuro intervenendo direttamente.
Lo scopo di una gestione democratica della cultura pertanto non è quello di evitare degli errori, ma di impedire che questi vengano imposti da un’autorità superiore sorda ed ottusa; come evitare e correggere eventuali sviste è un problema diverso che abbiamo già affrontato, ma ogni soluzione trovata sarà sempre inutile se poi il sistema non ci consente di applicarla perché non spetta a noi decidere.
Se riprendiamo l’esempio della gestione di un sito internet dedicato all’antico Egitto, su ogni argomento le normali attività di gestione culturale (selezionare di cosa parlare, valutarne la validità e diffonderne la conoscenza) possono essere svolte in modo collettivo all’interno di un piccolo gruppo tramite il passaparola, mediante opportune riunioni anche virtuali sul sito, oppure direttamente da un singolo membro riconosciuto come particolarmente preparato.
Se passiamo ad un intero villaggio dedito a tale attività, avremo analogamente delle decisioni che saranno prese collettivamente prima nei singoli gruppi e poi tramite i rappresentanti degli stessi grazie alla solita procedura. Se poi il villaggio è formato da gruppi specializzati in settori diversi, allora alcune scelte saranno affidate a un singolo gruppo per competenza, così come prima lo erano a un singolo individuo. Con lo stesso principio all’interno di ogni gruppo vi può essere un’ulteriore specializzazione con personaggi particolarmente autorevoli in quanto considerati tali dalla maggioranza.
Lo stesso schema si può ripetere con un gruppo di villaggi e un insieme di questi:
• se consideriamo un gruppo di dieci villaggi, questo potrà includere fino a mille persone, se per ogni villaggio poniamo come limite massimo cento individui
• se immaginiamo ora che questi mille si riuniscano in un cerchio per formare un’assemblea comune, sappiamo che tale riunione sarebbe ingestibile da un punto di vista democratico
• abbiamo già risolto tale problema riunendo i partecipanti a gruppi di dieci, i quali svolgeranno delle assemblee separate e poi invieranno dei rappresentanti per esporre i risultati raggiunti
• avremo allora cento rappresentanti che possiamo riunire con la fantasia in un secondo cerchio all’interno del precedente, come se le mille persone di partenza cercassero di avvicinarsi per discutere meglio attraverso i loro rappresentanti
• cento persone però sono ancora troppe e giustamente si riuniranno di nuovo a gruppi di dieci formando un’assemblea per ogni villaggio; da tali assemblee verranno eletti in tutto dieci rappresentanti, uno per ogni villaggio, che formeranno una riunione, questa volta facilmente gestibile, in un immaginario terzo cerchio centrale.
In questa struttura formata da cerchi concentrici le idee scorrono verso il centro insieme ai rappresentanti, come l’acqua in un imbuto, e ad ogni cerchio alcune vengono scartate, altre modificate e perfezionate; lungo il percorso quindi le idee ritenute più soddisfacenti vengono selezionate in una sorta di filtro a più strati.
Questo sistema si distingue da quello classico, cioè quello piramidale a più livelli, in quanto i vari cerchi semplicemente raccolgono e selezionano le idee provenienti dall’esterno, non ne producono di proprie per imporle ai livelli sottostanti. Ogni cerchio interno piuttosto andrebbe visto come subordinato a quelli esterni, perché è obbligato a ricevere e trattare le idee imposte dal cerchio precedente ed è quindi soggetto alla sua autorità. Un altro vantaggio è dato dal fatto che ogni rappresentante viene eletto da chi ha modo di conoscerlo personalmente, di frequentarlo, giudicarlo e controllarlo; è giusto quindi rappresentare il cerchio dei rappresentanti circondato da quello dei loro elettori perché in effetti questi sono in grado di controllarli a vista come se li avessero circondati.
Il cerchio esterno può anche essere visto come un grande abbraccio a quello interno, le persone che inviano un proprio parente o amico a rappresentarle saranno infatti naturalmente disposte a fornire ogni ausilio, fino ad affiancare o sostituire il rappresentante a seconda dell’impegno da affrontare.
Con tale sistema concentrico, le idee migliori, e quando necessario gli uomini migliori, vengono selezionate verso il centro e da questo poi irradiate verso l’esterno, dove produrranno i loro effetti e stimoleranno un’onda di ritorno in una virtuosa ciclicità.
Se consideriamo un insieme di dieci gruppi di villaggi, che con poca fantasia chiameremo tribù, si può mantenere lo schema semplicemente aggiungendo un ulteriore cerchio al centro e la stessa cosa accadrà con gruppi ancora più grandi.

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5.b.9 – E’ possibile partecipare a gruppi o villaggi diversi?

9 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È possibile partecipare a gruppi o villaggi diversi?

Fino ad ora abbiamo considerato dei gruppi di adulti tutti impegnati nello stesso ambito culturale, abbiamo descritto quindi un villaggio specializzato culturalmente. Consideriamo ora una grande associazione sportiva di canottaggio organizzata come un gruppo di villaggi, fra i suoi numerosi membri troveremo professionisti di ogni genere, dal medico all’avvocato, persone con una formazione culturale molto diversa. Gli appartenenti a questi villaggi hanno in comune la passione per lo sport e di conseguenza si riuniranno per gestire in modo collettivo le attività dell’associazione, tuttavia avendo bisogno di un consiglio legale, ciascuno cercherà un avvocato prima nell’ambito delle proprie amicizie e quindi anche all’interno del circolo di canottaggio, lo stesso accadrebbe per un consiglio medico o di altro genere. Analogamente, se qualcuno dovesse imparare una seconda lingua per motivi di lavoro, ad esempio l’inglese o il francese, potrebbe trovare un insegnante nel proprio villaggio.
Ecco che un gruppo di villaggi nato per una attività qualsiasi può diventare la base per scambi culturali di qualunque genere, dalla consulenza professionale all’insegnamento. In ogni villaggio si troverà uno o più esperti di una data disciplina, i quali potranno eventualmente formare un gruppo specializzato culturalmente per coltivare meglio la loro disciplina e fornire servizi agli altri membri. Un esempio può essere costituito da un gruppo formato da un avvocato, un notaio, un commercialista e un consulente del lavoro, un altro potrebbe essere dato da un elettricista, un idraulico, un pittore e un muratore. E’ chiaro che costoro svolgono tali attività professionalmente e quindi in cambio di un compenso, ma in un villaggio, chi ha bisogno di ristrutturare l’appartamento avrà affidato il lavoro a persone fidate e chi svolge una professione disporrà di una clientela stabile e altrettanto affidabile nei pagamenti.
Un altro esempio notevole è dato da tre medici che, appartenendo allo stesso villaggio, sono legati da vincoli di amicizia e quindi si consigliano e si aiutano su problemi professionali comuni compreso l’aggiornamento. Si forma così un gruppo culturalmente specializzato, come quello degli egittologi già presi come esempio, che unendosi ad altri analoghi gruppi di altri villaggi formerà una struttura sua propria inserita nel gruppo di villaggi iniziale.
Sappiamo che all’interno di un villaggio tribale è normale che si formino in modo ricorrente dei gruppi di lavoro secondo le necessità ( per cacciare, per costruire delle capanne, per preparare una festa); tali gruppi sono composti spesso dalle stesse persone anche se combinate in modo diverso. Risulta allora perfettamente normale che un singolo individuo appartenga a diversi gruppi di lavoro, fra questi è bene che ve ne sia almeno uno che si occupi di gestione culturale, poiché la cultura è una delle risorse principali dell’uomo, sia come individuo, sia come comunità.
Se dunque un piccolo gruppo è per sua natura legato a una determinata attività, il villaggio o un gruppo di villaggi devono tendere a perdere questa caratteristica, in modo da soddisfare tutte le necessità fondamentali dei loro membri: attività, socializzazione, cultura, informazione, in questo modo si forma per essi una comunità. Tale discorso non è più valido per villaggi o gruppi di villaggi specializzati che nascono all’interno di comunità ancora più grandi, perché gli animali sociali come noi vivono stabilmente in un unico branco, pertanto i suddetti villaggi non sono nuove comunità, ma parti specializzate di quella di partenza, come i gruppi di lavoro da cui derivano.
Nelle comunità umane molto numerose, con molte migliaia di individui, paragonabili ai villaggi agricoli dell’antichità, si dovrebbero quindi formare dei villaggi per gestire la comunità stessa e molti altri che si intersecano con i primi per svolgere delle attività di gestione culturale, oppure anche di gestione lavorativa come cooperative agricole o società commerciali. Questo sovrapporsi di villaggi può sembrare a prima vista complicato, ma in realtà è solo un ripetersi di uno stesso schema di organizzazione piuttosto semplice. La ripetizione di una strategia di successo è cosa piuttosto comune in natura, ricordiamo che le cellule del nostro corpo sono in simbiosi con colonie di esseri più semplici ed hanno al loro interno degli organi specializzati per determinati compiti; a loro volta le cellule formano colonie specializzate in diversi tessuti che formano organi ancor più specializzati; i vari organi formano il nostro corpo e noi di nuovo formiamo delle colonie dette comunità e così via… se un sistema funziona bene è comodo riutilizzarlo il più possibile.

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5.b.10 – E’ difficile realizzare un reciproco arricchimento culturale?

10 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È difficile realizzare un reciproco arricchimento culturale?

In una comunità ciascuno può mettere a disposizione la propria cultura e la propria capacità di gestione della stessa, partecipando a un processo di arricchimento culturale reciproco. Anche all’interno di un gruppo specializzato si può realizzare lo stesso processo mettendo in comune le rispettive esperienze; condividere la cultura è in genere un comportamento molto vantaggioso perché donando un oggetto ci si priva dello stesso, mentre donando conoscenza o solo una buona idea non si perde nulla. Se infatti due amici con dieci euro a testa si scambiano le rispettive banconote, alla fine rimarranno ognuno con dieci euro; se invece hanno una buona idea a testa, dopo lo scambio avranno entrambi due idee. Ripetendo il gioco con quattro amici, dopo lo scambio avranno quattro idee a testa, il patrimonio culturale cresce in proporzione al numero, quello monetario rimane sempre inalterato. Scambiare conoscenza dunque è come acquistare senza pagare nulla, è uno scambio sempre e solo vantaggioso.
In un villaggio dotato di un buon sistema di comunicazione interna, il singolo dispone di un valido strumento per trovare le risposte di cui ha bisogno se queste appartengono al patrimonio culturale collettivo; inoltre egli è anche in grado di valutarne la validità grazie alla conoscenza diretta che ha delle sue fonti. Un tale sistema è oggi assai facile da realizzare con una rete informatica e sono già disponibili vari programmi con cui realizzare una struttura concentrica come quella da noi ideata, la quale si può estendere facilmente ad associazioni anche molto più grandi di un singolo villaggio, riuscendo così a rendere disponibile un insieme di conoscenze sempre più vasto.
Aggregare diversi villaggi in formazioni sempre più numerose presenta dei vantaggi anche dal punto di vista della produzione di nuove idee, se infatti solo un membro su cento producesse una buona idea all’anno, in una federazione di dieci villaggi tutti avrebbero a disposizione dieci nuove idee ogni anno, purché vi sia un buon sistema di gestione che le raccolga, le valuti e le diffonda. Oggi sappiamo che un simile sistema è piuttosto facile da realizzare.

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5.b.11 – Chi deve insegnare ai giovani?

11 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Chi deve insegnare ai giovani?

Fino ad ora tutto quello che abbiamo detto sulla gestione culturale è valido solo ed esclusivamente per la popolazione adulta. Infatti siamo partiti dalla premessa che i bambini sono spinti principalmente dal desiderio di accontentare i genitori, mentre i grandi da quello di risolvere dei problemi pratici per gestire la propria vita, come appunto compete ad un adulto. Il problema di diffondere la cultura alle nuove generazioni è dunque diverso da quello di diffonderla all’interno della comunità.
Anche in questo caso tuttavia tale operazione deve essere gestita dagli adulti in quanto sono questi che detengono il patrimonio da trasmettere, che ne conoscono il valore e l’utilità, o che almeno dovrebbero; i ragazzi invece non hanno la possibilità di farlo se non su indicazione dei grandi. Tuttavia il passaggio dal bambino all’adulto è molto lento e graduale e questo comporta che di fatto nei ragazzi troviamo sia delle caratteristiche tipiche del bambino, sia alcune proprie dell’adulto. È pertanto ragionevole pensare che anche le varie forme di insegnamento debbano con gradualità passare da quelle tipiche per i bambini piccoli a quelle per l’uomo maturo. I giovani allora devono essere guidati dagli adulti, i quali dovranno anche accertarsi che lungo il percorso i giovani diventino completamente autonomi.
Istruire le nuove generazioni è diventato nel tempo sempre più impegnativo a causa della crescente mole di informazioni da trasmettere; questo da un punto di vista biologico ha comportato un prolungarsi dell’immaturità, permettendo ai giovani di avere più tempo per imparare, da un punto di vista culturale invece è sorta una categoria specializzata, gli insegnanti, che sollevano i genitori da una parte notevole del loro lavoro come precettori. Tutto questo non vuole assolutamente dire che i genitori abbiano perso il loro ruolo, infatti nei primi anni di vita sono, con la collaborazione dei nonni, la sola guida per i piccoli e dopo, raggiunta l’età scolare, rimangono il principale punto di riferimento educativo anche se non da un punto di vista nozionistico.
Gli insegnanti non devono sostituire i genitori così come i libri non devono sostituire gli insegnanti: i libri scolastici nascono come aiuto e supporto per gli insegnanti, hanno un ruolo preciso e subordinato nell’insegnamento ed allo stesso modo i professori sono un aiuto ed un supporto per i genitori che in genere non hanno il tempo né le conoscenze adeguate per dare un’istruzione completa ai figli. Appare dunque ovvio che i purtroppo frequenti contrasti fra genitori ed insegnanti sono quanto di meglio si possa concepire per confondere le idee ai ragazzi e danneggiarli culturalmente. È necessario cercare il completo accordo e la massima collaborazione fra le due categorie in quanto entrambe devono lavorare per lo stesso fine. In linea di principio le scuole vengono pagate dai genitori per avere in cambio un servizio che è la preparazione dei figli, ma oggi molti non sono in grado di giudicare tale servizio, né i propri figli. Per le ragioni storiche che sappiamo, spesso gli adulti sono molto più ignoranti ed arretrati dei propri figli ed a maggior ragione dei loro insegnanti, i quali si ritrovano ostacolati nella loro opera proprio dai loro datori di lavoro.
Dei genitori ben preparati dovrebbero essere in grado di stabilire quale sia il tipo di scuola più adatto ai loro ragazzi, e di collaborare con i professori nella formazione dei figli secondo dei programmi di studio definiti di comune accordo. Per migliorare le cose è dunque necessario prima formare i genitori, in modo tale che siano almeno in grado di non intralciare il lavoro degli insegnanti ed in seguito arrivino a collaborare con loro ed infine riescano a sfruttare a pieno le loro potenzialità educative. Ricordando inoltre che i genitori sono i clienti, ovvero quelli che pagano per avere qualcosa in cambio, essi devono essere in grado di giudicare il servizio di cui godono e avere possibilità di intervenire se insoddisfatti.

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5.b.12 – E’ possibile una scuola gestita dal basso?

12 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È possibile una scuola gestita dal basso?

Se gli adulti non si possono permettere di lasciare ad altri la gestione della propria cultura, per lo stesso motivo non si possono permettere che altri gestiscano quella dei loro figli. In modo analogo a come il ministero della sanità gestisce e coordina ospedali che operano secondo le malattie e le richieste di cura della popolazione, anche quello dell’istruzione deve coordinare delle scuole che offrano dei servizi conformi alle richieste dei genitori.
In quale modo i genitori possono accordarsi fra loro e con le scuole per gestire la formazione dei figli? Con il sistema concentrico per la raccolta e la selezione delle idee, usato per la scelta degli argomenti per gli adulti, si possono anche scegliere gli argomenti per i programmi della scuola. In tal modo sarebbe anche facile conciliare le esigenze di uniformità dei programmi con le più varie esigenze locali: gli argomenti più apprezzati costituiranno i programmi comuni a tutte le scuole, ai quali si aggiungeranno gli argomenti più apprezzati localmente come patrimonio complementare che renderà più ricca la cultura dei ragazzi nel loro complesso.
È verosimile che i genitori abbiano la capacità di valutare la qualità dei programmi scolastici? La gestione democratica risolve agilmente questo problema: la capacità fondamentale che deve essere comune a tutti è quella di saper valutare i propri limiti e di saper riconoscere chi è un esperto affidabile. È ovvio che un genitore qualsiasi non è in grado di valutare la necessità di inserire o meno quella parte del programma di matematica o di chimica, ma certamente nel suo villaggio (o gruppo di villaggi) ci sarà qualcuno in grado di farlo e ognuno darà suggerimenti su ciò che conosce; per fortuna anche i professori di matematica hanno dei figli e fanno parte della società, quindi non vi saranno problemi per trovare le idee giuste.

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5.b.13 – Educazione o istruzione?

13 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Educazione o istruzione?

Parlando del servizio che deve essere offerto dalle scuole, è bene domandarsi che cosa vogliamo per i nostri figli e di cosa essi hanno effettivamente bisogno. Il patrimonio culturale umano come sappiamo si presenta e si tramanda in diverse forme: vi è tutta una gamma di comportamenti e rituali che si tramandano per imitazione; vi è un’enorme quantità di concetti astratti, che si tramandano attraverso racconti, storie e l’insegnamento scolastico; vi sono poi anche dei casi misti come il linguaggio, il cui apprendimento combina imitazione e spiegazione orale.
La scuola ha sicuramente la funzione di tramandare il patrimonio fatto di concetti astratti e nozioni di vario tipo che si trasmettono attraverso la parola, per questo esistono insegnanti specialisti nelle varie materie, tale processo in genere viene definito istruzione. Per quanto riguarda attività meno astratte, trasmesse per imitazione, il loro insegnamento viene detto in certi casi addestramento ed in altri educazione. Si parla di addestramento se si insegna un particolare comportamento, un esercizio pratico, legato al mondo del lavoro o a quello sportivo; si parla invece di educazione negli altri casi, ad esempio come ci si comporta quando si ricevono degli ospiti, oppure quale atteggiamento si deve tenere davanti ad una persona anziana. I valori in genere vengono tramandati attraverso rituali ed abitudini sociali, sono dunque inseriti nel processo educativo della persona, ma sono esaltati anche dalla tradizione orale quindi sono un caso misto. Educazione e addestramento hanno in comune la ripetizione continua di certi comportamenti che alla fine diverranno automatici, si tratta dunque di un apprendimento che coinvolge la parte inconscia della mente. Anche i giochi dei bambini ed i rituali religiosi utilizzano questa tecnica e si tratta infatti di processi fortemente educativi la cui importanza deve essere rivalutata anche per gli adulti.
Si può pensare che la scuola sia nata per dare un’istruzione ai bambini mentre l’educazione spetti alla famiglia; tale modo di pensare può essere messo facilmente in discussione dalle seguenti considerazioni: la prima è che teoria e pratica per essere ben comprese si devono integrare, non esiste una lunga e complessa preparazione solo teorica o solo pratica. Tutti ricordiamo che a scuola eravamo perseguitati da innumerevoli compiti, ovvero esercizi pratici il cui scopo era renderci padroni della teoria. Ne segue che l’istruzione non può essere separata dall’addestramento, e lo stesso vale per l’educazione, poiché i ragazzi passano moltissimo tempo a scuola, durante il quale si esercitano a convivere con i loro coetanei e con persone più grandi estranee alla famiglia. L’educazione può avere una sua parte teorica fatta di raccomandazioni o racconti educativi, ma richiede indubbiamente molta pratica per sviluppare i giusti comportamenti ed imitare le giuste abitudini; molta pratica vuol dire molto tempo e i ragazzi, passando almeno mezza giornata a scuola e spesso molto di più, hanno bisogno di quel tempo per la loro educazione.
Dobbiamo dunque concludere che la scuola non può essere esclusa dal processo educativo, anche da questo punto di vista deve essere di supporto ai genitori, con i quali la collaborazione deve essere strettissima dovendo inviare ai ragazzi dei messaggi coerenti. Tuttavia oggi siamo molto lontani da questo obiettivo, nella nostra mente l’educazione viene trasmessa semplicemente seguendo le vecchie tradizioni senza pensarci troppo sopra, non è in genere un atto cosciente come l’istruzione. Le vecchie tradizioni nella vita moderna spesso non possono essere più praticate oppure risultano antiquate e dannose, vi è allora una forte necessità di un adattamento culturale negli adulti che permetta di trasmettere di nuovo una buona educazione ai loro figli.
Molte delle nozioni di matematica, storia e geografia andranno poi dimenticate nel tempo, ma l’educazione invece sarà sempre necessaria nella vita dei nostri ragazzi, il servizio di supporto educativo è forse quello più importante. Quando pensiamo a che tipo di scuola sia opportuna per i nostri figli dovremmo chiederci prima di tutto che tipo di educazione vogliamo per loro, o meglio ancora, di quale essi abbiano bisogno. Parallelamente ai programmi scolastici dobbiamo dunque iniziare a discutere anche di programmi educativi, che comprendano il giusto atteggiamento verso lo studio e la sua gestione una volta diventati adulti.

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5.b.14 – Cosa intendiamo per informazione?

14 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Cosa intendiamo per informazione?

Come abbiamo già visto parlando del valore della conoscenza, la cultura si trasmette sotto forma di informazioni o si forma a partire da queste. Ciò vuol dire che per una buona gestione della cultura è indispensabile anche una buona gestione delle informazioni.
È bene chiarire subito cosa intendiamo quando usiamo la parola informazione perché questa ha vari significati sottilmente diversi e pertanto è piuttosto facile confondersi. In generale noi tendiamo ad attribuire un significato alle nostre percezioni, cioè ad interpretarle; tale significato è detto anche informazione ricevuta. Quando le informazioni vengono trasmesse intenzionalmente sono chiamate anche messaggi.
Vi sono delle informazioni la cui utilità è subito evidente, come per esempio gli orari dei treni, mentre in altri casi invece non lo è affatto, tuttavia nel tempo si rivelano preziosissime; sono le informazioni descrittive, quelle cioè che ci descrivono il mondo in cui viviamo, esse sono alla base della nostra cultura e come la conoscenza stessa possono rivelarsi utili anche molto tempo dopo il momento in cui ne siamo venuti in possesso.
Altro concetto importantissimo è quello di informazione di pubblico interesse, che è data dall’insieme delle informazioni che sono utili o potenzialmente utili per tutta la collettività; questa non va confusa con l’informazione che suscita l’interesse del pubblico ovvero la sua curiosità.

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5.b.15 – Dove eravamo rimasti?

15 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Dove eravamo rimasti?

Per risolvere il problema della disinformazione ci eravamo posti i seguenti obiettivi:
• sviluppare un adattamento culturale che ci renda meno vulnerabili alla disinformazione naturale;
• operare un controllo democratico degli organi di informazione pubblica.
Per quanto riguarda il primo obiettivo sappiamo che la nostra natura presenta molti punti deboli nell’ambiente moderno in quanto le nostre inclinazioni e le nostre curiosità sono state plasmate dalla natura per vivere in un mondo, quello tribale, che non esiste più; le conseguenze di questo dato di fatto sono catastrofiche, diamo importanza ad informazioni inutili, ma curiose, come il gossip televisivo, e trascuriamo o ignoriamo quelle veramente importanti; siamo decisamente dei pessimi utenti dell’informazione; la nostra natura ci impone inoltre di riferire agli amici le notizie che ci colpiscono ed in tal modo diventiamo anche delle pessime fonti di informazione; i metodi per valutare consapevolmente l’attendibilità delle informazioni sono del tutto assenti nel patrimonio culturale comune e ancor di più lo è l’abitudine ad usarli. In genere ignoriamo completamente il nostro ruolo e la sua importanza nell’informazione di pubblico interesse.
Per nostra fortuna fa parte della natura umana anche integrare l’istinto con nuovi adattamenti culturali ed è oggi possibile avere dei criteri per distinguere le informazioni valide da quelle che non lo sono; di tali criteri abbiamo già parlato a lungo a proposito del valore della conoscenza, ma è bene richiamarli qui brevemente:
• la coerenza con l’evidenza oggettiva dei fatti
• distinguere i fatti dalle opinioni
• fare attenzione alla completezza o meno delle informazioni
• usare prudenza con le informazioni basate solo sul sentito dire
• dubitare delle informazioni basate solo su opinioni autorevoli.
Come abbiamo già detto non si tratta di metodi che garantiscono la validità o la veridicità delle informazioni, ma permettono di valutare a grandi linee la probabilità che lo siano; sono nati per contrastare la disinformazione naturale ed è contro di essa che risultano più efficaci, ma lo sono solo se riusciamo ad inserirli fra le nostre abitudini.

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JOSEPH CARL ROBNETT LICKLIDER  stella4stella4stella4

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5.b.16 – Curiosità o pubblico interesse?

16 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Curiosità o pubblico interesse?

Un problema di fondamentale importanza è imparare a distinguere le informazioni di pubblico interesse da quelle interessanti per il pubblico. Le prime sono quelle che effettivamente riguardano la vita della collettività e quindi sono almeno potenzialmente utili a tutti (o a molti), le seconde sono quelle che stimolano la curiosità della gente a causa delle inclinazioni naturali ed istintive di cui abbiamo già parlato. Nulla vieta poi che una notizia possa appartenere ad entrambe le categorie: un incidente aereo con tanto di ripresa televisiva spettacolare è certamente una notizia che desta molta attenzione da parte del pubblico, anche per chi non è coinvolto in alcun modo nell’incidente; la stessa notizia però è anche potenzialmente utile alla collettività perché tutti hanno interesse a sapere che la sicurezza dei voli non è assoluta, a conoscere i nomi delle vittime per controllare che non vi sia un loro parente e molte altre cose ancora.
Come stabilire allora quali sono le notizie di pubblico interesse? E chi deve farlo? Alla seconda domanda, sia la cultura diffusa che le nostre considerazioni rispondono che deve essere il singolo individuo, la gente comune, si tratta infatti di un atto fondamentale della gestione delle informazioni. Ottimo ma…., chi di noi sa come si fa? Chi di noi è in grado di farlo? Quanti di noi hanno l’abitudine di porsi anche solo il problema di distinguere fra curiosità e informazione seria? Si tratta chiaramente di una macroscopica lacuna culturale ed in particolare educativa che richiede un adattamento culturale quanto mai necessario. Se non sappiamo come riparare il nostro frigorifero istintivamente cerchiamo subito qualcuno nelle vicinanze che sappia farlo, analogamente se non sappiamo distinguere le informazioni utili dalle semplici curiosità cercheremo qualcuno che lo faccia per noi. In questo modo diventiamo facile preda di quei giornalisti, opinionisti e simili la cui carriera dipende dalla loro abilità nell’imbrogliarci, favorendo quel politico o quel prodotto. Non possiamo dunque permetterci di ignorare la prima domanda: come riconoscere le notizie di pubblico interesse?
Le semplici curiosità sono, in base alla definizione che ne abbiamo dato, caratterizzate dal risultare istintivamente interessanti anche quando del tutto estranee alla nostra vita e prive di ogni utilità. La loro funzione è quella di soddisfare la nostra curiosità istintiva, ma non solo: molte notizie, soprattutto quelle classificate come pettegolezzi, sono argomenti di cui parlare, un pretesto per esprimere e diffondere le opinioni. Nel mondo tribale questa era una funzione sociale e culturale importantissima, ma oggi, con i pettegolezzi televisivi che riguardano dei perfetti estranei, tale funzione ha perso gran parte dei suoi aspetti positivi e ha mantenuto pienamente solo quelli negativi.
La differenza fra i due tipi di informazione non è solo nella notizia in sé, ma nell’uso che la nostra mente intende farne: ad esempio molte notizie di cronaca nera (incidenti stradali, omicidi, rapine) potrebbero essere informazioni molto utili se raccolte in statistiche anche molto approssimate ed artigianali, ma sappiamo bene che non è questo l’uso che ne facciamo. Noi non leggiamo la cronaca nera perché pensiamo che essa ci riguardi in qualche modo o che si possa trarne un qualche vantaggio, lo facciamo per istinto e ne parliamo con gli amici tanto per dire qualcosa, ignorando la loro utilità anche quando presente.
La vera natura delle curiosità è quella di sostenere le pubbliche relazioni, fornire argomenti di cui parlare, non servono ad essere informati, alcuni infatti le chiamano informazioni da intrattenimento ovvero notizie per passare il tempo, come quando si guarda uno spettacolo televisivo.
Ora che il fenomeno dell’interesse per le curiosità è stato chiarito non è poi così difficile separarle dall’informazione seria, cioè quella che ci rende informati sul mondo che ci circonda, quelle che possono realmente influire sulla nostra vita grazie al loro contenuto. Il primo passo è abituarsi a riconoscere il proprio atteggiamento: leggiamo un giornale per passare il tempo o per sapere qualcosa che ci tornerà utile? Nel primo caso dovremo dire di esserci divertiti e non di esserci informati, nel secondo caso cercheremo invano le notizie utili e diremo di aver buttato i soldi visto che i giornali hanno perso da tempo la loro funzione originaria.

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   DIANA SPENCER

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5.b.17 – Fatti od opinioni?

17 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Fatti od opinioni?

Immaginate un giornale o telegiornale nel quale vengano presentati i fatti nudi e crudi senza alcun commento aggiuntivo; quanto apparirebbero freddi e noiosi? La verità è che spesso per la nostra mente le opinioni sono più importanti dei fatti, ricordiamo la vecchia legge della vita tribale: è più importante credere tutti la stessa cosa piuttosto che credere in ciò che è vero; entrambe le credenze sono utili alla sopravvivenza, ma la seconda è troppo difficile e a volte impossibile, quindi non vale la pena sacrificare la coesione culturale per la verità. La nostra natura di animali sociali ci porta istintivamente a parlare e a confrontare le nostre opinioni con quelle degli altri, in modo da partecipare alla formazione dell’opinione pubblica. Ne segue che spesso ciò che veramente cerchiamo sono le opinioni degli altri indipendentemente dalla natura dei fatti a cui si riferiscono.
Anche questo atteggiamento ci può essere utile per distinguere se stiamo cercando una informazione seria o se vogliamo solo passare il tempo in modo piacevole, tuttavia è importante anche notare che molte volte un commento alla notizia è indispensabile per comprenderne il significato o l’importanza. Ancora una volta il problema non è nel commento in sé, ma nell’uso che istintivamente ne facciamo; per soddisfare entrambe le esigenze è bene presentare la notizia, ovvero il fatto oggettivo, in modo nettamente separato dal nostro commento, in tal modo sarà facile per il nostro ipotetico lettore o ascoltatore, dare maggior peso alla notizia o alla nostra opinione secondo le sue esigenze.
In base al tipo di commento poi sarà più facile anche per chi diffonde la notizia capire cosa vuole fare veramente, se informazione od opinionismo. Nel primo caso infatti il commento si limiterà a illustrare come interpretare il fatto, a spiegarne l’importanza e a indicare a quale pubblico ci si rivolge; nel secondo invece il commento utilizzerà il fatto per sostenere la propria tesi, per affermare il nostro modo di pensare, per giustificare la nostra ideologia.

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Domenica 18 ottobre 1309

18 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

estandarte medieval 2

SI ESPONGANO LE INSEGNE!

Oggi è festa nel Villaggio di Ofelon!

A otto mesi dalla fondazione del Villaggio di Ofelon
oltre quarantunomila “viandanti telematici”
hanno visitato il Villaggio.
vi aspettiamo tutti con piena cittadinanza, muniti del vostro avatar,
per ampliare sempre di più la nostra tavola rotonda
in cui vogliamo confrontarci su temi importanti,
ma sempre divertendoci insieme
e fino a raggiungere risultati concreti
per un effettivo, diffuso e percepito miglioramento
della qualità della nostra vita.

Ofelon per tutti
e tutti per Ofelon!

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5.b.18 – A cosa serve la cronaca?

19 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

A cosa serve la cronaca?

Abbiamo osservato che non facciamo un buon uso delle notizie di cronaca, quelle che ci parlano di ciò che accade giorno per giorno, dando luogo ad una sorta di informazione in tempo reale. È evidente che molte delle informazioni di cronaca devono la loro importanza ai collegamenti che permettono di fare: se un giorno avvenisse un incidente stradale su un tratto di autostrada potrebbe apparire un incidente come tanti, ma se notiamo che è avvenuto nello stesso tratto dove è capitato un altro incidente la settimana scorsa, ecco che la notizia acquista un nuovo significato: ci dice che quel tratto probabilmente è particolarmente pericoloso; se poi la settimana successiva avvenisse un nuovo incidente nella stessa zona il sospetto diverrebbe certezza.
La cronaca dunque è come un materiale allo stato grezzo che il singolo utente dell’informazione deve lavorare traendone delle informazioni aggiuntive che vanno oltre le singole notizie. Di nuovo ci dobbiamo porre la domanda, quanti di noi sono in grado di utilizzare la cronaca nel modo giusto? E quando vale la pena farlo? Con il sistema attuale sembra essere una cosa molto difficile poiché fra gli eventi da collegare spesso intercorre molto tempo ed i ricordi divengono ben presto confusi ed incerti, inoltre le notizie di cronaca a livello nazionale o mondiale, quelle più seguite, per forza di cose si riferiscono ad avvenimenti lontani dalla nostra vita, fatti accaduti in altre città o addirittura in altre nazioni, i cui particolari da collegare con notizie analoghe difficilmente vengono memorizzati. Per la cronaca locale invece è assai più facile ricordare le notizie poiché sono legate al posto dove viviamo e numerosi sono i riferimenti in grado di attivare la nostra memoria e fare i dovuti collegamenti. Inoltre nel caso mancassero alcuni dettagli per avere un quadro completo, a livello locale è più facile rendersene conto ed informarsi in modo mirato. Un discorso analogo si può fare con notizie di tipo specialistico che riguardano il nostro lavoro o simili.
È dunque plausibile che il comune utente dell’informazione, se ben preparato, possa elaborare direttamente o molto da vicino le notizie di cronaca che lo riguardano, anche se inizialmente le aveva lette per pura curiosità. Quanto più invece le notizie appaiono distanti da noi, tanto maggiore sarà la difficoltà di tale operazione e la cronaca si riduce ad un semplice insieme di notizie scollegate a cui nessuno può dare il giusto peso, buone solo come curiosità. Tale fenomeno è ampiamente sfruttato dalla disinformazione pilotata che quando non può censurare una notizia può presentarla spezzettata sotto forma di cronaca, in tal modo nessuno capirà ciò che non deve essere capito e nessuno potrà sporgere accuse di censura. Non è dunque credibile che il cittadino possa elaborare con profitto le notizie di cronaca il cui collegamento con la sua vita non sia immediato, è necessario l’intervento di specialisti che lo facciano per tutti e questo ci conduce al secondo obiettivo che ci eravamo posti: la gestione collettiva e democratica dell’informazione.
Riassumiamo allora brevemente i risultati relativi al primo obiettivo (sviluppare degli adattamenti culturali che ci rendano meno vulnerabili alla disinformazione naturale); abbiamo individuato i seguenti adattamenti culturali:
• distinguere le curiosità dall’informazione collettiva
• distinguere i fatti dalle opinioni
• dare peso alla cronaca solo se si è in grado di farne una sintesi
• applicare dei criteri per valutare la validità delle informazioni.
Sappiamo tutti che cambiare le abitudini è molto difficile e che invece impararne di nuove in un nuovo contesto è piuttosto facile; per assorbire dunque senza sforzo le suddette innovazioni culturali è bene inserirle in una nuova attività. Da alcuni anni grazie alla diffusione di internet tutti noi stiamo imparando a sfruttare nuovi servizi e nuovi canali di informazione, si tratta di un’occasione da non perdere per inserire le nuove abitudini nella nostra vita. Istintivamente continueremo ad essere autolesionisti leggendo i giornali o guardando la televisione, ma nulla ci impedisce di essere anche utenti responsabili usando internet e nel tempo, gradualmente, avremo un sicuro miglioramento generale anche fuori dalla rete.

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5.b.19 – E’ possibile un villaggio dell’informazione?

20 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È possibile un villaggio dell’informazione?

Volendo realizzare una gestione collettiva, democratica e decentrata dell’informazione, è immediato chiedersi se si possa riutilizzare il modello del corallo umano e del villaggio già utilizzati per la gestione della cultura. Dato che la cultura si trasmette tramite le informazioni si tratta in realtà di un problema già affrontato e risolto.
L’attività elementare del singolo individuo nella gestione delle informazioni di pubblico interesse consiste nei seguenti passi:
• raccogliere l’informazione
• valutarne l’attendibilità in base a dei criteri ben precisi
• valutarne l’importanza e l’urgenza, verificare che non sia una semplice curiosità
• trasmetterla a sua volta avendo cura di separare il fatto dal proprio commento,
mentre per l’opinionismo e le curiosità vale la procedura già vista per la gestione culturale:
• selezionare gli argomenti di cui parlare
• valutare l’attendibilità di quanto si vuole dire in base a criteri ben precisi
• riferire liberamente quanto stabilito.
Trattare le informazioni di pubblico interesse quindi richiede solo due accorgimenti in più, eliminare le curiosità e separare il fatto dalla propria opinione.
Come del resto era ovvio, il passaparola funziona con ogni tipo di informazione ed è il metodo migliore se applicato su un piccolo gruppo di persone. Al crescere del numero sappiamo bene con quale facilità le notizie si possano alterare; vediamo se anche in questo caso la struttura concentrica basata sul villaggio ci può venire in aiuto.
Ricordando come in una federazione di villaggi le idee scivolavano verso il centro di un imbuto formato da cerchi concentrici, ad ogni cerchio esse venivano filtrate, scartate, approvate o perfezionate, possiamo notare che per una notizia di interesse pubblico tali operazioni sono del tutto inutili, la parte essenziale della notizia è un fatto che può essere vero o falso, può essere creduto o meno, ma certo non perfezionato, sperimentato e meno che mai scartato, cioè nascosto, perché in questo caso le assemblee diverrebbero organi di censura. La struttura del villaggio può essere utile per commentare un fatto di rilievo, ma non per diffonderne la conoscenza, a tal fine è sufficiente pubblicare le notizie su un apposito sito internet.
La pubblicazione di una notizia consente di evitare la naturale deformazione della notizia che si ha con il passaparola, certo un testo scritto può essere anche male interpretato, ma si tratta di casi assai più rari. Sorge invece un altro problema, come valutare l’attendibilità dell’informazione se pubblicata da un perfetto sconosciuto sul web?
In questo caso il villaggio moderno si rivela invece un aiuto prezioso, in esso infatti non esistono sconosciuti e ciascuno può essere facilmente giudicato dagli altri. Se pensiamo ad un villaggio la cui attività è gestire in modo democratico l’informazione, si formeranno dei gruppi e delle assemblee per commentare le notizie importanti, non dipende certamente dai gruppi se la notizia è vera o falsa, ma ognuno può dare il suo contributo per interpretarla e per valutare la validità della fonte.
Possiamo immaginare che vi sia un sito dove ogni membro possa pubblicare una notizia che ritiene importante per la collettività, tale sito svolge il ruolo di una bacheca o di quotidiano per tutto il villaggio, ognuno può dare il suo contributo, quando possibile, per verificare se la notizia è vera, se è stata ben interpretata, fare ricerche di approfondimento; ovviamente non tutti potranno farlo, ma uno su dieci è più che sufficiente.
Nella gestione delle informazioni un’attività particolarmente importante è valutare l’attendibilità della fonte, nel nostro caso significa giudicare la serietà e l’obiettività di chi ha pubblicato la notizia. Oggi ogni programma di gestione della posta elettronica permette di rifiutare la posta indesiderata proveniente da indirizzi specifici, nonché di memorizzare i contatti preferiti in un’apposita rubrica. Un programma analogo permetterebbe di memorizzare tutti i membri del villaggio o di strutture più grandi con il nostro personale giudizio su ognuno di essi, scartando automaticamente quelli da noi giudicati inattendibili. Volendo, tali giudizi potrebbero anche essere espressi in modo collettivo attribuendo ai singoli un punteggio di partenza come oggi si usa per le patenti di guida, chi commette troppi errori o viene giudicato non idoneo per manifesta scorrettezza viene escluso dalla bacheca del villaggio.
Con lo stesso sistema potremmo fare una selezione automatica delle notizie in base ai campi di interesse, mettendo in evidenza ad esempio le notizie di economia o di medicina risparmiando così un’enorme quantità di tempo e con una affidabilità molto maggiore. Un esempio ben noto di come un’organizzazione decentrata, ma efficiente permetta di risparmiare tempo è Wikipedia, quanto tempo richiederebbero le nostre ricerche senza di essa? La rete informatica presenta anche delle possibilità che una bacheca o un giornale non hanno, in essa l’utente può anche porre delle domande rendendola un’evoluzione tecnologica anche del passaparola, non solo dei giornali. Parlando dell’importanza culturale delle chiacchierate con gli amici si era detto che era contro natura applicare sul momento le regole della gestione culturale, esse andavano applicate prima, in solitudine, in un momento di riflessione personale. Come sappiamo si tratta di un cambiamento di abitudini che può essere anche molto difficile, ma se applicato in internet risulta molto più facile, esistono già molti siti nei quali i visitatori pongono domande e chiedono consigli agli altri utenti, i quali, non essendo coinvolti in un dialogo verbale, hanno tutto il tempo per riflettere bene e persino di documentarsi meglio prima di rispondere. Ecco un esempio di come, in un nuovo contesto, applicare i nuovi criteri è facile, tanto che in buona parte è già avvenuto spontaneamente. Altre importanti utilità offerte da internet consistono nella possibilità di accedere a un archivio infinito di informazioni, di fruire di una quantità enorme di statistiche, di avere risultati immediati e il tutto a costi minimi se non addirittura nulli, ma la vera novità rispetto ai giornali e alla televisione consiste nella possibilità di non limitarsi ad essere utenti passivi, ma di potersi trasformare in produttori attivi.

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WALTER CRONKITE  stella4

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5.b.20 – E nel frattempo?

21 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

E nel frattempo?

Bisogna chiedersi se oggi, in assenza di un sistema di villaggi sufficientemente esteso, un giornalista potrebbe vendere direttamente alla gente il proprio lavoro e quindi svincolarsi dagli attuali datori di lavoro che ne influenzano (o addirittura commissionano) le opinioni. Tecnicamente, grazie ad internet, alle connessioni criptate ed alle altre tecnologie moderne, sarebbe già fattibile con un sistema di microtransazioni che però attualmente non è consentito dalla legge; le microtransazioni sono degli spostamenti di piccole somme di denaro (anche pochi centesimi) a fronte del ricevimento di un servizio, il tutto via internet, con la tecnologia, la semplicità e il costo tendente a zero di una e-mail. Applicando il sistema delle microtransazioni alla pubblicazione di notizie e opinioni, ecco che un giornalista completamente autonomo avrebbe bisogno di circa 3.500 lettori al giorno che paghino un centesimo a testa quanto pubblicato quotidianamente e, considerando che la rete permette di cercare e ottenere comodamente dall’archivio anche opinioni pubblicate in passato, si tratta di un numero di utenti tutt’altro che irraggiungibile. Se con tale sistema il giornalista potrebbe guadagnare almeno il doppio di quanto attualmente percepisce e i cittadini potrebbero fruire di informazioni utili, sempre disponibili e a costo irrisorio, come mai un simile sistema non è ancora stato legalizzato? E’ evidente che comanda qualcun altro, qualcuno che non vuole perdere il controllo e la gestione delle informazioni.

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PIERRE OMIDYAR  stella4stella4

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5.b.21 – Si può andare oltre il villaggio?

22 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Si può andare oltre il villaggio?

Possiamo notare come le potenzialità della gestione dell’informazione, esattamente come per la gestione della cultura crescano con il numero dei partecipanti all’organizzazione: se pensiamo ad una federazione di dieci villaggi con varie centinaia di membri, avremo una maggiore quantità di notizie provenienti dai campi più disparati e si avrà una maggiore possibilità che vi sia qualcuno in grado di correggere eventuali errori; raggiunto un numero sufficiente sarà possibile anche assumere dei professionisti per redigere accurate statistiche e per interpretare al meglio le notizie di cronaca o per verificare delle notizie dubbie. Data l’importanza e la delicatezza dell’informazione per la società, dovrebbe essere ovvio che i giornalisti debbano essere pagati direttamente dai cittadini poiché da questi devono dipendere e un sistema del genere consentirebbe di farlo.
Affrontare la gestione dell’informazione e della cultura su popolazioni composte da migliaia o milioni di persone, significa dover fare i conti con il problema di come realizzare un sistema democratico su larga scala, si tratta quindi di completare la soluzione del quarto problema radice che fino ad ora è stato esaminato solo a livello di villaggio.

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LAWRENCE LESSIG  stella4stella4

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Capitolo 5.c

23 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Teamwork and team spirit

LA STRUTTURA DEMOCRATICA

Guardiamo al futuro, si dice che i cambiamenti devono venire dai giovani, ma quali giovani? Facciamo un po’ di chiarezza: per giovani intendiamo i bambini? Gli adolescenti? Gli studenti universitari? Oppure i giovani che, raggiunta la piena maturità devono affrontare i problemi della vita adulta? Stiamo sicuramente parlando di giovani adulti, soprattutto da un punto di vista psicologico, quelli cioè che sono entrati in una fase della vita in cui sono indipendenti e non solo economicamente, giovani che sono quindi consapevoli delle difficoltà della vita adulta e che le devono gestire nel proprio interesse. Quando si cerca di confondere questi giovani con gli altri, in genere lo si fa per avere il pretesto di manipolare i giovani ancora privi delle giuste esperienze e quindi più facilmente circuibili. Incitare il cambiamento da parte di coloro che non possono farlo è evidentemente una strategia per non cambiare nulla in nome del riformismo.
Una società soddisfacente deve rispettare la natura umana ed essere democratica, ma una vera cultura democratica è oggi inesistente. L’assetto sociale della struttura democratica che stiamo per presentare è pertanto attualmente impossibile, pur essendo un serio progetto per il futuro da perseguire dopo che si saranno diffusi i giusti adattamenti culturali; si tratta di una premessa importante al fine di distinguere i problemi alla nostra portata da quelli che non lo sono. Il concetto di villaggio moderno invece, come abbiamo visto, è immediatamente realizzabile e può costituire anche il giusto veicolo di diffusione della suddetta cultura democratica. Esso inoltre non è in contrasto con l’assetto politico vigente, ma lo integra analogamente agli enti non profit, con la differenza però che, rispetto a questi, offre vantaggi immediati a chi vi partecipa e consente di risparmiare tempo, cioè la risorsa oggi più preziosa. Il consolidamento delle attività del villaggio potrà permettere di radicare la cultura della partecipazione e della condivisione, mentre lo sviluppo di federazioni di villaggi permetterà di superarne i limiti numerici e potrà agevolare la diffusione di tale modello. Su questa base si potrà poi cominciare a definire un nuovo assetto sociale veramente democratico.

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CONCETTI IN MUSICA
   RINO GAETANO – NUNTEREGGAEPIU’

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5.c.1 – Quali sono gli obiettivi da raggiungere?

24 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

1-obiettivi-ridQuali sono gli obiettivi da raggiungere?

Per realizzare una società veramente democratica ci eravamo posti i seguenti obiettivi:
• l’insieme dei cittadini deve costituire effettivamente la massima autorità
• il governo deve essere una forma di autogoverno, quindi deve seguire la volontà popolare
• gli oratori abili, ma disonesti, non devono avere vantaggi rispetto ad oratori scadenti, ma con buone idee
• si devono eleggere veri rappresentanti
• vi deve essere un efficace controllo dei rappresentanti
• vi deve essere una selezione delle idee migliori
tali obiettivi sono già stati raggiunti su piccola scala, a livello di villaggio, ma ora dobbiamo trovare il modo di realizzare lo stesso risultato su popolazioni molto più grandi, di migliaia o milioni di persone.
Dato che l’essere umano è un animale tribale, riteniamo che una società rispettosa della sua natura debba avere come mattone fondamentale qualcosa di simile al villaggio moderno, così come questo, per lo stesso motivo, si baserà sulle famiglie che lo compongono.

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  NICCOLÒ MACHIAVELLI  stella4stella4

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5.c.2 – Quali sono le falle della nave su cui navighiamo?

25 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

2-nave-ridQuali sono le falle della nave su cui navighiamo?

Proviamo a ricordare i numerosi punti deboli che abbiamo scoperto nel sistema attuale:
• le liste dei candidati non sono redatte democraticamente dai cittadini, ma dai partiti, associazioni private di una minoranza di cittadini che non sono organizzate in modo democratico al loro interno, quindi sono i personaggi più in vista dei partiti, se non addirittura i presidenti, a compilare le liste dei candidati, stabilendo così chi potrà essere eletto; i cittadini sono di fatto obbligati a votare chi è stato precedentemente approvato dalla nuova classe dominante. Il resto della popolazione ha il diritto di formare nuovi partiti, ma in pratica la cosa richiede anni per organizzarsi e per superare tutte le difficoltà che il sistema attuale impone, come ad esempio procurarsi i finanziamenti necessari per la propaganda e partecipare con successo alle elezioni, dove spesso esistono delle soglie di sbarramento al di sotto delle quali non si ottiene nessun rappresentante. Ne segue che, per avere successo, il nuovo partito deve nascere già corrotto e pronto a tradire i suoi sostenitori; dopo anni di attesa aver formato un nuovo partito risulterebbe quasi sicuramente inutile. Il voto dunque non può dirsi libero
• su una popolazione di molti milioni di abitanti viene eletto un rappresentante su decine di migliaia di elettori i quali, non conoscendolo personalmente, sono costretti a sceglierlo in base alla pubblicità, al sostegno del suo partito, dei giornali e della televisione, cioè in base ai finanziamenti che si è procurato, estorcendoli o vendendosi. In altre parole con il sistema attuale i cittadini sono indotti ad eleggere il più corrotto ed il più disonesto e non chi rappresenta e tutela i loro interessi. Il sistema attuale allora non permette di scegliere dei veri rappresentanti
• i cittadini partecipano ufficialmente alla politica solo attraverso il voto alle elezioni, il resto del tempo ne sono completamente esclusi, non hanno modo di discutere o imporre delle modifiche ai programmi presentati dai loro rappresentanti. Con un unico voto devono esprimere la propria opinione sulla gestione dello Stato nelle sue varie forme: politica estera, sicurezza, sanità, ambiente, lavoro, ecc.. Avendo a disposizione solo un singolo voto da esprimere ogni quattro o cinque anni, essi possono solo scegliere fra i programmi formulati dai signori della politica e puntualmente dagli stessi disattesi una volta eletti. La popolazione quindi viene gestita dall’alto, non si tratta di una forma di autogoverno
• il sistema attuale, nato con le migliori intenzioni in un’epoca lontana, senza le attuali conoscenze della psicologia e della natura umana, non tiene conto dell’incapacità del singolo cittadino di sviluppare da solo una cultura democratica adeguata, né della naturale tendenza a seguire istintivamente un capo o delle tradizioni, senza criteri razionali. La premessa di fondo su cui invece si è basato il sistema parlamentare è che la gente comune votasse naturalmente nel proprio interesse eleggendo responsabilmente i propri rappresentanti. L’esperienza odierna ci mostra come, contrariamente alle aspettative, la gente comune non è in grado di eleggere i propri rappresentanti e senza saperlo vota regolarmente contro i propri interessi
• nel modello politico vigente si mantiene la grossolana quanto antica ripartizione fra sudditi ed aristocratici: il volgo ignorante era politicamente uniforme, privo di potere decisionale e veniva governato dagli aristocratici, a cui ci si doveva rivolgere per avere favori e protezione. Ancora oggi il popolo, con un voto di fatto inespressivo, sceglie il suo protettore della classe dominante, ma non partecipa al dibattito politico. In questo modo si priva la gente anche della possibilità di sviluppare con la pratica le capacità e la cultura adeguate per partecipare alla gestione della politica
• nei sistemi parlamentari i cittadini sono considerati giustamente uguali fra loro nei diritti, ma non si tiene conto che essi sono diversi nelle capacità, nelle esperienze, nella cultura, nelle esigenze. Non si considera l’importanza della specializzazione nella società umana e nella gestione politica in particolare, il sistema è concepito come se tutti fossero ugualmente esperti su tutto, quando invece è evidente che non lo sono e non potranno mai esserlo; lo stesso principio viene inoltre applicato anche ai parlamentari. Il risultato è che spesso si chiede di esprimere un giudizio, di prendere una decisione attraverso il voto, a chi non è competente per farlo. Si generano allora gruppi allo sbando bisognosi di essere guidati dal manipolatore di turno, che con il loro numero coprono la voce di chi effettivamente aveva le competenze giuste
• se la gestione dei programmi politici, in teoria, dovrebbe essere esercitata indirettamente dai cittadini attraverso i parlamentari, l’amministrazione dello Stato, cioè l’applicazione pratica della politica, è ancora più distante dalla popolazione; i ministri infatti non sono eletti direttamente ed essi devono rendere conto del loro operato solo ai parlamentari e quindi alle lobby che hanno appoggiato la loro nomina. Il cittadino dunque, nel momento in cui i parlamentari non sono rappresentativi, non ha strumenti per esercitare un controllo sulla politica reale.

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ALEXIS DE TOCQUEVILLE  stella4stella4

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5.c.3 – Come mai non ce ne siamo accorti prima?

26 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

3-accorti-ridCome mai non ce ne siamo accorti prima?

Quando, poco prima del 1800, vennero introdotti i primi sistemi parlamentari negli Stati Uniti ed in Francia, la popolazione avente diritto di voto era solo una piccola parte del totale: erano esclusi tutti gli schiavi, tutte le donne, tutti gli analfabeti, tutti i poveri ecc.. Si trattava dunque di applicazioni di principi democratici all’interno di un’esigua minoranza, non di vere e proprie democrazie. All’epoca si ritenne che solo chi avesse ricevuto una certa istruzione e possedesse un certo reddito potesse partecipare alla politica democratica; oggi sappiamo però che in genere anche i laureati benestanti non sono affatto in grado di farlo.
Considerando che il numero di parlamentari era circa lo stesso di quello attuale e con una popolazione votante così ridotta, all’epoca era possibile avere un parlamentare su circa 300 votanti, mentre oggi ne abbiamo uno su 50.000; i problemi attuali relativi alla rappresentatività erano pertanto ridotti al minimo. Inoltre la popolazione votante, appartenendo grosso modo allo stesso ceto sociale, era più uniforme di quella attuale sia per esigenze, sia per mentalità; era dunque assai più facile sentirsi rappresentati. Giustamente le ingiustizie sociali dell’epoca vennero attribuite alla disparità di accesso al voto, ma per il resto il sistema sembrava funzionare perfettamente; è naturale allora pensare che, in totale buona fede, i teorici della democrazia videro il suffragio universale come meta finale da raggiungere, unitamente alla costruzione di scuole pubbliche accessibili a tutti.
L’esperienza invece ci ha insegnato che al crescere della popolazione il sistema parlamentare non riesce a garantire la rappresentanza reale e quindi la democrazia, inoltre tende a corrompersi e degenerare progressivamente anche da un punto di vista amministrativo. In una democrazia indiretta, estendere il voto a tutta la popolazione ha un senso se tale voto consente di eleggere dei veri rappresentanti, in caso contrario è inutile, ma può illudere la cittadinanza ed anche molti politici di aver raggiunto la democrazia.
Da un punto di vista scolastico dobbiamo notare che una maggiore cultura non comporta necessariamente una maggiore cultura democratica; le scuole hanno inoltre il compito di preparare dei validi cittadini per il domani e non certo dei sovversivi, mostrando loro le pecche del sistema; tutti quanti, negli ultimi due secoli, siamo dunque stati educati a pensare al sistema attuale come funzionante e completo grazie al suffragio universale. Probabilmente era impossibile nel XIX secolo prevedere che l’estensione del diritto di voto a tutta la popolazione avrebbe innescato una spirale perversa, costituita da manipolatori, pubblicità e finanziamenti, tale da rendere il sistema inutilizzabile. All’epoca, per comunicare con il proprio elettorato fatto di poche centinaia di persone, in genere amici di amici, era sufficiente qualche comizio in piazza. Abili oratori senza scrupoli erano di certo avvantaggiati, ma era poca cosa rispetto a quelli attuali, né era necessario vendersi per ottenere i finanziamenti per la propaganda. Oggi davanti al moltiplicarsi di scandali e disservizi non si può più evitare di chiedersi:
• come mai dopo tanti anni, la gente è cosi insoddisfatta dei propri politici?
• come mai i cittadini non riescono a trovare politici all’altezza?
• come mai anche i politici più disprezzati, colpevoli di aver creato i maggiori problemi, riescono a conservare la loro carica per decenni?
• come mai la propaganda politica diviene sempre più costosa e assillante?
• come mai i cittadini si sentono sempre più impotenti e frustrati?
• come mai non si realizza un ricambio politico?
Dobbiamo quindi concludere che il suffragio universale, prima pietra miliare verso la vera democrazia, è rimasta una pietra isolata e paradossalmente è stata sfruttata fino ad oggi dai governanti delle democrazie apparenti per consolidare il proprio potere sul popolo.

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5.c.4 – Uguaglianza a ogni costo?

27 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

4-uguaglianza-ridUguaglianza a ogni costo?

Nel precedente paragrafo abbiamo visto come la nostra politica si muova verso una degenerazione sociale sempre più accelerata. Se l’obiettivo era, come tuttora è, quello di migliorare la qualità della vita dei cittadini attraverso una riduzione delle differenze sociali fra gli stessi, allora bisogna ripartire dall’analisi di tale obiettivo.
A tal fine bisogna innanzi tutto, come al solito, fare chiarezza terminologica: l’uguaglianza da perseguire è quella delle opportunità culturali ed economiche, non quella che è sinonimo di appiattimento forzato.
Gli uomini non sono tutti uguali e guai se lo fossero, perché il successo evolutivo dell’essere umano si basa proprio sulla grande varietà, dunque sulle differenze genetiche fra i vari individui; esistono uomini più eclettici e meno eclettici, più forti e meno forti, più sensibili e meno sensibili, e così via in un elenco infinito, ma nessuno è dotato di ogni virtù e se anche lo fosse, non potrebbe comunque fare a meno degli altri (soprattutto nel mondo attuale in cui si tende sempre a una maggiore specializzazione e non può più esistere un “dotto” in ogni materia).
Dobbiamo pertanto essere consapevoli e orgogliosi delle nostre diversità nella consapevolezza che si tratta della nostra arma vincente; dobbiamo dunque tendere a sfruttare al meglio le nostre differenze genetiche o culturali, non a reprimerle, perché ciò significherebbe andare contro la nostra natura. Nessuno infatti parlando di uguaglianza intende eliminare tali differenze poste dalla natura, ma quelle create dall’uomo e poi imposte dalla società, come le discriminazioni razziali, sessuali, religiose, ecc.. Cercare di eliminare le diversità naturali, quindi inevitabili, vuol dire cercare di appiattire gli uomini su uno stesso piano, significa andare contro natura, non significa contrastare le discriminazioni. Possiamo dunque distinguere fra disparità naturali ed artificiali e sono solo le seconde quelle da eliminare.
Una società efficiente deve allora capire ed esaltare le doti di ognuno, nonché fare in modo che il singolo abbia le giuste gratificazioni personali ed economiche rispetto al ruolo che svolge nell’interesse comune.
Una volta capito che gli uomini per loro natura non sono tutti uguali e che devono svolgere ruoli sempre più differenziati, che senso ha parlare di uguaglianza? La risposta sembrerebbe scontata, ma in realtà un’uguaglianza da perseguire e da difendere a ogni costo c’è e come, si tratta del vero obiettivo: le pari opportunità, le quali dipendono dalla società dove viviamo. Per esaltare le potenzialità delle nostre diversità è infatti necessario un ambiente che permetta equamente ad ognuno di poter esprimere le proprie qualità; ciò con grande soddisfazione del singolo, ma anche con inevitabile beneficio collettivo. Si tratta in fondo, di una componente della regola del vantaggio precedentemente esaminata, in base alla quale tutti i membri della società devono trarne un’utilità; è sotto questo aspetto che dovremmo essere veramente tutti uguali.
Le differenze da eliminare sono quindi quelle di tipo sociale ed è di tutta evidenza come esse siano sostenute dagli ormai noti problemi radice: ignoranza, disinformazione e frammentazione sociale.
Una volta capito che il suffragio universale non è l’obiettivo, ma il mezzo per realizzare una società basata sulle pari opportunità, non possiamo non concludere, dopo sessanta anni di sperimentazione, che tale strumento da solo non funziona. Applicare il suffragio universale senza un sistema di autogestione adeguato alle grandi masse è come addentrarsi in una giungla con un fucile caricato a salve, ma convinti di disporre di vere pallottole.

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5.c.5 – Esistono altre vie?

28 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

5-vie-ridEsistono altre vie?

Quando un modello non funziona, viene naturale cercare di sostituirlo con un altro conosciuto. Abbiamo però già detto come il confondere l’attuale sistema con la democrazia sia un grave abbaglio; come ciò porti erroneamente a dedurre che la democrazia non funziona e quindi porti ad auspicare il ritorno di modelli dittatoriali, ancorché pure essi non abbiano mai realizzato il bene della collettività.
La verità è che lo strumento necessario è quello che porti alla democrazia, non al suo contrario, ma si tratta di uno strumento mai realizzato, uno strumento che ancora non esiste. E allora? Non abbiamo forse visto che una delle principali risorse dell’essere umano è quella di usare un’infinità di strumenti dallo stesso concepiti e realizzati? Abbiamo costruito macchine volanti e subacquee, possiamo comunicare in tempo reale con persone agli antipodi, disponiamo di computer con capacità di calcolo per noi impossibili, usiamo robot che lavorano in condizioni impraticabili per gli uomini, perché ci dovremmo scoraggiare di fronte alla necessità di concepire, sperimentare e realizzare un’efficiente strumento democratico?
L’importante era focalizzare il vero problema, a questo punto possiamo essere ottimisti, una soluzione si troverà!

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5.c.6 – La tripartizione dei poteri è veramente il fondamento della democrazia?

29 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

6-tripartizione-ridLa tripartizione dei poteri è veramente il fondamento della democrazia?

Nel diciottesimo secolo, con l’affermarsi delle apparenti democrazie moderne, si è concepito un sistema che prevede la tripartizione dei poteri fondamentali dello Stato in potere legislativo, amministrativo e giudiziario, nonché l’affidamento di tali poteri ad organi istituzionali distinti e indipendenti. Tali poteri rappresentano in realtà i modi in cui lo Stato può imporre la propria autorità al cittadino, per questo erano così temuti dai primi democratici del mondo occidentale. Se un unico uomo oppure un’unica istituzione avesse avuto il controllo di tali mezzi coercitivi, sebbene eletto democraticamente, avrebbe potuto trasformarsi facilmente in un dittatore. Si è dunque pensato bene di ripartire e affidare simili autorità ad istituzioni diverse, tuttavia è ovvio che se tali istituzioni non sono controllate dai cittadini lo saranno da altri e non sarà troppo difficile per questi ultimi accordarsi tra loro a danno della democrazia e della popolazione. Più che il fondamento della democrazia dunque la tripartizione dei poteri ne è una fondamentale protezione.
I cosiddetti poteri fondamentali, che riuniti rappresentano il potere di un sovrano assoluto, devono essere mantenuti sempre distinti e indipendenti nella società con una sola ovvia eccezione: il popolo stesso che, controllandoli tutte e tre, deve essere l’unico collegamento fra di essi, altrimenti qualche altra entità finirebbe per rivaleggiare con l’autorità della popolazione. Tutti possono verificare facilmente che oggi, con il sistema parlamentare, in genere i cittadini non hanno un serio controllo su nessuno dei tre, infatti non sono in grado di operare un reale ricambio politico né al parlamento, né al governo, né ai vertici della magistratura.
È bene a questo punto fare qualche precisazione sui tre poteri poiché nel linguaggio comune è facile fare confusione: come possono essere indipendenti se il primo fa le leggi, il secondo le applica ed il terzo giudica in base ad esse? Si direbbe che dal primo necessariamente dipendano gli altri due. In base a quanto abbiamo detto ciò che deve essere separato è la loro capacità di imporsi e vessare la popolazione, cioè la loro autorità; per potere legislativo non si intende quindi, in questo contesto, la generica capacità di emanare delle leggi, ma quella di sancire norme che condizionano direttamente la vita dei cittadini. La popolazione teme nuove imposte, l’innalzamento dell’età pensionabile o la riduzione della tutela dei lavoratori; le norme che impongono le luci di illuminazione della targa delle automobili o che stabiliscono la periodicità di manutenzione degli ascensori, pur essendo anch’esse tecnicamente delle leggi, devono essere viste come tipologie di leggi diverse, poste al di fuori del nostro discorso. Allo stesso modo ciò che si teme del potere amministrativo non è la gestione dell’ambiente o degli affari esteri, ma l’autorità di polizia o quella di imporre misure di emergenza che limitino la libertà personale, il potere dunque di dettare ordini. Bisogna dunque aver cura di affidare ad entità distinte l’esercizio di tali autorità e non la normale attività legislativa, amministrativa e giudiziaria che nel loro svolgersi sono indissolubilmente legate.

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5.c.7 – Cerchiamo un rappresentante o un capo?

30 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

7-capo-ridCerchiamo un rappresentante o un capo?

La nostra natura ci porta a essere comandati e non a essere rappresentati, quindi ad avere un capo e non un rappresentante, ma la nostra natura ci ha anche selezionato per vivere in un villaggio costituito al massimo da un centinaio di persone: come si può conciliare la nostra natura con i moderni stati formati da milioni di persone? Come si può avere rispetto dei propri capi senza conoscerli? Come si può acquisire un’identità e un orgoglio nazionale senza una vera comunità?
Secondo noi è questa la strada da percorrere, se riusciremo a rispondere ai suddetti quesiti in armonia con la nostra natura, allora potremo cominciare a disegnare il nostro prototipo di strumento democratico.
Il villaggio moderno, nonostante sia stato concepito per dare vantaggi immediati a chi ne fa parte, può anche costituire una valida palestra di cultura democratica. Il villaggio è infatti costituito da persone affini che hanno liberamente scelto di unirsi e che possono liberamente decidere di dividersi (non solo per contrasti, ma anche e soprattutto per crescere), persone più o meno intercambiabili sui concetti di base che scelgono il proprio rappresentante in base alla sua disponibilità ed un capo, quando necessario, in base alla stima maturata con la conoscenza diretta. I villaggi vengono rappresentati da un delegato permanente che assicuri la continuità nei rapporti con gli altri villaggi e questo viene affiancato da un esperto della materia da discutere; i diversi livelli di federazione dei villaggi portano all’innovativo modello concentrico già esaminato in precedenza e quindi i villaggi possono costituire le cellule di un nuovo tessuto sociale, le componenti di una nuova struttura: la struttura democratica.

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5.c.8 – Chi non vorrebbe un parente parlamentare?

31 Ottobre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

8-parente-ridChi non vorrebbe un parente parlamentare?

Un vecchio detto popolare recita che “ci vorrebbe un medico in ogni famiglia”. Vista la delicatezza del ruolo del medico, ognuno di noi vorrebbe sempre affidarsi a una persona della massima fiducia, cioè un parente o almeno un amico. Un discorso analogo vale per il proprio rappresentante politico e non è un caso che, quando una persona può vantare un parente o un amico in parlamento, un altro detto popolare dice che tale persona “ha un santo in paradiso”. Quest’ultimo detto la dice lunga su come vediamo l’attuale assetto sociale: il parlamento non rappresenta il centro del nostro sistema concentrico, è piuttosto il vertice di una piramide, una piramide così alta che il vertice si trova sopra le nuvole in una sorta di moderno Olimpo.
Chi riesce a partecipare a tale paradiso viene pertanto venerato come un santo protettore, ma in un sistema in cui i parlamentari sono alcune centinaia, mentre la popolazione è costituita da molte decine di milioni di persone, è matematico che solo pochi fortunati possano avere un parente o un amico in parlamento. In un simile contesto il problema non è trovare dei parlamentari illuminati che governino con imparzialità, semplicemente perché ciò è impossibile, l’obiettivo da raggiungere è quello di un nuovo sistema che permetta di affidarsi a una persona vicina, con cui confrontarsi e a cui rivolgersi per le proprie esigenze, a cui prestare il proprio supporto quando necessario e su cui esercitare il doveroso controllo, insomma un sistema che sia un’estensione del modello concentrico già descritto in un precedente capitolo.

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5.c.9 – Chi deve costituire il primo anello?

1 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

9-primo-anello-ridChi deve costituire il primo anello?

Proviamo insieme a vedere se il nostro modello di democrazia concentrica sia applicabile ad una città o a un’intera nazione (ricordando che prima bisogna diffondere la necessaria cultura democratica attraverso l’esperienza dei villaggi moderni).
Se vogliamo creare una struttura veramente democratica, è ovvio che il primo anello debba essere costituito da tutti i cittadini maggiorenni, ovverosia dal popolo, che in una democrazia detiene la sovranità. La struttura concentrica è uno degli strumenti che esso utilizza per organizzarsi ed autogestirsi; in particolare tale strumento serve a prendere delle decisioni in modo collettivo e, seguendo la natura umana, questo avviene attraverso il dialogo fra conoscenti, parenti o amici; tutti infatti amiamo parlare e consigliarci con le persone più stimate e fidate. Da sempre i re hanno schiere di consiglieri ed esperti, perché mai proprio il piccolo cittadino sovrano dovrebbe farne a meno? Ecco che per dare un valido contributo alla gestione democratica si rende automaticamente necessario un lavoro di squadra. L’anello si deve suddividere allora in piccolissimi gruppi di amici ben affiatati, che di fatto esistono già, ma con il nuovo sistema assumono un ruolo fondamentale nella società che viene loro riconosciuto istituzionalmente. E se una persona non si vuole interessare di politica o dell’argomento del giorno? Si può astenere delegando automaticamente tutti gli altri oppure delegarne uno in particolare. Il problema non risiede nel fatto che alcuni decidano per altri, questo è ciò che già succede, la popolazione accetta questo principio e anzi, in alcuni casi arriva ad invocare la dittatura pur di avere qualcuno che decida al suo posto; dobbiamo ancora una volta ricordare la nostra natura: siamo animali sociali, selezionati per organizzarci in gruppo e affidarci a un capo, non c’è niente di più naturale che ci si affidi a un altro, il vero problema è chi scegliere e con quali criteri.
Sappiamo già che votare un estraneo seguendo la pubblicità televisiva o simili equivale a rinunciare alla democrazia ed è inoltre noto che abili oratori con pochi scrupoli riescono a manipolare le folle oscurando chi ha migliori ragioni, ma minore abilità. Possiamo aggiungere che è molto pericoloso giudicare un rappresentante in base al titolo di studio, ai successi professionali, al patrimonio posseduto, al reddito prodotto, alla fedina penale immacolata o mediante una combinazione di questi o di altri fattori, perché sarebbe molto ingannevole, tutto tempo sprecato. Ognuno di tali criteri sarebbe infatti in grado di selezionare i più capaci e i più affidabili solo in presenza di un contesto ambientale che garantisse realmente pari opportunità fra i cittadini, perché solo così le lauree individuerebbero i più studiosi, i successi premierebbero i più meritevoli, la ricchezza apparterrebbe ai più capaci, ecc.. In un contesto in cui invece tutto è falsato per mancanza di vera democrazia, in cui le lauree si possono comprare un tanto al kilo, in cui i successi professionali e imprenditoriali sono dovuti sempre più agli appoggi politici, in cui ricchezza fa rima con spregiudicatezza, in cui le fedine penali vengono mantenute intonse potendosi permettere i migliori avvocati, piuttosto che con indulti e amnistie mirate, tali criteri sarebbero inutili. Infine non esistono titoli di studio o successi professionali che garantiscano la qualità più importante di un rappresentante che è l’affidabilità. Il problema della scelta si risolve invece immediatamente all’interno di un piccolo gruppo: niente estranei, niente pubblicità, niente folle che possano farsi manipolare; la scelta forse è limitata, ma sicuramente molto più affidabile ed è questa la cosa più importante.
Il primo anello dunque si deve suddividere in piccoli gruppi principalmente per scegliere un rappresentante a cui elencare i propri disagi, parlarne o magari chiedere consiglio. La maggior parte della popolazione infatti, pur accusando disagi di diverso tipo, spesso non conosce la vera causa degli stessi e tantomeno i veri problemi da risolvere; non sapendo come agire, la gente aspira a trovare qualcuno che agisca per essa, ma oggi lo fa pescando fra dei perfetti sconosciuti che emergono grazie al supporto di campagne elettorali da centinaia di milioni di euro. Se vogliamo realizzare una vera democrazia, non dobbiamo indurre tutta la popolazione a occuparsi quotidianamente di politica, sarebbe contro natura e non funzionerebbe mai; bisogna piuttosto creare un sistema che permetta una vera rappresentatività, la quale si può ottenere facilmente in piccoli gruppi per conoscenza diretta.
Il primo passo per risolvere un problema è quello di avvertirne la presenza e sappiamo che questa si manifesta attraverso un disagio. Questo primo passo si realizza spontaneamente nel primo anello quando la gente comune parla dei propri problemi alle persone vicine ed in particolare a quelle a cui si vuole affidare.

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5.c.10 – Quanto piccoli devono essere i gruppi?

2 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

10-piccoli-ridQuanto piccoli devono essere i gruppi?

Nei singoli gruppi si parla, si propongono idee, ci si consiglia, in questo modo si inizia a formare in modo autonomo la volontà popolare, premessa fondamentale della democrazia autentica. Tale attività viene condotta nel modo più naturale in due o tre persone, massimo quattro, con un numero superiore si inizia a formare una vera e propria riunione la quale richiede, affinché tutti si possano esprimere senza ostacolarsi a vicenda, un minimo di disciplina, di organizzazione e di impegno. Simili riunioni non presentavano problemi nei gruppi di lavoro che abbiamo incontrato nel villaggio moderno, tali gruppi però erano formati da persone particolarmente interessate ad un dato argomento o a una certa attività e quindi si riunivano spontaneamente. I gruppi di cui parliamo adesso invece devono essere adatti a tutta la popolazione, anche ai più disinteressati, quindi è bene evitare riunioni impegnative e cercare di sfruttare al massimo i canali sociali che già esistono. Risulta allora agevole affrontare un argomento in due o tre persone durante le normali frequentazioni oppure, senza muoversi di casa e con più tempo per riflettere, affrontarlo in un gruppo organizzato su internet che risulta facile e funzionale anche con una dozzina di persone. Nulla vieta infine di combinare i due sistemi riportando sul proprio sito virtuale le idee emerse in un dialogo al bar o durante una pausa di lavoro, in questo modo potrebbe partecipare ad una discussione un numero ancor più elevato di persone.
Ricordiamo però che tali gruppi non sono riservati solo a chi è animato da interessi particolari, inoltre essi devono tutelare il comune interesse ed in essi ciascuno ha la possibilità di essere nominato rappresentante di tutti gli altri, quindi è bene che i partecipanti siano legati da vincoli di amicizia e nel gruppo regnino stima e fiducia. Ma quante persone conosciamo così bene da poter scegliere come nostri rappresentanti o essere scelti da esse come tali? Di nuovo ci troveremmo davanti a numeri come quattro, cinque, massimo sette o otto. È naturale infatti che si possa ricevere piena fiducia da un numero assai limitato di conoscenti e ciò deve essere visto come un vantaggio, poiché in questo modo è facile essere vicini al proprio rappresentante per sostenerlo o controllarlo secondo necessità.
Se in prima battuta poniamo come pari a cinque il numero giusto di persone per formare i suddetti gruppi, possiamo facilmente immaginare di suddividere il primo anello in parti da cinque persone, tuttavia ciò sarebbe molto difficile e poco pratico da realizzare nella realtà per vari motivi:
• la scelta del gruppo a cui appartenere deve essere libera, ma un numero fisso imporrebbe di doversi accontentare dei posti rimasti vacanti
• il numero dei cittadini è in continua mutazione: ogni giorno diverse persone diventano maggiorenni e ogni minuto molte persone muoiono
• i vincoli di amicizia spesso legano gruppi di numero più elevato che giustamente non vorrebbero dividersi
• non tutti si interessano o si sentono preparati sugli stessi argomenti quindi bisogna prevedere che non sempre tutti partecipino alle discussioni; per garantire un minimo di partecipazione in alcuni casi è opportuno un numero maggiore di cinque anche se non tanto da rendere caotica una riunione a cui tutti volessero partecipare.
È pertanto fisiologicamente necessaria una certa elasticità e ci sembra opportuno un numero variabile fra cinque e nove poiché è chiaro che in dieci ci si può agevolmente dividere in due gruppi da cinque. Si tratta di una convenzione per contemperare le diverse esigenze, potremmo anche far oscillare il numero fra sei e dodici, l’importante è non raggiungere numeri troppo grandi e che non vi sia troppa differenza numerica fra i vari gruppi in modo che i vari rappresentanti abbiano grosso modo la stessa dignità nel secondo anello.
In questo modo è possibile che dei membri entrino o escano dal gruppo senza compromettere tutto il sistema e solo in casi particolari saranno necessari scissioni o accorpamenti.

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5.c.11 – Qual è il ruolo dei rappresentanti?

3 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

11-rappresentante-ridQual è il ruolo dei rappresentanti?

I gruppi del primo anello devono comunicare fra loro i disagi che condividono, ma anche le idee, i progetti e magari le prime soluzioni che emergono dalla loro attività, queste devono essere raccolte e confrontate, quindi ulteriormente discusse; tali compiti spettano proprio ai rappresentanti.
È bene ricordare che vi sono due modi per rappresentare qualcuno:
• riferire fedelmente la decisione presa dal delegante
• prendere la decisione al posto del delegante.
È ovvio che è proprio il delegante, nel nostro caso il gruppo, che sceglie in quale modo vuole essere rappresentato, in base all’argomento trattato o al contesto.
Tornando alla rappresentazione grafica della democrazia concentrica, possiamo notare che l’anello più esterno ha cambiato aspetto: non più un cerchio costituito da singoli individui, ma un anello composto da un numero più ridotto di gruppi di base (che d’ora in poi chiameremo semplicemente Gruppi) per ognuno dei quali avremo un rappresentante nel secondo anello.
Per essere designati come rappresentanti da quattro parenti o amici in un Gruppo, è evidente che non servono né le costose quanto indisponenti campagne elettorali, né le ricorrenti quanto noiose elezioni; è sufficiente una semplice manifestazione di volontà, che come tale può essere modificata in ogni momento, analogamente a quanto siamo già abituati a fare per scegliere il medico di famiglia.
Lo Stato ci ha già associato a un codice che ci identifica in modo univoco; creare un database istituzionale che gestisca la composizione dei nostri Gruppi del primo anello e i relativi rappresentanti è veramente un gioco da ragazzi che si può realizzare praticamente a costo zero. Ogni cittadino potrebbe dunque accedere a tale database e modificare con la massima comodità la propria preferenza per il rappresentante (compatibilmente con le deleghe già ottenute dalla persona scelta) o per il Gruppo tramite un’interfaccia molto semplice e intuitiva da usare mediante il proprio computer o attraverso apposite postazioni messe a disposizione presso gli uffici comunali o di altre istituzioni pubbliche.
Con questo primo passaggio del nuovo sistema, l’80% della popolazione potrebbe disinteressarsi della politica, ma avrebbe in casa il proprio rappresentante, una persona cioè che, oltre ad essere della massima fiducia, sarebbe anche quotidianamente a disposizione per confrontarsi sulle priorità dei problemi da risolvere, problemi che del resto vive anch’egli insieme ai propri rappresentati. È il caso di sottolineare ancora una volta che non tutti hanno il tempo, la passione o le capacità per interessarsi di politica, tuttavia con i Gruppi evitiamo che si formino degli emarginati della politica, poiché ognuno ha sempre la possibilità di dare il proprio contributo qualora lo voglia.

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5.c.12 – Come organizzare il secondo anello?

4 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come organizzare il secondo anello?

12-secondo-anello-ridLa natura ci insegna che quando si trova una formula che funziona bisogna replicarla per sfruttarla il più possibile, si pensi alla riproduzione sessuata, alla masticazione dei cibi o alla vista stereoscopica. Nel nostro piccolo dobbiamo allora umilmente trarre il giusto insegnamento e proseguire sulla nostra strada.
Abbiamo già applicato alcune fondamentali strategie evolutive: le cellule del primo anello crescono infatti fino a nove membri per poi dividersi in due cellule uguali formate da cinque persone (riproduzione per scissione); i membri della cellula attribuiscono a uno di essi il compito di rappresentarli (specializzazione) e tali rappresentanti, che possiamo definire fiduciari, dovranno a loro volta unirsi per formare un nuovo organo (collaborazione). Questi nuovi gruppi saranno formati da persone più motivate rispetto ai precedenti e la loro partecipazione sarà più attiva, analogamente a quanto avviene nei gruppi di lavoro del villaggio moderno e come questi dovranno svolgere un ruolo assimilabile agli antichi clan familiari.
Per questo motivo chiameremo Clan l’insieme dei Gruppi riuniti nel secondo anello per mezzo dei loro rappresentanti il cui gruppo prenderà il nome del Clan che rappresenta. Possiamo subito notare che ora la loro somiglianza con i clan del passato è ancora più marcata, in quanto i primi sono formati da più Gruppi così come i secondi lo erano da vari nuclei familiari. In precedenza i gruppi di lavoro erano stati limitati a dieci unità per esigenze pratiche di gestione delle riunioni, ma questo problema un tempo non esisteva, poiché i clan familiari non erano istituzioni democratiche e al massimo si potevano riunire i capi famiglia cosi come nel Clan si riuniscono i rappresentanti. Vi è dunque una somiglianza quasi perfetta fra i Clan e gli antichi casati, ricordando che questi ultimi rimangono la più naturale forma di associazione umana insieme alla famiglia ed al villaggio tribale; questo è proprio quanto volevamo: una struttura democratica e rispettosa della natura umana.
Al fine di mantenere al massimo la suddetta somiglianza, un futuro rappresentante dell’intero Clan deve essere molto vicino ai suoi deleganti del primo anello, è necessario dunque che egli rappresenti un insieme poco numeroso, dalle 15 alle 30 persone circa. Per rispettare i limiti che ci siamo appena posti, nel secondo anello si dovranno formare dei Clan che andranno dalle tre alle cinque persone.
Si noti che in questo modo tutti gli appartenenti ai Gruppi frequentano abitualmente anche il loro rappresentante indiretto e spesso saranno addirittura parenti dello stesso. Ciò significa che con la nuova struttura democratica circa il 95% della popolazione può delegare la gestione pubblica a un parente o a un amico e può farlo con la massima naturalezza, non servono infatti né assemblee, né votazioni, né verbali, né altre particolari formalità; il delegato non deve avere né una particolare età, né un particolare titolo di studio, né un particolare curriculum professionale, insomma il 95% della popolazione potrà nominare il rappresentante che preferisce secondo i propri criteri personali e potrà esimersi dal preoccuparsi della gestione pubblica senza però rinunciare a tutelare i propri interessi poiché avrà comunque delegato una persona vicina.
In un simile sistema non è necessario stabilire un tempo minimo di durata della carica di fiduciario o di delegato, né tantomeno un tempo massimo; non serve neppure stabilire un dato numero di riunioni perché si tratta di un insieme di persone che si frequentano abitualmente e che quindi si trovano in una sorta di riunione permanente in cui il delegato avrà sempre “il polso” del proprio gruppo.

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5.c.13 – La struttura politica inizia al terzo anello?

5 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

13-struttura-ridLa struttura politica inizia al terzo anello?

Una volta giunti al terzo anello, i rappresentanti dei Clan dovranno ancora una volta riunirsi in gruppi per formare un Villaggio, così chiamato perché rispecchia quella naturale forma di associazione umana che è il villaggio tribale. Esso è la più grande struttura entro la quale tutti si conoscono piuttosto bene, nella quale quindi possiamo sfruttare i vantaggi della conoscenza diretta, tuttavia già a questo livello diventa improbabile che i membri del gruppo siano persone che si frequentano abitualmente e quindi bisogna cominciare a stabilire delle regole di comportamento che servano da standard per garantire una collaborazione efficiente e che permettano, in caso di necessità, un facile spostamento da un gruppo all’altro. Sebbene in poco tempo i membri del gruppo, non essendo estranei, raggiungeranno un grado di confidenza adeguato, è bene affrontare subito il problema per evitare che si ripresenti ingigantito con i raggruppamenti successivi, i quali saranno ovviamente molto più grandi e i relativi rappresentanti saranno inizialmente estranei. Se poniamo che i vari Clan siano composti mediamente da 28 persone l’unione di sei Clan forma un Villaggio di 168 membri, circa il doppio di un antico villaggio tribale. Per non allontanarci troppo dalla nostra natura dunque poniamo pari a 170 il numero massimo di membri di un Villaggio.
I gruppi del terzo anello non somigliano né a famiglie, né a consigli di famiglia, costituiscono i primi enti ufficiali del nuovo assetto sociale. Tali gruppi rappresentano un Villaggio che è solo una variante dei villaggi moderni presentati in un precedente capitolo, ma è opportuno porre in evidenza alcune differenze: si ricordi infatti che il villaggio moderno è un insieme di persone che decide di organizzarsi privatamente per cercare di risolvere i problemi radice e quindi per migliorare la qualità della propria vita già nell’attuale sistema politico, mentre il villaggio di cui si parla nel presente paragrafo è un ente della nuova struttura democratica, molto simile al primo, ma formato da un anello in più per includere e tutelare anche chi non ha grande spirito di partecipazione.
Un ente ufficiale deve avere delle funzioni ben definite e il compito del Villaggio è quello di confrontare e discutere i problemi sentiti dai propri membri in modo da arrivare a una corretta e comune definizione degli stessi. Ci aspettiamo dunque che al terzo anello si giunga almeno al secondo passo verso la soluzione di un problema: il suo inquadramento. Tale lavoro è svolto prevalentemente dai fiduciari del secondo e del terzo anello, ma si ricordi che ogni anello è subordinato al precedente e che i rappresentanti servono da collegamento fra i vari gruppi, in genere sono dei coordinatori e dei portavoce, è raro che decidano in modo del tutto indipendente per gli altri. Ecco la base da cui partire per stabilire delle regole comuni nell’assemblea del Villaggio, ma anche per svolgere tale lavoro non servono particolari formalità, né particolari strutture; ricordiamo che i membri dell’assemblea sono solo cinque o sei e che le aggregazioni, pur essendo libere ed avendo internet a disposizione, avverranno con tutta probabilità anche seguendo un criterio di vicinanza fisica; quindi le riunioni ufficiali, quando necessarie, potranno svolgersi presso l’abitazione o l’ufficio di uno dei membri o magari al ristorante.

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5.c.14 – Si deve innovare anche il concetto di assemblea ufficiale?

6 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

14-assemblea-ridSi deve innovare anche il concetto di assemblea ufficiale?

Termini di convocazione, ordini del giorno non modificabili, assemblee in cravatta, votazioni a maggioranza, verbali con formule di rito: che barba, che noia! Cosa diremo ai nostri ragazzi della “generazione i” che stanno crescendo? Che non siamo riusciti a fare nulla di meglio? Rimbocchiamoci ancora una volta le maniche e ragioniamo insieme: una volta stabilito quale sia la funzione del Villaggio, saranno i membri dello stesso, persone adulte e responsabili, che si organizzeranno per svolgere al meglio tale funzione; il senso di responsabilità scatta automaticamente quando si è nominati dai propri familiari e dai propri amici, cioè da persone che devi guardare negli occhi tutti i giorni, mentre l’entusiasmo si sviluppa nel momento in cui si ricopre un ruolo istituzionale le cui gratificazioni possono compensare le amarezze quotidiane.
Chi ha partecipato a un incontro organizzato dall’alto (un’assemblea condominiale, un consiglio scolastico, una riunione di lavoro, ecc.) può confermare che si tratta di esperienze noiose e spesso inconcludenti; l’auto-organizzazione di un gruppo di pari per il raggiungimento di uno scopo preciso è invece tutt’altra cosa:
• non servono convocazioni ufficiali da notificare con raccomandate con avviso di ricevimento, semplicemente perché spesso non ci sarà bisogno neanche di una riunione fisica; il confronto dei problemi da definire può avvenire in rete con un forum dedicato del villaggio (in una struttura democratica è ovvio che l’intero territorio sia coperto da linee di connessione veloce e che i membri del villaggio, svolgendo una funzione di pubblica utilità, abbiano gratuitamente l’accesso ad internet) e quindi ogni membro potrà fare delle proposte o commentare quelle altrui (anche quelle di altri villaggi) nel proprio tempo libero a propria totale discrezione
• non servono ordini del giorno non modificabili se non con una nuova convocazione e con tutte le formalità del caso, semplicemente perché non ha senso. Ogni membro può inserire nel forum l’argomento che preferisce e se gli altri membri lo commenteranno significherà che era degno di discussione, altrimenti no
• normalmente non servono proprio le assemblee, perché abbiamo visto che il lavoro può svolgersi in rete; i membri di un villaggio potranno naturalmente consolidare il proprio rapporto con incontri di persona, ma è preferibile che siano incontri conviviali intorno a una bella tavola imbandita
• normalmente non servono le votazioni a maggioranza, perché in un piccolo gruppo di membri affiatati si tende sempre a raggiungere l’unanimità; ricordiamo che unanimità non significa pensare tutti allo stesso modo, ma convergere verso una posizione comune, pur partendo da opinioni diverse; quando un gruppo deve ricorrere spesso alle votazioni significa che non è un gruppo coeso ed è meglio che si sciolga
• non servono verbali con formule di rito vetero-notarili come per esempio: “addì il giorno 24 (ventiquattro) del mese di settembre, dell’anno 2008 (duemilaotto), presso gli uffici ubicati in … , si riunisce l’assemblea …, debitamente convocata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento spedita in data …, premesso che tutti gli intervenuti …, e così via nella generale alienazione. Il risultato delle discussioni viene memorizzato nel forum e, una volta raggiunta una posizione comune circa un dato argomento, questa verrà sintetizzata in uno scritto in modo che possa avanzare al quarto anello.

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5.c.15 – Si possono superare i concetti di gerarchia e controllo?

7 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

15-gerarchia-ridSi possono superare i concetti di gerarchia e controllo?

La nostra evoluzione culturale ha creato dei sistemi basati su delle gerarchie autoritarie, su asfissianti controlli e su relative pesanti sanzioni; si tratta di sistemi talmente diffusi da essere divenuti normali a tutti i livelli: nelle famiglie, nei luoghi di lavoro e nella società in genere; tale tradizione è così radicata da essere stata adottata e tramandata dalle nostre religioni divenendo ancora più forte.
La naturale avversione a tali sistemi ha portato a un graduale dissolvimento degli stessi, ma dato che nel contempo non sono stati trovati dei modelli alternativi, ha portato anche ad una progressiva disgregazione di ogni istituzione sociale: insegnanti derisi e offesi dai propri alunni benché adolescenti, medici denunciati dai propri pazienti, genitori succubi dei propri figli, ecc.; in questa caotica progressione cresce in modo altrettanto esponenziale la richiesta di maggiore autorità, maggiore controllo e inasprimento delle sanzioni, insomma si sente il bisogno di tornare indietro. Bisogna allora rendersi conto che non abbiamo perso un modello valido, ma semplicemente non l’abbiamo sostituito con un nuovo ed efficiente modello.
Il villaggio moderno, il corallo umano e la struttura democratica cercano, attraverso l’applicazione della democrazia concentrica, di implementare un nuovo modello che intende sostituire la gerarchia imposta dall’alto con un’organizzazione condivisa (che non significa appiattimento o disconoscimento dei diversi ruoli che le persone necessariamente devono ricoprire) e che vuole rimpiazzare l’esasperazione dei controlli (peraltro puntualmente elusi) con un responsabile orgoglio personale, riducendo al minimo i controlli piramidali e sostituendoli con la responsabilità diretta (autocontrollo) e la collaborazione (controllo fra pari). In un sistema di anelli non ci sono vertici, ogni cerchio abbraccia e circoscrive quello più interno e quindi allo stesso tempo lo aiuta e lo limita; abbiamo già detto che in tale sistema le esigenze ed i problemi delle persone, tutte pari sullo stesso anello, confluiscono verso il centro e trovano delle soluzioni mentre si accentrano; tali soluzioni verranno poi irradiate verso l’esterno con una sorta di pulsazioni che terranno in vita e faranno crescere la nostra società. Continuiamo dunque a costruire il nostro modello.

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5.c.16 – Cosa accade oltre il villaggio?

8 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

16-oltre-ridCosa accade oltre il Villaggio?

Considerando una popolazione comunque grande, anche molti milioni di persone, noi possiamo applicare il sistema degli anelli per suddividerla ed organizzarla in Villaggi. Seguendo poi sempre lo stesso schema, ogni Villaggio manderà un rappresentante verso il centro formando il quarto anello; a questo punto dobbiamo notare alcune cose:
• i rappresentanti del quarto anello sono meno dell’1% della popolazione totale poiché possiamo presumere che i Villaggi superino mediamente le 100 unità
• in un gruppo di Villaggi molti possono non conoscersi direttamente, ciò significa che ciascuno conoscerà il rappresentante del proprio Villaggio, ma potrebbe non conoscere quello degli altri; quando dunque si eleggerà un unico rappresentante comune da inviare al quinto anello questo risulterà estraneo a molti, si perde quindi il legame della conoscenza diretta all’interno del gruppo e con il proprio rappresentante. Il quarto anello è l’ultimo ove troviamo sicuramente una persona del nostro villaggio, quindi ben nota
• scomparso il legame della conoscenza diretta, come unico limite numerico nella formazione dei gruppi rimane la necessità di formare un’assemblea di rappresentanti che sia facilmente gestibile e funzionale, cioè costituita da un numero di membri non superiore a quindici, da qui in avanti poniamo allora, che i gruppi possano variare da sette a quattordici membri, solo per comodità di calcolo e di esposizione considereremo che essi siano mediamente composti da dieci unità.
Al quarto anello dunque i gruppi riuniranno dieci Villaggi superando i mille membri e manderanno poi i loro rappresentanti a quello successivo. Al quinto anello tutte le considerazioni appena fatte per il quarto divengono ancor più valide: il numero dei membri si è infatti ridotto a un decimo rispetto al quarto e la possibilità di incontrare estranei è più elevata. I rapporti con il primo anello divengono formali poiché è venuta meno la conoscenza diretta, quindi dal quinto in poi gli anelli perdono il loro carattere familiare ed informale, per cui li chiameremo anelli istituzionali.
Sebbene la popolazione del quinto anello sia meno di un millesimo di quella del primo, se la popolazione di partenza è di molti milioni di cittadini, essa sarà comunque formata da migliaia di persone. Sarà dunque necessario ripetere la solita procedura creando un sesto anello e poi un settimo, ecc.. In questo modo si formano anelli sempre più piccoli fino a realizzarne uno con meno di quindici persone. A prima vista può sembrare che per raggiungere tale risultato sia necessario un grande numero di passaggi, ma si può facilmente calcolare che per saturare un sistema con 11 anelli sono necessarie oltre 10 miliardi di persone, circa il doppio dell’intera popolazione mondiale. Questo vuol dire che su qualunque nazione o gruppo di nazioni noi si voglia applicare il sistema concentrico, occorreranno al massimo dieci passaggi. Questo calcolo è stato fatto considerando anche gli anelli informali, cioè i primi quattro, i quali non comportano certamente un appesantimento burocratico; se invece consideriamo solo quelli istituzionali i passaggi possibili si riducono a sette.
Giunti al penultimo anello questo sarà formato da circa cento membri che saranno coordinati dall’ultimo anello centrale, a loro spetta dunque il compito di tradurre i contributi provenienti da tutta la struttura in leggi ed obiettivi politici concreti, operando le scelte definitive.

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5.c.17 – I compiti si suddividono fra i vari anelli?

9 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

17-compiti-ridI compiti si suddividono fra i vari anelli?

Se il primo anello esprime attraverso il disagio la percezione di un problema collettivo, il secondo ed il terzo hanno il compito di inquadrarlo nel modo migliore. In tal modo la volontà popolare, spesso incerta e confusa, diventa consapevole e determinata; riteniamo giusto che questo processo avvenga dentro il Villaggio, dove ciascuno conosce tutti gli altri e quindi ognuno contribuisce alla formazione di detta volontà collettiva.
Al quarto allora si deve compiere il passo successivo, cioè valutare e selezionare il problema ovvero stimare la sua priorità, nonché la possibilità di essere risolto internamente. La selezione del problema, come abbiamo visto non è un’operazione banale, è anzi di fondamentale importanza per non sprecare tempo ed energie; se è preferibile o addirittura necessario che la soluzione di un dato problema venga delegata a una struttura più grande, è bene farlo immediatamente per concentrarsi sui problemi alla nostra portata.
Il quinto anello dunque dovrà assumersi l’incombenza di studiare le prime soluzioni dei problemi individuando degli obiettivi precisi da raggiungere. Per svolgere tale compito si potranno naturalmente raccogliere le proposte di soluzione provenienti dagli anelli più esterni, in quanto è assai probabile che su migliaia di membri qualcuno abbia già avuto qualche buona idea.
Per fruire delle sinergie che si possono sfruttare in ambito nazionale è dunque importante già al quarto anello che il lavoro dei vari gruppi e dei relativi Villaggi sottostanti sia condiviso. La valutazione di quanto un problema sia sentito in un contesto più ampio del nostro è infatti fondamentale per scegliere i tempi e le alleanze con cui affrontarlo e quindi per assegnargli una giusta priorità.
La condivisione di tali lavori sarà semplicissima, basterà pubblicare in rete le sintesi di quanto elaborato dai vari gruppi, sintesi comunque già sviluppate ad uso interno che non comporteranno alcuno sforzo ulteriore, ma produrranno grande utilità reciproca.
Osserviamo infine che il confronto e l’affinità fra le priorità stabilite rappresenta anche un valido criterio guida per formare le coalizioni del quinto anello, dato che è quasi certo che esse siano formate da persone che inizialmente non si conoscono.
Al sesto anello ci aspettiamo che la definizione delle soluzioni, ovvero come raggiungere concretamente gli obiettivi stabiliti, dovrebbe essere portata a termine; agli eventuali anelli successivi non rimane che confrontare le diverse soluzioni, valutarle e selezionarle per poi passarle all’anello successivo. Qualunque sia il numero degli anelli, spetta agli ultimi due prendere le decisioni finali: secondo i casi si potranno votare le proposte al penultimo anello (più numeroso) e le votazioni saranno poi raccolte e convalidate dall’ultimo (che svolge funzioni di coordinamento), oppure l’anello centrale semplicemente riceverà delle indicazioni dal precedente e voterà direttamente le proposte migliori.
Vogliamo infine porre in evidenza l’utilità degli anelli successivi al sesto la cui opera selettiva permette di alleggerire il carico di lavoro degli ultimi due anelli ai quali giungeranno solo poche alternative fra cui scegliere, solo due o tre. Un altro fattore che permette di evitare un eccessivo carico di lavoro agli ultimi anelli è il fatto che i gruppi del settimo anello rappresentano già più di un milione di persone, quante ne contiene una provincia attuale o una città di notevoli dimensioni, quindi dispongono da sole delle risorse umane, culturali ed economiche per poter affrontare localmente la maggior parte dei problemi.

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5.c.18 – E’ necessario l’intervento di specialisti?

10 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

18-specialista-ridÈ necessario l’intervento di specialisti?

All’interno di un Villaggio vi è una notevole varietà culturale, essendo formato da oltre cento persone, e su ogni argomento ognuno cerca consiglio da chi ne sa di più. Quando i vari Clan inviano i loro rappresentanti all’assemblea del Villaggio devono tenere conto anche delle loro competenze tecniche riguardo agli argomenti da trattare. Non essendoci alcun motivo per mandare sempre lo stesso rappresentante, essi potranno cambiarlo anche in base all’ordine del giorno, oppure inviarne anche due o tre specializzati in campi diversi che si alterneranno durante la riunione in base al singolo argomento trattato.
Se questo modo di procedere non comporta alcun problema all’interno del Villaggio poiché in un Clan la scelta dell’esperto è immediata, passando a strutture più grandi le cose si complicherebbero. Negli anelli più interni infatti le assemblee sono formate da estranei che, se sostituiti continuamente, rimarrebbero tali, non vi sarebbe continuità nel lavoro e, peggio ancora, non potrebbero scegliere con competenza un rappresentante comune, compromettendo tutto il sistema.
D’altra parte lo scopo della struttura concentrica è proprio quello di sfruttare al meglio le risorse culturali di tutta la popolazione selezionando le idee migliori, quindi una preparazione specialistica è indispensabile. Pertanto, al fine di garantire stabilità ed efficacia al sistema, ogni Villaggio invierà al quarto anello un rappresentante stabile di coordinamento che manterrà i rapporti con gli altri Villaggi ed uno o più esperti che nel loro campo si confronteranno con i loro colleghi. Lo stesso sistema sarà applicato da tutti gli anelli successivi. Da un rappresentante singolo si passa quindi ad una squadra, che presumibilmente crescerà negli anelli più interni al crescere delle esigenze e della varietà dei temi da trattare. Questo consentirà inoltre di trattare contemporaneamente una serie di problemi diversi.

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5.c.19 – Come si forma il governo?

11 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

19-governo-ridCome si forma il Governo?

Giunti ai due ultimi anelli, come abbiamo detto, questi devono stabilire quali sono gli obiettivi politici a livello nazionale nella loro forma definitiva. Questo si traduce in leggi valide per tutta la comunità (a cura soprattutto dell’anello legislativo esterno) e direttive per l’organo esecutivo (a cura dell’anello legislativo interno). Per evidenziare tale importante funzione chiameremo tali anelli Centro Legislativo, in essi lavorano decine di squadre provenienti dall’anello precedente, ognuna dotata di specialisti di alto livello.
Tali esperti vengono scelti con il solito sistema dai colleghi dell’anello precedente, essi pertanto seguono un canale elettivo separato per ogni specialità. I legislatori in generale devono avere sia competenza tecnica del settore di cui si devono occupare, sia capacità di mediazione per collaborare con i colleghi dello stesso settore e con quelli della propria squadra. La capacità di mediazione è particolarmente importante per il ruolo di rappresentante coordinatore al quale oltretutto è affidata anche la tutela della coerenza con la volontà popolare relativa ai propri rappresentati.
Sorge a questo punto il problema di scegliere a chi affidare il compito di realizzare i programmi politici definiti dal Centro Legislativo, ovvero come formare l’organo esecutivo equivalente agli attuali governi. Anche in questo caso si tratta di compiti specializzati, quindi si dovrà formare una squadra che raccolga le competenze necessarie. Data l’affinità con le squadre presenti nella struttura concentrica appare immediato affidare loro con la solita procedura la scelta dei ministri di quello che chiameremo Centro Esecutivo. Così come vengono selezionati i membri delle squadre del Centro Legislativo, così saranno scelti i candidati alla carica di ministro. Tali candidati viste le funzioni che devono svolgere, dovranno presentare le seguenti qualità:
• competenza tecnica, quindi devono essere persone esperte del settore di cui si devono occupare
• competenza organizzativa, quindi devono essere persone esperte di gestione
• capacità di mediazione, quindi devono essere persone equilibrate, sagge, in grado di intercedere fra più parti in modo da raggiungere un accordo.
Ma quante persone presentano contemporaneamente le suddette qualità? Selezionare per ogni anello simili fenomeni può apparire assai difficoltoso, tuttavia per questi casi la natura ci ha fornito due fondamentali strategie molto efficaci: la specializzazione e la collaborazione. Per non rinunciare a nessuna delle suddette qualità e fare in modo che siano tutte presenti in ogni ministero possiamo stabilire che ogni gruppo del penultimo anello scelga una terna di persone in modo tale che ognuna di esse presenti una diversa qualità. Con questo criterio si formano dei gruppi specializzati, ben assortiti e snelli, formati da un ministro esperto di gestione e due assistenti (un tecnico ed un mediatore) che dovrebbero assicurare un alto grado di efficienza.
Al fine di ridurre il più possibile il rischio che, come accade oggi, nella scelta dei ministri si sovrappongano interessi diversi da quelli della Nazione, ci sembra opportuno introdurre un sistema di sorteggio per ogni terna: in tal modo per tutelare un interesse privato non si potrà cercare di favorire un candidato corrotto, ma si dovrà prima cercare di corromperli tutti, perché tutti possono essere sorteggiati, e ciò risulta ovviamente più difficile. Il sorteggio inoltre non presenta problemi per la competenza tecnica perché con il sistema concentrico risulteranno automaticamente tutti ultra-selezionati, e questo basta, poiché stiamo parlando di amministratori e non di campioni sportivi, essi devono essere preparati per fare il proprio lavoro e non per vincere delle competizioni. Se dunque il caso sorteggiasse la terna peggiore fra quelle presenti, essa sarà in grado comunque di fare un buon lavoro. E’ bene sottolineare che la carica di ministro è ricoperta da una sola persona, l’esperto di gestione, che si assume la totale responsabilità del proprio settore senza alcun alibi, egli risponde ai cittadini con la propria faccia. L’ufficio di gestione è invece costituito da una terna di persone, ma l’esperto tecnico e l’esperto in mediazione hanno una funzione prevalentemente consultiva o comunque subordinata.
Si ricordi infine che i ministri, benché oculatamente selezionati e quindi all’altezza dell’incarico ricevuto, potranno sempre avvalersi del lavoro effettuato nei vari anelli con riferimento alla loro materia di competenza e potranno farlo grazie alle moderne tecnologie che permettono la creazione di archivi informatici indicizzati, archivi consultabili in ogni momento, con grande facilità, con diverse logiche di interrogazione, ecc.

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   JAMES M. BUCHANAN 

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5.c.20 – Come mantenere la separazione dei poteri?

12 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

20-separazione-ridCome mantenere la separazione dei poteri?

Per tutelare la democrazia mantenendo la separazione dei tre poteri fondamentali è necessario che nessuno, eccetto il primo anello, possa controllarli tutti e tre. Il Centro Legislativo è controllato direttamente dal terzultimo anello, tale anello dunque non dovrà avere alcuna autorità per interferire con l’operato dell’Organo Esecutivo o con l’Autorità Giudiziaria. Tale obiettivo può essere facilmente raggiunto considerando che a partire dal quarto anello ogni categoria di esperti elegge con la solita procedura gli esperti dell’anello successivo; ogni categoria dunque segue un percorso di elezioni separato dalle altre e lo stesso accadrà per quelle dell’esecutivo e per quelle giudiziarie. I percorsi di chi eserciterà le tre forme di autorità dello Stato allora saranno completamente separati come lo sono le rispettive funzioni. Per lo stesso motivo anche i contatti professionali fra autorità diverse dovranno essere limitati al minimo necessario e disciplinati da apposito regolamento.
È bene far notare che anche l’Autorità Giudiziaria deve essere amministrata e che essa non comprende solo i magistrati cosi come il Ministero della Sanità non comprende solo medici, ma anche infermieri, contabili, biologi, chimici e chissà quante altre categorie. Il Ministero della Giustizia non può essere considerato cosa separata dall’Autorità Giudiziaria, anche oggi si tratta infatti di un unico sistema finalizzato all’attività giudiziaria; ne segue che tale ministero, in cui i Giudici sono una componente fondamentale, ma pur sempre una componente, dovrà essere separato dal Governo al fine di mantenere la separazione dei poteri.

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5.c.21 – Sorgono nuovi problemi al crescere della popolazione?

13 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

21-popolazione-ridSorgono nuovi problemi al crescere della popolazione?

Il sistema concentrico è tale che ogni anello risulta strettamente controllato (e assistito) dal precedente. Tale sistema è un’estensione del villaggio moderno che può essere visto come una semplice struttura a due anelli. Dato che la democrazia del villaggio si basa sulla conoscenza diretta dei membri e sul numero ridottissimo dei partecipanti alle assemblee, può sorgere il dubbio se essa possa perdere le sue qualità applicando tale tipo di organizzazione a milioni di persone.
Esaminiamo dunque tali qualità e cerchiamo di vedere se esse si conservano al crescere del numero degli anelli:
• non sono necessarie costose campagne pubblicitarie per le elezioni
• non vi sono liste di candidati imposte dai partiti, quindi vi è piena libertà di voto
• tutti appartengono alla stessa struttura politica, quindi non servono più i partiti come organizzazioni politiche
• le singole attività possono essere decentrate o accentrate secondo le necessità con estrema facilità e flessibilità
• la struttura è in grado di stimolare e raccogliere la partecipazione politica di tutta la popolazione e con essa un’enorme quantità di risorse umane ed economiche che oggi sono inutilizzate. I cittadini partecipano alla definizione dei programmi politici e non sono costretti a scegliere i progetti altrui
• la semplicità del sistema garantisce le pari opportunità politiche e quindi facilita anche quelle di altro tipo (relative al mondo del lavoro, all’istruzione, alla sanità, ecc.)
• ognuno conosce direttamente i propri rappresentanti
• controllo diretto dei rappresentanti.
Possiamo notare che le prime sei caratteristiche si conservano senza difficoltà, in particolare la flessibilità e il migliore sfruttamento delle risorse dovrebbero addirittura rafforzarsi, mentre per le ultime due le cose vanno diversamente. In una grande struttura infatti ognuno conosce i rappresentanti dei primi quattro anelli, quelli informali, ma non quelli degli anelli istituzionali. Sebbene in ogni anello ognuno conosce e controlla il proprio rappresentante diretto, non possiamo ignorare il fatto che per il cittadino comune i rappresentanti istituzionali sono degli estranei e che su di essi non vi è alcuna influenza diretta.
Per quanto riguarda il controllo diretto le cose vanno ancora peggio, se un rappresentante del quarto anello istituzionale si comportasse molto male, il cittadino comune dovrebbe accordarsi con quelli del suo gruppo e richiedere al suo rappresentante diretto di sostituirlo, ripetendo l’operazione con il suo rappresentante e così via per sette anelli. Si tratta già di un processo che appare lungo, ma se un nostro rappresentante del terzo anello non accettasse una simile richiesta proveniente da un altro gruppo e che noi riteniamo giusta cosa faremo? Inizieremo un’analoga procedura per cacciare lui per aver salvato l’altro? Magari fino ad allora si era comportato sempre bene e ci sembrerebbe eccessivo; e se ciò avvenisse in un anello informale riusciremmo a destituire un conoscente perché volevamo condannare un estraneo? È evidente che, anello dopo anello, si formerebbe una sorta di barriera protettiva che renderebbe i rappresentanti sempre più indipendenti dall’autorità del primo anello man mano che si avvicinano al centro, e lo stesso varrebbe per gli amministratori.
L’esperienza insegna che se i cittadini non sono in grado di far rispettare la propria autorità, i loro interessi prima o poi verranno ignorati. Se dunque il sistema concentrico da una parte può funzionare egregiamente per raccogliere le idee e per perfezionare sia la soluzione dei problemi, sia il programma politico, dall’altra esso non è in grado di garantire il controllo del cittadino sui suoi rappresentanti al crescere della popolazione. Per quanto il nostro sistema presenti molti vantaggi rispetto a quello attuale, esiste il rischio che, come il sistema parlamentare, applicato con milioni di persone perda la capacità di essere democratico.
Per evitare un simile rischio dobbiamo integrare la nostra struttura democratica con sistemi di controllo adeguati, strumenti che permettano al primo anello di esercitare la propria autorità su tutti gli altri.

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   n. 49 – POSSIAMO GESTIRE LA NOSTRA CULTURA? 

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5.c.22 – E’ possibile un controllo diretto?

14 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

22-controllo-ridÈ possibile un controllo diretto?

In precedenza eravamo giunti alla conclusione che nel sistema attuale il controllo dei cittadini sui propri rappresentanti è di fatto praticamente nullo, mentre quello sui ministri e sui magistrati è inesistente non solo di fatto, ma anche formalmente, non avendo tali cariche la necessità di una legittimazione popolare diretta. Questo avviene per una serie di motivi, come per esempio la convinzione che i parlamentari siano veri rappresentanti e che di conseguenza possano, anzi debbano controllare per conto dei cittadini anche l’esecutivo, che i partiti abbiano l’onestà di non esercitare pressioni indebite sulla magistratura, ecc.. Tali problemi nel sistema concentrico semplicemente non esistono, tuttavia siamo giunti alla conclusione che non è sufficiente aver eliminato i vecchi problemi: i cittadini, quando lo ritengono necessario, devono avere gli strumenti adeguati per imporre la loro autorità, altrimenti la democrazia cessa di esistere. Si tratta di un requisito necessario per qualunque sistema voglia essere democratico.
A tal fine, nelle forme di governo indiretto basate sui rappresentanti, si prevede la possibilità che la popolazione operi un “ricambio politico”, ovvero sostituisca una serie di importanti personaggi politici che l’hanno delusa, che hanno tradito le sue aspettative o la sua fiducia. In linea di principio, anche con il sistema concentrico è possibile un ricambio politico, ma come sappiamo esso risulta troppo difficoltoso da realizzare e tanto più una cosa è difficile, tanto meno siamo liberi di farla. Abbiamo anche visto, in un esempio precedente, come un monarca che possa essere destituito di diritto dal suo popolo non è più un monarca, non essendo più l’autorità suprema.
L’esperienza dei sistemi parlamentari ci insegna che i cittadini hanno grosse difficoltà a riconoscere i rappresentanti validi, ma ne hanno molte meno per individuare quelli che tradiscono la loro fiducia. Con la nostra struttura abbiamo risolto il problema di selezionare dei validi rappresentanti, ma non quello di eliminare eventuali casi di errore del sistema. Ci sembra pertanto opportuno separare l’attività elettiva (operata indirettamente nella struttura) da quella destitutiva da affidare in modo diretto al primo anello. Osservando che gli anelli istituzionali sono al massimo sei, possiamo notare che ogni villaggio deve sorvegliare ed eventualmente espellere dall’attuale incarico al massimo sei persone. In realtà i seggi dei vari anelli non sono occupati da singole persone, ma da delle squadre, nelle quali però la tutela della volontà popolare è affidata al rappresentante coordinatore; sono quindi questi coordinatori che devono essere giudicati direttamente perché è a loro che è affidata la responsabilità più grande. Per quanto riguarda il resto della loro squadra, sarà giudicato dagli esperti interni al villaggio con la medesima procedura oppure, se complici del coordinatore seguiranno automaticamente il suo destino. Ma quale destino? Cosa deve accadere a chi viene rimosso dal suo incarico? Se è stato necessario l’intervento diretto del primo anello vuol dire che il nostro rappresentante si è macchiato di una grave colpa come aver volontariamente tradito la fiducia del gruppo che rappresenta oppure aver intenzionalmente agito contro l’interesse di tutta la collettività.
Riteniamo che tali comportamenti siano incompatibili con il ruolo di rappresentante, quindi tale individuo sarà rimosso e dichiarato non idoneo a ricoprirlo dall’insindacabile volontà popolare. In altre parole sarà tagliato fuori per sempre dall’attività politica. In casi meno gravi il rappresentante potrà essere rimosso e interdetto solo per quell’anello ed i successivi oppure sarà sospeso per un certo numero di anni. È evidente che il giudizio diretto dei cittadini si deve attivare solo in casi particolarmente gravi, mentre per sostituire chi semplicemente non è stato abbastanza bravo, si userà la struttura concentrica.
Lo strumento principale a garanzia della democrazia, la Verifica dell’idoneità che consente alla popolazione di far valere la sua autorità quando la struttura ad anelli non è sufficiente, sarà dunque simile ad un referendum che invece di abrogare delle leggi rimuoverà dei rappresentanti dal loro incarico. Concludiamo facendo notare che un simile sistema può essere usato solo se si ha a disposizione un efficace sistema di informazione ed un’adeguata preparazione culturale, problemi che abbiamo già affrontato nei precedenti capitoli. L’esperienza insegna che le votazioni dirette non sono democratiche se applicate alle grandi masse, ne segue che i referendum propositivi, abrogativi e le verifiche non devono essere considerati come strumenti per realizzare la democrazia, ma come strumenti per difenderla quando la procedura indiretta non funziona bene. Si tratta di sistemi di protezione in caso di emergenza e, quando si rende necessario il loro intervento, si deve immediatamente provvedere a riparare il guasto che si è verificato nel sistema indiretto con opportune riforme.

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Domenica 15 novembre 1309

15 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

 

Kämpferin Jeanne D´Arc mit Schwert und Plattenrüstung knieend

SI ALZINO GLI SGUARDI!

Oggi è festa nel Villaggio di Ofelon!

A nove mesi dalla fondazione del Villaggio di Ofelon
oltre cinquantamila “viandanti telematici”
hanno visitato il Villaggio.
vi aspettiamo tutti con piena cittadinanza, muniti del vostro avatar,
per ampliare sempre di più la nostra tavola rotonda
in cui vogliamo confrontarci su temi importanti,
ma sempre divertendoci insieme
e fino a raggiungere risultati concreti
per un effettivo, diffuso e percepito miglioramento
della qualità della nostra vita.

Ofelon per tutti
e tutti per Ofelon!

logo_ofelon_60_colore

 

5.c.23 – Come garantire il controllo sui tre poteri?

16 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

23-garanzia-ridCome garantire il controllo sui tre poteri?

Per esercitare il controllo sul Centro Legislativo è sufficiente applicarvi la Verifica come avviene per tutti gli altri anelli, ma per rendere le cose ancora più facili possiamo prevedere che il giudizio popolare si attivi automaticamente ogni due anni in modo che tutti sappiano di dover rendere conto del proprio operato al primo anello entro un breve tempo. È opportuno applicare un simile strumento al Centro Esecutivo e all’Autorità Giudiziaria? Riteniamo che forse è ancora più importante, poiché l’operato dell’esecutivo si riflette immediatamente nella vita quotidiana della popolazione, si pensi a un nuovo sistema di gestione delle visite medico-specialistiche presso gli ospedali pubblici che accorci sensibilmente i tempi di attesa, a un nuovo sistema di accesso alle lezioni universitarie che permetta di seguirle a chiunque lo voglia, a un nuovo sistema di attribuzione dei posti di lavoro presso gli enti pubblici che sia veloce e imparziale, ecc., esso quindi costituisce un punto cruciale del nostro sistema concentrico, quello che deve irradiare verso l’esterno il proprio operato con beneficio dell’intera popolazione. I ministri non devono pertanto essere subordinati a chi li ha nominati direttamente, ma devono rispondere direttamente al Popolo, il vero sovrano in una vera democrazia. Un discorso perfettamente analogo si può fare per l’Autorità Giudiziaria, da cui dipende la sicurezza e la fiducia che il cittadino deve riporre nello Stato.
Riteniamo più che opportuno, veramente necessario, che anche i vari ministri e il responsabile del Palazzo di Giustizia siano sottoposti a una verifica biennale. Abbiamo già detto come sia arduo esercitare i propri diritti democratici con un unico voto ed è pertanto logico che i cittadini confermino o meno i vari ministri con voti separati: perché sciogliere un intero Governo quando sono solo i Ministri della Difesa e dell’Istruzione a non essere validi? E perché mantenere dei Ministri della Difesa e dell’Istruzione inefficienti per non sciogliere l’intero Governo? Votare separatamente i vari ministri risolve il problema.
Nella nostra struttura democratica, basata su un sistema concentrico in cui viene coinvolta tutta la popolazione, sebbene con diverse funzioni e con diverso impegno, abbiamo visto come sia indispensabile un’elasticità che permetta continue aggregazioni al primo anello e conseguentemente continue riorganizzazioni dei gruppi ai livelli successivi. Non possiamo però dimenticare anche l’esigenza di dare un tempo minimo ai membri degli organi centrali, sia Legislatori che Amministratori (del Centro Esecutivo e del Palazzo di Giustizia), per poter esprimere in modo compiuto il proprio operato mediante una continuità di indirizzo.
Per contemperare le suddette esigenze, possiamo stabilire che rimanga la massima elasticità per la formazione dei gruppi dei vari anelli (attraverso la semplice manifestazione di volontà da esprimere mediante l’apposito software istituzionale), mentre i Legislatori e gli Amministratori, una volta nominati, non potranno essere sostituiti rispettivamente dall’anello o dalla Sezione di provenienza per un periodo di quattro anni.
Tuttavia, certi di un quadriennio di potere, i Legislatori e gli Amministratori potrebbero approfittarne per trarne dei vantaggi personali o, peggio, per sfruttare il sistema concentrico al contrario, in modo cioè da irradiare verso l’esterno un sistema generalizzato di corruzione che consolidi la loro permanenza al potere. Ecco che una verifica popolare ogni due anni si inserisce perfettamente nel sistema: dopo essere stati eletti a qualunque incarico, tutti i nostri alti funzionari devono comunque rendere conto al primo anello; al fine di evitare di essere destituiti a metà mandato essi dovranno necessariamente tener conto delle aspettative della popolazione. Dopo la prima verifica essi dovranno fare altrettanto se vorranno rimanere in politica.
Come ulteriore misura di sicurezza, al fine di evitare che in modo occulto essi possano consolidare nel tempo un sistema di potere privato basato sulla loro carica politica, possiamo anche stabilire che gli incarichi di Legislatore e di Amministratore non siano rinnovabili; potranno dunque continuare a svolgere incarichi solo negli anelli più esterni.

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PETER DRUCKER 

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5.c.24 – Il concetto di verifica integra quello di elezione?

17 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

24-verifica-ridIl concetto di verifica integra quello di elezione?

Negli attuali sistemi politici, quando il popolo viene chiamato alle urne, si parla giustamente di competizione elettorale; ci sono più candidati per il medesimo posto e ognuno deve gareggiare per primeggiare sugli altri. Ecco allora che in un sistema basato sulla propaganda ci sarà un continuo rilancio agli effetti speciali: discorsi preparati da staff di esperti in comunicazione, in statistica e in psicologia, spot realizzati dai migliori registi, sceneggiatori, truccatori e musicisti, convention in enormi stadi con majorette, schermi giganti, esibizioni di star, fuochi di artificio, ecc., ma chi paga le centinaia di milioni di euro necessari? Abbiamo visto che i finanziatori non mancano, ma sono quei gruppi di potere economico che poi inevitabilmente richiederanno e otterranno dagli eletti ciò che serve a rafforzare la propria posizione dominante.
Con la struttura democratica abbiamo già risolto questo problema poiché si diventa Legislatori e Amministratori con un sistema concentrico di nomine che non prevede alcuna campagna elettorale, mentre con il sistema della Verifica popolare superiamo quella barriera protettiva che si forma con l’accumularsi degli anelli.
Si noti che c’è una grande differenza fra un’elezione e una conferma; in un’elezione bisogna competere contro altri pretendenti (in modo più o meno corretto), in una conferma si deve competere solo con sé stessi e l’unico modo per vincere è quello di realizzare i risultati che la popolazione si aspetta. In caso di destituzione ovviamente si affiderà l’incarico ad un’altra persona con il solito sistema. Mentre ora, per cercare di essere rieletto, un rappresentante deve sdebitarsi con chi lo ha sostenuto e comunque ciò non gli garantisce un rinnovo dell’incarico, con il nuovo sistema egli deve necessariamente tener conto delle esigenze della popolazione e questo gli garantirà di conservare il posto fino a fine mandato, nonché la possibilità di continuare a ricoprire ruoli politici negli anelli più esterni. Ne segue che nel caso si formino interessi contrastanti, prevarranno sempre quelli dei cittadini. Le elezioni tuttavia rimangono certo necessarie, ma nella nostra struttura sono molto più affidabili e, attraverso la Verifica, anche suscettibili di correzioni dirette e specifiche.

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PALCO D’ONORE
  
GIANFRANCO FUNARI

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5.c.25 – Possiamo riassumere tutto in uno schema?

18 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

 

25-schema-rid

Possiamo riassumere tutto in uno schema?

E’ giunto il momento di tirare le fila di quanto detto nel presente capitolo e di schematizzare la nuova struttura democratica prendendo come esempio concreto un paese occidentale i cui dati ufficiali ci dicono che alle ultime elezioni aveva 47.126.326 elettori.

 

 

 

ANELLI  INFORMALI

 

 

 

PRIMO ANELLO

(Gruppi)

 

 

 

 

 

 

 

      47.126.326

 

Adulti che si riuniscono in Gruppi da 5 a 9 membri

 

 

 

 

 

                    7

 

Membri che mediamente formano un Gruppo e che nominano un Fiduciario

 

 

 

 

 

       6.732.332

 

Gruppi che rappresentano mediamente 7 persone

 

 

 

che devono esprimere i propri disagi ai rispettivi Fiduciari

 

 

 

 

SECONDO ANELLO

(Clan)

 

 

 

 

 

 

 

       6.732.332

 

Fiduciari che si riuniscono in Clan da 3 a 5 membri

 

 

 

 

 

                    4

 

Membri che mediamente formano un Clan e che nominano un Fiduciario

 

 

 

 

 

       1.683.083

 

Clan che rappresentano mediamente 28 persone

 

 

 

che devono elencare i problemi ritenuti causa dei disagi avvertiti dal

 

 

 

primo anello ai rispettivi Fiduciari

 

 

 

 

TERZO ANELLO

(Villaggi)

 

 

 

 

 

 

 

       1.683.083

 

Fiduciari che si riuniscono in Villaggi da 5 a 7 membri

 

 

 

 

 

                    6

 

Membri che mediamente formano un Villaggio,

 

 

 

nominano una Squadra di esperti scegliendo negli anelli più esterni

 

 

 

e nominano un Delegato che coordina la Squadra di esperti

 

 

 

da inviare al quarto anello

 

 

 

 

 

          280.514

 

Villaggi che rappresentano mediamente 168 persone

 

 

 

che devono inquadrare i problemi da affidare ai rispettivi Delegati

 

 

 

 

QUARTO ANELLO (Alleanze)

 

 

 

 

 

 

 

280.514

 

Squadre che si riuniscono in Alleanze da 7 a 13 villaggi mediante i Delegati

 

 

 

 

 

                  10

 

Delegati che mediamente formano una Alleanza,

 

 

 

nominano una Squadra di esperti scegliendo negli anelli più esterni

 

 

 

e nominano un Delegato che coordina la Squadra di esperti

 

 

 

da inviare al quinto anello

 

 

 

 

 

            28.052

 

Alleanze che rappresentano mediamente 1.680 persone e

 

 

 

che devono selezionare i problemi da presentare in ordine di priorità

 

 

 

ai rispettivi Delegati

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANELLI  ISTITUZIONALI

 

 

 

 

QUINTO ANELLO

(Borghi)

 

 

 

 

 

 

 

            28.052

 

Squadre che si riuniscono in Borghi da 7 a 13 Alleanze mediante i Delegati

 

 

 

 

 

                  10

 

Delegati che mediamente formano un Borgo,

 

 

 

nominano una Squadra di esperti scegliendo negli anelli più esterni

 

 

 

e nominano un Delegato che coordina la Squadra di esperti

 

 

 

da inviare al sesto anello

 

 

 

 

 

              2.805

 

Borghi che rappresentano mediamente 16.800 persone e

 

 

 

che devono studiare le soluzioni ai problemi, applicare tali soluzioni

 

 

 

ai problemi locali e presentare ai rispettivi Delegati le ipotesi di soluzione

 

 

 

ai problemi collettivi

 

 

 

 

SESTO ANELLO (Contrade)

 

 

 

 

 

 

 

              2.805

 

Squadre che si riuniscono in Contrade da 7 a 13 Borghi mediante i Delegati

 

 

 

 

 

                  10

 

Delegati che mediamente formano una Contrada,

 

 

 

nominano una Squadra di esperti scegliendo negli anelli più esterni

 

 

 

e nominano un Delegato che coordina la Squadra di esperti

 

 

 

da inviare al settimo anello

 

 

 

 

 

                  280

 

Contrade che rappresentano mediamente 168.000 persone e

 

 

 

che devono affinare e concertare le ipotesi di soluzione provenienti dal

 

 

 

quinto anello, applicare tali soluzioni ai problemi di propria competenza

 

 

 

territoriale e presentare ai rispettivi Delegati le ipotesi di soluzione

 

 

 

ai problemi di più vasta portata

 

 

 

 

SETTIMO ANELLO (Province)

 

 

 

 

 

 

 

280

 

Squadre che si riuniscono in Province da 7 a 13 Contrade mediante i Delegati

 

 

 

 

 

10

 

Contrade che mediamente formano una Provincia,

 

 

 

nominano una Squadra di esperti scegliendo negli anelli più esterni

 

 

 

e nominano una Squadra di 10 Legislatori con diverse e prestabilite competenze

 

 

 

da inviare al Centro Legislativo Esterno

 

 

 

 

 

28

 

Province che rappresentano mediamente 1.680.000 persone e

 

 

 

che devono affinare e concertare le ipotesi di soluzione provenienti dal sesto

 

 

 

anello, applicare tali soluzioni ai problemi provinciali

 

 

 

e presentare ai rispettivi Legislatori le ipotesi di soluzione ai problemi

 

 

 

a carattere regionale e nazionale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANELLI CENTRALI

 

 

 

 

CENTRO LEGISLATIVO ESTERNO (Regioni)

 

 

 

 

 

 

 

              28

 

Squadre che si riuniscono in Regioni da 7 Province

 

 

 

 

 

10

 

Legislatori per ogni squadra con diverse e prestabilite competenze tematiche

 

 

 

 

 

280

 

Legislatori suddivisi in Sezioni Legislative tematiche da 28 membri

 

 

 

a loro volta suddivise in 4 gruppi regionali

 

 

 

 

 

                  7

 

Province che formano le Regioni

 

 

 

 

 

                  4

 

Regioni che mediamente rappresentano 11.760.000  persone e

 

 

 

che devono affinare e concertare le ipotesi di soluzione provenienti dal

 

 

 

settimo anello, applicare tali soluzioni ai problemi regionali

 

 

 

e formulare le proposte di legge con efficacia nazionale al Centro Legislativo

 

 

 

Interno a cui inviano la propria Squadra

 

 

 

 

CENTRO LEGISLATIVO INTERNO (Nazione)

 

 

 

 

 

 

 

                  4

 

Squadre di Legislatori che rappresentano tutta la Nazione

 

 

 

 

 

                10

 

Legislatori per ogni squadra con diverse e prestabilite competenze tematiche

 

 

 

 

 

40

 

Legislatori suddivisi in Sezioni Legislative tematiche da 4 membri

 

 

 

 

 

                    1

 

Camera che rappresenta l’intera popolazione nazionale che deve coordinare

 

 

 

il lavoro dell’anello precedente al fine di raggiungere un accordo sulle proposte

 

 

 

di legge provenienti dal Centro Legislativo Esterno, applicare le soluzioni scelte

 

 

 

ai problemi nazionali e  tenere i rapporti con il Centro Esecutivo

 

 

 

  

  

 

 

 

CENTRO ESECUTIVO   

 

 

 

 

 

 

 

 10

 

Ministeri con diverse competenze tematiche

 

 

 

 

 

10

 

Ministri sorteggiati fra i 280 Legislatori del Centro Legislativo Esterno

 

 

 

 

 

10

 

Coppie di Tecnici e Mediatori a fini consultivi (una per Ministero)

 

 

 

anch’essi sorteggiati con il medesimo sistema

 

 

 

 

PALAZZO DI GIUSTIZIA

 

 

 

 

 

 

 

1

 

Ente autonomo dal Centro Legislativo e dal Centro Esecutivo

 

 

 

 

 

1

 

Responsabile sorteggiato fra i 28 membri della Sezione Legislativa Giustizia

 

 

 

del Centro Legislativo Esterno

 

 

 

 

 

4

 

Coppie di Tecnici e Mediatori scelte una per regione a fini consultivi

 

 

 

anch’essi sorteggiati con il medesimo sistema

 

 

 

 

LEGISLATURA

 

 

 

 

 

 

 

                    4

 

Anni di incarico per i Legislatori e per gli Amministratori

 

 

 

che non possono essere destituiti dall’anello che li ha nominati

 

 

 

 

VERIFICHE INTERMEDIE

 

 

 

 

 

 

 

                    1

 

dopo due anni di legislatura

 

 

 

con cui la totalità della popolazione adulta vota per confermare o rimuovere

 

 

 

i singoli ministri, il Responsabile del Palazzo di Giustizia

 

 

 

e le singole Sezioni Legislative tematiche

 

            Si può aggiungere che in questo sistema sia le preferenze per la scelta del rappresentante, sia i voti di fiducia delle verifiche intermedie sono palesi; ognuno può controllare sul software istituzionale se la sua posizione rispecchia la propria manifestazione di volontà e quindi si risolve definitivamente il problema dei brogli elettorali. Si noti inoltre che i partiti politici non hanno più ragione di esistere e che con essi vengono meno i referenti dei poteri economici, i quali dovranno iniziare a contare sulle proprie capacità imprenditoriali piuttosto che sulla corruzione. E’ infine evidente come ogni cittadino, una volta giunto al terzo anello grazie alla fiducia dei propri familiari e amici intimi, con soli cinque passaggi può ambire alla carica di Legislatore.

Sulla cresta dell'onda

 

httpv://www.youtube.com/watch?v=ZoBFgqFju1Y

 

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HENRY GANTT

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5.c.26 – Quanto costa la struttura democratica?

19 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

26-costo-rid

Quanto costa la struttura democratica?

Quando la struttura democratica risulterà applicabile, essa non avrà prezzo; qualunque costo si dovesse sostenere per realizzarla sarebbe ben speso; rappresenterebbe infatti un ottimo investimento, produttivo degli enormi ritorni che solo una vera democrazia può dare. Tuttavia possiamo anche fare due conti: il nostro Paese campione, per un Parlamento composto da 952 membri, nel 2007 ha sostenuto i seguenti costi per spese correnti (valori espressi in Euro):

SPESA

 

IMPORTO IN EURO

 

 

COMPENSI AI PARLAMENTARI

             245.963.000,00

EROGAZIONI AGLI EX PARLAMENTARI

             209.950.000,00

PERSONALE DIPENDENTE

             482.510.000,00

EROGAZIONI AGLI EX DIPENDENTI

             167.505.000,00

ONERI PREVIDENZIALI

               22.785.711,00

LOCAZIONE IMMOBILI

               44.215.000,00

MANUTENZIONE ORDINARIA

               18.999.000,00

SERVIZI DI PULIZIA

               12.305.000,00

UTENZE ACQUA, LUCE, GAS

                 4.620.000,00

UTENZE TELEFONICHE

                 3.080.000,00

SPESE POSTALI

                 1.000.000,00

MATERIALI DI CONSUMO

                 8.967.500,00

STAMPA ATTI PARLAMENTARI

                 8.870.000,00

ALTRE SPESE DI STAMPA

                 1.453.000,00

SPESE DI TRASPORTO

               20.296.000,00

 

SERVIZI PERSONALE NON DIPENDENTE

               44.772.000,00

AGGIORNAMENTI PROFESSIONALI

                 1.780.000,00

STUDI E RICERCHE

                 3.071.000,00

ALTRI STUDI

                   600.000,00

ASSICURAZIONI

                 6.114.000,00

INFORMAZIONE ESTERNA

               15.068.000,00

SERVIZI INFORMATICI

                 8.224.000,00

RISTORAZIONE

                 2.779.000,00

BENI, SERVIZI E SPESE DIVERSE

               60.095.000,00

CONSULENZE

                   100.000,00

CONTRIBUTI AI GRUPPI PARLAMENTARI

               73.730.000,00

CONTRIBUTI AD ORGANISMI INTERNAZIONALI

                   510.000,00

BORSE DI STUDIO

                   255.000,00

CONTRIBUTI VARI

                 2.696.000,00

SPESE VERIFICA RISULTATI ELETTORALI

                 1.060.000,00

COMMISSIONE DI INCHIESTA CRIMINALITA’

                   300.000,00

COMMISSIONE DI INCHIESTA RIFIUTI

                     75.000,00

COMMISSIONE DI INCHIESTA SANITA’

                     40.000,00

ALTRE COMMISSIONI DI INCHIESTA

                 1.200.000,00

COMMISSIONI, GIUNTE E COMITATI

                 2.670.000,00

COMMISSIONI BICAMERALI

                   745.000,00

VIGILANZA SERVIZI RADIOTELEVISIVI

                   285.000,00

PROCEDIMENTI D’ACCUSA

                       5.000,00

ATTIVITA’ INTERNAZIONALI

                 4.283.000,00

SPESE PER IL CERIMONIALE

                 4.400.000,00

TRANSAZIONI

                   900.000,00

SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO

                   920.000,00

IMPOSTE E TASSE

               60.385.000,00

RESTITUZIONE DI SOMME

                     80.000,00

SPESE IMPREVISTE

               19.964.289,00

SPESE IN CONTO CAPITALE

               48.955.000,00

 

 

TOTALE

1.618.580.500,00           

 

Dai bilanci del Parlamento in oggetto risultano anche delle spese in conto capitale (cioè delle spese che non esauriscono la loro utilità nell’anno in cui sono state sostenute, come per esempio gli impianti elettrici, i mobili, ecc.). Per l’anno 2007 tali spese ammontano ad Euro 48.955.000,00, ma secondo corretti principi contabili, proprio perché riferite a beni ad utilità pluriennale, esse dovrebbero essere imputate solo in parte; per esempio, se si stima che le attrezzature potranno essere utilizzate per cinque anni, la spesa corrispondente deve essere imputata per il 20% in ogni anno. Come mai questa fondamentale tecnica contabile, definita ammortamento, non viene applicata nel bilancio del Parlamento? Perché per qualche sconosciuta legge fisica, quelli che normalmente sono beni durevoli, dentro il Parlamento si usurano oltre misura e non durano a lungo, tanto è vero che ogni anno si spende una somma simile a quella dell’anno precedente. Le suddette spese allora, ancorché denominate “in conto capitale”, devono di fatto essere considerate delle spese correnti.
Anche senza voler economizzare sulle suddette spese (ma su 1.290.000,00 euro per il vestiario di servizio di un solo anno forse si potrebbe fare qualcosa), bisogna ricordare che nel nostro modello concentrico i Legislatori sono molti di meno degli attuali 952 parlamentari e quindi, rapportando il suddetto totale ai 40 membri del Centro Legislativo Interno, si ottiene un risparmio di Euro 1.550.572.915,00. Se a questa somma aggiungiamo quella di Euro 200.819.044,00, che è stata destinata ai partiti politici a titolo di rimborso per spese elettorali, otteniamo un risparmio complessivo pari ad Euro 1.751.391.960,00.
Impiegando tale somma per dare una retribuzione ai rappresentanti degli anelli istituzionali, si potrebbe ottenere la seguente ripartizione:

Livello

 Numero

 Compenso mensile

 Compensi annuali

 

persone

 pro capite

 per anello

Squadre del quinto anello

(4 membri)

         112.208

                 850,00

  1.144.521.600,00


Squadre del sesto anello

(6 membri)

          16.830

               2.000,00

     403.920.000,00


Squadre del settimo anello

(10 membri)

            2.800

               5.000,00

     168.000.000,00

Legislatori esterni

               280

             10.000,00

       33.600.000,00

 

 

 

 

TOTALE SPESA ANNUA

 

 

  1.750.041.600,00

Si tratta solo di un esercizio contabile, tuttavia esso dimostra che senza aggiungere un euro a quanto già si spende correntemente, la struttura democratica sarebbe finanziariamente sostenibile.
Bisogna infine notare come in una struttura democratica non bisogna più pagare delle imposte, ma delle quote associative; la differenza non è solo lessicale, ma anche sostanziale: le imposte (non è un caso che si chiamino così) sono tributi ingiunti dall’alto ai sudditi, le quote associative sono invece contribuzioni condivise fra pari per il sostenimento delle spese di comune interesse. Non avrà più importanza l’entità della contribuzione, ma la soddisfazione conseguente all’erogazione dei servizi pubblici; nel privato, tutti noi abbiamo sostenuto una spesa sopra la media per un dato bene (un paio di scarpe, un telefonino, un’automobile) in quanto fortemente desiderato e poi, con compiacimento, abbiamo esclamato: sono proprio soldi spesi bene! Con la struttura democratica può realizzarsi lo stesso fenomeno, perché siamo ancora una volta noi a decidere quanto spendere e in che cosa.

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5.c.27 – Come deve essere il flusso del denaro?

20 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

27-flusso-ridCome deve essere il flusso del denaro?

Quando si crea un’associazione è per raggiungere un comune obiettivo e trarne un comune vantaggio; accettiamo tranquillamente di contribuire economicamente alle spese che noi stessi abbiamo stabilito per la realizzazione degli obiettivi che noi stessi abbiamo scelto, non potrebbe essere altrimenti. Quando un’associazione decide di unirsi ad altre associazioni analoghe o complementari, lo fa per sfruttare un’economia di scala e tale unione verrà gestita mediante dei rappresentanti; alle singole associazioni risulterà normale di dover contribuire economicamente alla nuova struttura e ciò avverrà secondo le condivise necessità della stessa. Crescendo nel territorio l’associazione probabilmente si articolerà in strutture sempre più ampie che raggruppano quelle locali replicando sempre lo stesso modello. Ipotizzando un’associazione a tre livelli (locale, regionale e nazionale) e dovendo stabilire il flusso dei finanziamenti necessari per le varie esigenze, a nessuno verrebbe in mente di delegare il consiglio nazionale o regionale per valutare le necessità locali, determinare i finanziamenti necessari e riscuotere le somme occorrenti per poi riversarle ai vari enti locali che sosterranno le spese; non verrebbe in mente a nessuno semplicemente perché non ha senso: nessuno meglio dei locali conosce le esigenze degli stessi e le risorse a disposizione, perché delegare a un organo più distante? Quanta contorta burocrazia in più comunque servirebbe? E’ inoltre scontato che qualora l’associazione locale non fosse soddisfatta dei risultati raggiunti dall’unione regionale o nazionale, essa si dissocerebbe, essendo venuti meno i presupposti dell’unione.
Perché allora il sistema tributario nazionale funziona da sempre in questo modo? La risposta è semplice: il prelievo fiscale, fino a un tempo assai recente, era imposto dal monarca con il suo potere sovrano per mantenere la propria struttura (palazzi, cortigiani, servitori, armi, soldati, ecc.), non certo per finanziare servizi per il popolo. Quando vennero deposti i re, non si crearono mai delle vere democrazie, alla classe nobiliare si sostituì un’altra classe dominante che ereditò il comodissimo sistema tributario ancora oggi applicato. Quando si pensò di dividere i poteri legislativo, amministrativo e giudiziario per le ragioni che abbiamo precedentemente esaminato, se ne trascurò uno ancor più importante: il potere economico. E’ con il potere economico che si comanda, che si possono organizzare leggi e sentenze di comodo; è a chi detiene la cassa che bisogna rivolgersi con devozione per ottenere una qualche benevola elargizione, ancorché la cassa sia continuamente e lautamente rimpinguata da coloro stessi che si trovano a chiedere.
Si noti che il potere economico centralizzato ostacola anche ogni tentativo di ricambio politico che parta dagli enti più vicini alla popolazione e quindi teoricamente più fattibili. Quando con libere elezioni si eleggono nuovi rappresentanti locali, magari organizzati in una nuova lista civica, e si espugna un Municipio male amministrato dalle diramazioni dei partiti politici presenti a livello nazionale, regionale e provinciale, che cosa succede? Se i nuovi rappresentati si sottometteranno al sistema di vassallaggio, subiranno le medesime influenze della precedente amministrazione, la popolazione non vedrà alcun concreto beneficio rispetto a prima e perderà ogni speranza di poter cambiare qualcosa, rassegnandosi al proprio ruolo di sudditanza; se i nuovi rappresentati rimarranno fedeli ai principi per cui sono stati eletti, essi rimarranno invisi al potere centrale e dallo stesso penalizzati con scarse elargizioni di denaro da impiegare nelle opere locali; pertanto la popolazione locale, peraltro spesso ignara di questo sistema di gestione delle risorse finanziarie, non vedrà i risultati sperati, considererà i rappresentanti della lista civica ancor più inadeguati dei precedenti e tornerà al passato dal quale era fuggita.
Si può pertanto concludere che nessuna vera democrazia si può realmente concretizzare se il sistema non lascia il controllo delle risorse economiche laddove vengono prodotte; si noti peraltro che aggregazioni più ampie (rispetto a quelle delle comunità cittadine) sono convenienti a livello commerciale, produttivo, lavorativo, culturale, militare, ecc. e verranno create e finanziate con tutta la solidarietà possibile proprio perché liberamente scelte e di comune utilità.

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5.c.28 – Abbiamo raggiunto gli obiettivi?

21 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

28-centro-ridAbbiamo raggiunto gli obiettivi?

Controlliamo insieme se il sistema appena progettato soddisfa le esigenze di partenza che ci siamo posti:
• la struttura democratica pone tutti i cittadini adulti sul primo anello e conferisce loro pari opportunità: chiunque, con soli sette passaggi, può assumere la carica di Legislatore
• la struttura si basa su un sistema concentrico di piccoli gruppi in cui gli oratori abili, ma disonesti non possono essere avvantaggiati
• i cittadini che non vogliono o non possono assumere incarichi politici nei diversi anelli possono comunque confidare nella conoscenza diretta dei propri rappresentanti (presumibilmente almeno fino al quarto anello); dato che i rappresentanti del terzo anello hanno rapporti diretti almeno fino al quinto, ogni cittadino può rapportarsi con un Legislatore con due sole mediazioni
• il Centro Esecutivo, formatosi con il sistema concentrico, è una forma di autogoverno che naturalmente seguirà la volontà popolare; in ogni caso è al popolo che deve rispondere del proprio operato in occasione delle verifiche di conferma in carica
• il sistema delle verifiche di conferma a metà mandato, permette un efficace controllo dei rappresentanti
• per quanto sopra esposto si può affermare che l’insieme dei cittadini costituisce la massima autorità
• i cittadini che oggi si astengono dal voto, che nel Paese preso ad esempio superano il 19% della popolazione, spesso scoraggiati e rassegnati, possono trovare nel nuovo sistema nuovi interessi e nuovi entusiasmi, apportando il loro contributo nella selezione delle idee migliori.
In base ai suddetti riscontri possiamo dunque affermare che la struttura democratica, così come progettata, realizza un vero sistema democratico, ma ricordiamo ancora una volta che si tratta di test di laboratorio, i quali per quanto accurati, dovranno poi essere sperimentati per essere considerati veramente validi. La nostra struttura democratica probabilmente non è perfetta nella forma attuale e dovrà essere perfezionata nel tempo in base all’esperienza accumulata, ogni democrazia del resto deve essere in grado di migliorarsi. È importante notare che anche chi non apprezza il nostro sistema avrà la possibilità di cambiarlo partecipandovi, quale altro sistema politico conoscete con questa caratteristica?

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5.c.29 – Da dove cominciare?

22 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

29-inizio-ridDa dove cominciare?

Facendo tesoro dell’intero percorso di riflessioni che abbiamo effettuato, è opportuno ricordare che:
• le novità che incrinano il nostro sistema di credenze, che disorientano cioè la nostra mappa mentale, vengono inconsciamente rifiutate
• la sindrome della gleba e la tendenza naturale ad affidarsi a un capo ci fanno rimanere inerti nell’attesa che qualcun altro risolva i nostri problemi
• se ci poniamo degli obiettivi fuori dalla nostra portata, ben presto ci accorgeremo di non aver ottenuto alcun risultato e la conseguente demoralizzazione sarà tanto più grande quanto maggiore sarà stato l’impegno vanamente profuso
• la vita sempre più frenetica rende sempre più scarso il tempo a disposizione
• i valori umani, per essere veramente tali, vanno messi in pratica nella vita quotidiana.
Da queste osservazioni si potrebbe pensare che la realizzazione della democrazia concentrica sia impossibile, ma dobbiamo anche rammentare che:
• le novità, per quanto stravolgenti, vengono accettate in misura direttamente proporzionale al crescere dei disagi generalmente avvertiti
• la democrazia concentrica non ha la presunzione di coinvolgere l’intera popolazione, ma solo il 5 % della stessa, cioè coloro che già riconosciamo come leader nell’ambito familiare e nella cerchia delle amicizie e delle conoscenze
• la realizzazione di un villaggio moderno, nell’ambito di parenti o amici con cui si condividono diverse affinità, permette risultati a breve scadenza con conseguente gratificazione
• la partecipazione a un villaggio moderno sviluppa immediate sinergie che portano anche ad un risparmio di tempo
• il valore della vera democrazia viene concretizzato e fatto proprio con la partecipazione ad un villaggio moderno.
Parallelamente all’esperienza dei villaggi moderni, la sperimentazione della struttura democratica potrebbe essere effettuata in gruppi già esistenti, ma che non dispongono di un efficiente sistema di vera rappresentatività. Il perfetto banco di prova per il nuovo modello di democrazia è pertanto costituito dai sindacati dei lavoratori, questi infatti, pur essendo costituiti per rappresentare gli interessi di una data categoria, non sono mai riusciti a svolgere compiutamente il proprio ruolo proprio per carenza di democrazia e quindi di rappresentatività; prova ne sia che all’interno di una stessa categoria di lavoratori si formano diversi sindacati in concorrenza e in contrasto fra loro nella generale disaffezione e demoralizzazione dei lavoratori stessi; è peraltro singolare che gli iscritti al sindacato, quando non si sentono adeguatamente rappresentati dai propri delegati, non trovino niente di meglio che organizzare proteste di dissenso verso coloro che dovrebbero essere dei loro subordinati e magari arrivano a costituire un nuovo sindacato. E’ evidente che se si trattasse di organizzazioni democratiche tali rappresentanti sarebbero immediatamente rimossi.
Se i lavoratori, non solo i dipendenti, ma anche i professionisti, gli artigiani e i commercianti, riuscissero a creare dei sindacati e delle associazioni di categoria strutturate secondo le regole della democrazia concentrica, godrebbero immediatamente di grandi benefici nella loro vita lavorativa, si sentirebbero finalmente tutelati da un sistema efficiente (non da persone perfette che non si trovano semplicemente perché non esistono) e gradualmente estenderebbero tale sistema anche ad ambiti più ampi.
Si noti che tale sperimentazione potrebbe essere effettuata in modo parallelo nelle varie categorie lavorative, rendendo fattibile la sperimentazione stessa e riducendone molto i tempi.

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5.c.30 – Siamo arrivati alla fine oppure è un inizio?

23 Novembre 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

30-fine-ridSiamo arrivati alla fine oppure è un inizio?

Eccoci qua, dopo diverse salite e parecchie buche, siamo giunti alla fine del nostro percorso di riflessioni che, a ben guardare, ha rappresentato una sorta di corso di autoformazione. Un simile cammino può essere percorso solo da un piccolo e affiatato gruppo, magari ridotto a soli due individui, ma mai singolarmente e mai in troppe persone, anche se nulla vieta che tanti piccoli gruppi, gruppi a dimensione umana, possano procedere fianco a fianco.
Durante tale percorso abbiamo imparato che stiamo tutti sulla stessa barca e che quindi dobbiamo remare tutti nella stessa direzione, ma abbiamo anche capito come interpretare la nostra mappa mentale e come orizzontarci con la nostra bussola dei valori per superare le insidie della navigazione. Abbiamo dunque disegnato nuove rotte, da percorrere con diverse imbarcazioni che potranno aumentare di numero a ogni porto, fino a costituire una grande flotta.
Per l’ultima volta ricordiamo che ogni nuova idea deve essere sottoposta alla prova dei fatti per essere considerata valida, qui termina allora il nostro percorso teorico ed inizia quello sperimentale i cui risultati saranno la base di nuove riflessioni.
Allora, capitani coraggiosi, siamo pronti a organizzare il nostro piccolo equipaggio e a prendere finalmente in mano il timone della nostra vita?
Forza ragazzi, che non stiamo per salpare verso l’ignoto, ma stiamo iniziando una bellissima crociera, sciogliamo le ultime gomene che ci legano al palo e… avanti tutta!

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