Capitolo 3.c

29 Giugno 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

IL VALORE DELLA CONOSCENZA

Qualunque attività umana, come giocare a carte, leggere un giornale, guidare la propria automobile, richiede delle conoscenze sue particolari; ogni attività presuppone dunque delle specifiche forme di sapere, ecco perché la conoscenza è un altro valore indispensabile e onnipresente nella nostra vita i cui vantaggi sono inestimabili. Tale semplice considerazione può apparire fin troppo banale e scontata, tuttavia accade spesso di non darle il giusto peso e di non tenerne conto nella vita di tutti i giorni. La conoscenza ha la fondamentale funzione di presentarci un modello del mondo dove viviamo e di rendere fruibili tutti gli altri valori con cui ci orientiamo quotidianamente; una conoscenza carente o falsata può provocarci danni enormi, per cui è opportuno soffermarsi a riflettere su tali concetti.

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CONCETTI IN MUSICA
   NEGRITA – ROTOLANDO VERSO SUD

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3.c.1 – Come mai l’uomo apprende in tanti modi diversi?

30 Giugno 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come mai l’uomo apprende in tanti modi diversi?

Per conoscenza si intende il sapere, ovvero l’insieme delle nozioni acquisite da un singolo essere umano, da una comunità o dall’umanità intera. Abbiamo detto che tale patrimonio conservato nella memoria è suddiviso, interpretato, organizzato nella nostra mappa mentale. Sappiamo già che la capacità di fare tesoro delle esperienze, accumulandole sotto forma di conoscenza, è una capacità tipica del mondo animale, una delle strategie di sopravvivenza di maggior successo; le esperienze che facciamo vengono riutilizzate per tutta la vita, ad esempio da bambini impariamo a camminare e a riconoscere i cibi dal sapore, attività che poi non abbandoneremo mai. È interessante notare che ciò che viene appreso dagli animali non sociali, in genere non solo viene acquisito anche dall’uomo, ma anche con lo stesso processo: l’esperienza diretta; rientra in questa categoria tutto ciò che riguarda il movimento del nostro corpo, i gusti personali, i rapporti con i propri simili, cioè tutto quello che fanno gli animali non sociali. L’accumulo di esperienze permette di superare i limiti dell’istinto rendendoci enormemente più adattabili all’ambiente dove viviamo.
Questa facoltà si è grandemente potenziata negli animali sociali grazie allo sviluppo della cultura, ovvero la conoscenza trasmessa da un individuo all’altro; in questo modo l’esperienza di uno diviene patrimonio comune. Anche in questo caso il processo di apprendimento umano sembra rimanere fedele alla nostra storia evolutiva, un gran numero di comportamenti sociali vengono infatti appresi inconsciamente per imitazione esattamente come avviene nel mondo animale.
Nell’essere umano vi sono poi stati nuovi sviluppi con la comparsa della parola, il cui uso viene acquisito per imitazione come le altre forme di comunicazione animale, ma che apre le porte a nuove forme di apprendimento, come ascoltare la narrazione di storie da parte di altri uomini; questi non si limitano a raccontare gli eventi accaduti, ma anche le proprie riflessioni e le loro generalizzazioni, trasmettendo così dei concetti astratti che superano di molto le capacità della semplice imitazione in quanto trasferiscono direttamente il pensiero. Il legame fra parola e pensiero è strettissimo, ascoltando i nostri simili istintivamente tendiamo ad imitare il loro modo di ragionare, memorizziamo i loro percorsi mentali come facciamo con le strade per tornare a casa e li inseriamo nella nostra mappa mentale come alternative possibili di pensiero da cui deriveranno scelte alternative di comportamento. Tale forma di apprendimento è praticamente impossibile con la semplice imitazione, il linguaggio ci ha reso animali culturali di un livello mai visto prima. L’evoluzione dell’apprendimento, ovvero quella della trasmissione culturale, tuttavia non si è fermata qui; lo sviluppo della scrittura, ed in seguito della stampa, ha aperto nuove frontiere: un singolo messaggio può infatti da allora rimanere inalterato per millenni ed essere diffuso a milioni di individui; infine con la comparsa di internet questa operazione sta diventando alla portata di tutti, oggi abbiamo possibilità di apprendimento e di evoluzione culturale molto maggiori di venti anni fa. Dato che la conoscenza, il patrimonio che accumuliamo nel nostro archivio mentale, può derivare da fonti molto più numerose e ricche rispetto al passato, forse sarebbe bene approfittarne.

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CONOSCENZA

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  LEV SEMENOVIC VYGOTSKIJ   stella2
 

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3.c.2 – E’ importante fare le proprie esperienze?

1 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È importante fare le proprie esperienze?

Vi sono cose che per loro natura vanno apprese per esperienza diretta, come camminare, gestire le proprie amicizie, ecc., altre invece si apprendono con l’insegnamento delle esperienze altrui, come la matematica, la storia, la geografia ecc.. In realtà la distinzione non è così netta, vi è quasi sempre una componente di esperienza diretta e una culturale; ad esempio la matematica è basata molto sull’insegnamento, ma per essere ben compresa sono necessarie lunghe ore di esercizi, è dunque indispensabile fare anche esperienza diretta.
Dire che tutti, soprattutto i giovani, debbano fare le proprie esperienze, è cosa del tutto ovvia, ma bisogna fare molta attenzione alla reale portata della suddetta affermazione perché altrimenti la stessa può degenerare in un luogo comune con cui giustificare illogicamente ogni comportamento scorretto. Per esempio, l’esperienza altrui, riassunta in precisi dati scientifici, ci dimostra che fumare è nocivo e a volte letale: è logico allora ritenere normale che un adolescente fumi perché tanto “deve fare le sue esperienze”?
Sappiamo che la trasmissione culturale è una strategia di sopravvivenza della natura che permette di risparmiare molto tempo rispetto all’apprendimento per esperienza diretta, ma non tutte le esperienze si prestano alla trasmissione culturale. In alcuni casi è pertanto conveniente ripetere le esperienze ad ogni generazione, magari con una piccola integrazione culturale. I bambini devono esplorare direttamente il mondo che li circonda, ma seguiti, protetti e consigliati premurosamente dai genitori, sempre attenti che non si facciano male.
Non è sempre facile stabilire quanto sia bene seguire e controllare i ragazzi, rischiando di essere oppressivi, piuttosto che lasciarli liberi, esponendoli ad inutili rischi; istintivamente i genitori tendono a seguire la propria storia personale, spesso ritengono che sia giusto fare certe esperienze e seguire un certo percorso perché questo è quanto hanno fatto loro. Questo criterio di giudizio si basa su due presupposti:
• l’educazione ricevuta e l’esperienza fatta dai genitori è la migliore possibile o quantomeno di un buon livello;
• le esperienze dei genitori non presentano grandi rischi per i figli.
Si dimostra facilmente che tali presupposti non sono sempre veri: non tutti hanno avuto dei bravi genitori, alcuni sono stati trascurati altri troppo oppressivi, se dunque i figli seguiranno il loro esempio saranno anch’essi dei cattivi genitori; imparare a guidare il motorino richiede una notevole componente di esperienza diretta, ma al tempo dei nostri nonni, quando circolavano pochissime automobili, non presentava gli stessi rischi di oggi in una grande città oppressa dal traffico. Non ci si può dunque affidare solamente all’istinto, ma anche ad una valutazione razionale dei rischi nel mondo attuale.

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libro3  APPROFONDIMENTI
ESPERIENZA

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  ALBERT BANDURA  stella2

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3.c.3 – Cosa è importante sapere?

2 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Cosa è importante sapere?

Riuscire a stabilire quale conoscenza abbia più valore delle altre è particolarmente difficile; la curiosità umana si basa infatti sul seguente principio: siamo curiosi un po’ di tutto poiché tutto potrebbe poi rivelarsi utile, anche se non sappiamo quando; è un principio sicuramente valido, tuttavia a volte è necessario fare una selezione. Tutti sappiamo bene infatti che davanti a una grande varietà di alternative si può rimanere bloccati dall’imbarazzo della scelta, come ad esempio accade spesso facendo delle ricerche su internet; davanti all’attuale ricchezza di cultura disponibile sorge dunque la necessità di trovare dei criteri di scelta che ci indichino che cosa sia meglio imparare, cosa sia più urgente o più importante e quali siano le fonti più affidabili. Data l’importanza e la delicatezza di tali criteri è bene che ciascuno segua le sue considerazioni personali mettendole però anche a disposizione degli altri proprio come si dovrebbe fare per tutti i valori. Ancora una volta è importante confrontarsi con gli altri per ponderare meglio le proprie riflessioni che poi potranno tornare utili all’intera comunità, ma come sempre dipende da noi fare il primo passo.
Dal nostro personale punto di vista, la funzione biologica della conoscenza ai fini della sopravvivenza ci può essere di aiuto per definire i nostri criteri: la cultura e il sapere aiutano a vivere, dunque appaiono tanto più importanti quanto più risultano utili. Il problema allora si sposta su come valutare l’utilità di ciò che sappiamo; a tal fine ciascuno di noi già utilizza, anche contemporaneamente, vari metodi: una nozione risulta più utile di un’altra se:
1. viene usata in un’attività più importante
2. le sue applicazioni sono più numerose
3. viene utilizzata da un maggior numero di persone
4. viene usata più spesso.
Nel selezionare le nozioni necessarie, in base a tali criteri vengono valorizzati al massimo gli elementi culturali che riguardano la collaborazione fra individui (ad esempio il linguaggio) e i valori ad essa legati come l’amicizia, il rispetto, la solidarietà e il lavoro; possiamo infatti osservare che tale cultura della collaborazione è ampiamente utilizzata in ogni attività umana, comprese quelle più fondamentali per la sopravvivenza: grazie alla collaborazione noi ci procuriamo il cibo, ci riscaldiamo, ci vestiamo, ci proteggiamo da vari pericoli come malattie, intemperie e nemici, ecc.. La cultura della collaborazione risulta allora ai primi posti in base ad ogni criterio in quanto:
1. è usata nelle attività più importanti per la sopravvivenza
2. le sue applicazioni sono innumerevoli
3. viene utilizzata da tutti
4. viene utilizzata in continuazione ogni giorno.
Allo stesso modo viene valorizzata quella che normalmente viene chiamata cultura di base ovvero quell’insieme di conoscenze su cui si basano tutte le altre dette specialistiche; la cultura di base è infatti patrimonio comune, viene usata da tutti in ogni attività e dobbiamo quindi riconoscere che giustamente si cerca di far coincidere con essa gli insegnamenti scolastici.
In diversa misura viene riconosciuta grande importanza anche al sapere specialistico in quanto usato in attività spesso importanti per la collettività, ma dal punto di vista individuale esso permette di lavorare e quindi diviene fondamentale per la sopravvivenza: conoscere le leggi è utile a tutti, ma per un avvocato è indispensabile.
A questo punto è necessario osservare che non sempre i nostri interessi culturali sono guidati dall’importanza delle applicazioni, anzi questa sembra essere l’eccezione e non la regola. L’interesse viene stimolato da meccanismi inconsci, non razionali; ciascuno di noi avverte una sorta di attrazione, in genere detta passione, per una data disciplina, un dato argomento, ecc. Gli interessi culturali non sono dunque una scelta consapevole, ma il risultato di una programmazione inconscia, forse innata o risalente all’infanzia; i criteri di valutazione sopra esaminati allora vanno considerati come un’integrazione alla propria inclinazione naturale. Se tale inclinazione dipende da esperienze infantili, è opportuno pensare ad una educazione mirata a un sano sviluppo di queste tendenze, che non le inibisca, che le incoraggi e le indirizzi sui giusti binari, che dia l’opportunità di sperimentare nuove possibilità e che le protegga da proibizioni, ostacoli o sviluppi già sperimentati come negativi.

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libro3  APPROFONDIMENTI
INCONSCIO

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  PIERO ANGELA  stella2stella2stella2

CONCETTI IN PILLOLE                                                                            
pillola   n. 28 –  I PERICOLI DELL’IGNORANZA                                                 I Pericoli dell'Ignoranza

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3.c.4 – E’ meglio una cultura vasta o specialistica?

3 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

È meglio una cultura vasta o specialistica?

Riteniamo una credenza pericolosa e diseducativa l’opinione che la scuola debba insegnare ciò che serve per imparare un mestiere, perché ciò è altamente riduttivo: la conoscenza serve a vivere e non solo a lavorare, la cultura di base scolastica serve anche ad innumerevoli e fondamentali attività extralavorative come capire la società che ci circonda, capire la tecnologia che ci circonda, sapere a quali specialisti rivolgersi per un dato problema e capire i loro suggerimenti.
La logica di studiare solo per lavorare porta a vedere come positiva una suddivisione dei corsi scolastici in base alla futura specializzazione lavorativa, ma si tratta di una tendenza molto pericolosa che può portare alla formazione di masse di specialisti ignoranti, quindi dipendenti e manipolabili: quanti medici e ingegneri conoscono la differenza fra una democrazia reale ed una apparente? Quanti biologi ed architetti conoscono i diritti fondamentali previsti dalla costituzione? Quanti commercialisti ed avvocati conoscono la differenza fra una teoria scientifica ed una superstizione?
Un sapere molto specialistico riduce inoltre il numero di possibili impieghi, ci rende poco adattabili al mercato del lavoro; quante persone svolgono un lavoro diverso da quello previsto ai tempi della scuola? La possibilità di poter ripiegare su un’attività alternativa, magari migliore, dipende da una cultura di base che consenta di acquisire una diversa specializzazione. La scuola pertanto deve puntare principalmente alla vastità della cultura di base in vista di future specializzazioni, le quali si delineeranno gradualmente nel tempo. Ovviamente la situazione cambia a livello universitario e si ribalta completamente una volta entrati nel mondo del lavoro; la formazione più specialistica quindi deve concentrarsi nelle università e nei corsi di formazione del personale e non a scuola.
Capita l’importanza della cultura di base bisogna però chiarirsi le idee su tale concetto. La cultura di base è un’insieme di conoscenze fondamentali necessarie per orientarsi nella vita quotidiana, ma abbiamo anche visto che i punti di riferimento per i nostri comportamenti sono rappresentati dai valori umani; è scontato che leggere, scrivere e far di conto sono nozioni fondamentali, è altrettanto scontato che è utile affinare tali conoscenze con studi di dizione, letteratura, grammatica e matematica, ma in quanti, genitori, insegnanti e istituzioni, sono consapevoli dell’importanza della conoscenza e della pratica dei valori umani? In quanti sono consapevoli che la cultura di base deve adattarsi anch’essa alle sempre più veloci modifiche dell’ambiente in cui viviamo? La cultura di base, per essere efficace, deve far acquisire le nozioni sulla natura dell’uomo sia da un punto di vista biologico che culturale, deve abituare a riflettere sui valori umani e sul loro adattamento al mondo attuale, deve insegnare un metodo per individuare, circoscrivere e risolvere i problemi. Quanti di noi possono vantarsi di possedere un’adeguata cultura di base?

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  WERNHER VON BRAUN  stella2stella2stella2stella2

CONCETTI IN PILLOLE                                                                            
pillola   n. 29 –  LE RISORSE CULTURALI                       Le Risorse Culturali

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3.c.5 – Si deve conoscere la verità?

4 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Si deve conoscere la verità?

Fin da piccoli siamo abituati a pensare che bisogna conoscere la verità dei fatti, delle situazioni e delle leggi della natura per tenere dei comportamenti che risultino vantaggiosi, mentre seguire delle false credenze è sempre dannoso o nel migliore dei casi inutile; esaminando invece il modo in cui la mente umana costruisce la famosa mappa mentale abbiamo visto che in realtà le false credenze sono una componente fondamentale ed indispensabile della nostra visione del mondo. Ipotesi e supposizioni anche molto fantasiose colmano le nostre enormi lacune riguardo la conoscenza della verità sul mondo che ci circonda; ricordiamo ancora che nessuno di noi ha una magica sfera di cristallo che mostri la verità che vorremmo sapere, possiamo solo immaginarla sulla base di quanto percepiamo con i nostri sensi; le nostre sensazioni sono di fatto le uniche verità di cui disponiamo, la loro interpretazione e tutto ciò che ne segue è frutto della fantasia e della ragione, intesa come capacità di verificare la coerenza fra le sensazioni ricevute e le nostre fantasie. Gran parte della verità ci è preclusa e tale vuoto viene colmato con le credenze che in un secondo momento risulteranno più o meno vicine alla realtà dei fatti.
Secoli di scienza sperimentale e millenni di filosofia ci hanno mostrato che credenze molto lontane dalla verità si sono rivelate utilissime poiché inducevano a comportamenti comunque corretti; in mancanza della verità ci si può dunque accontentare di una buona falsità. Tra la realtà ed un’ottima illusione c’è comunque una differenza che rende la realtà sempre preferibile, ma non sempre tale difformità si rende evidente, rendendo così equivalenti di fatto le due situazioni. In base a questa considerazione il concetto risalente all’antica Grecia di una verità mai conoscibile completamente, ma alla quale ci si può avvicinare, risulta ancora oggi valido e largamente applicato dalla scienza le cui teorie sono viste come approssimazioni, in genere molto precise, della realtà.
La verità dunque in linea di principio non è un valore che si possiede, ma un valore da ricercare anche se spesso rappresenta una meta irraggiungibile, un bene prezioso che non sarà mai completamente nostro. Se invece consideriamo la verità come un bene da proteggere, quindi posseduto, significa che quasi sicuramente stiamo proteggendo una buona falsità come verità, scivolando inevitabilmente nel dogmatismo.
Quando affermiamo che una credenza falsa, ma efficace, risulta equivalente alla verità e quindi ne è un ottimo surrogato, stiamo sottovalutando i suoi vantaggi; molto spesso infatti la falsa credenza risulta indubbiamente migliore della verità perché è molto più semplice da capire ed usare.
Se dunque possiamo affermare che la ricerca della verità è il primo valore, il più importante legato alla conoscenza, il secondo è la capacità di inventare delle buone falsità. Questa capacità dipende, come abbiamo detto, da due preziosissime facoltà della nostra mente: l’immaginazione e la razionalità, a cui corrispondono due valori altrettanto importanti da coltivare: la creatività e la coerenza all’evidenza dei fatti. La creatività va protetta dalla paura del nuovo che tende a soffocarla, la coerenza invece ha bisogno soprattutto di essere esercitata con la pratica poiché è un’arte difficile ed impegnativa.

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libro3 APPROFONDIMENTI
IMMAGINAZIONE

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  CHARLES SANDERS PEIRCE

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3.c.6 – Come riconoscere le cattive falsità?

5 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come riconoscere le cattive falsità?

Il fatto che la nostra conoscenza si basi di norma su false credenze non ci deve indurre a sottovalutare i pericoli delle falsità negative, cioè quelle basate su concetti del tutto errati ed ingannevoli, perché in tali casi seguire la falsa pista comporterà sempre un danno. Per esempio, se oggi ci ostinassimo a credere nelle antiche superstizioni secondo le quali le malattie dipendono dall’influenza degli astri o dalle colpe di cui il singolo individuo si è macchiato, sicuramente impediremmo di salvare molte migliaia di vite all’anno; allo stesso modo, continuare a credere che il popolo debba essere governato da un’aristocrazia di nobili significa favorire una lunga serie di ingiustizie sociali.
Quando il nostro sistema di credenze perde la sua efficacia, si passa da una conoscenza funzionale, benché approssimata, ad una pericolosa superstizione, ad un inquinamento psicologico i cui effetti sono sempre negativi e a volte possono essere anche disastrosi. Come possiamo allora riconoscere le credenze dannose? Un esame accurato dei fatti, come quello previsto dal metodo scientifico, consente di individuare i limiti del nostro sapere: quando questo non rispecchia più l’evidenza oggettiva dei fatti significa che abbiamo sconfinato in un contesto nel quale non è più valido.
Come testimoniano secoli di credenze assurde, riconoscere l’evidenza dei fatti non è però sempre una cosa banale; tanto è vero che in ambito scientifico sono state create delle procedure rigorose per questo scopo: le osservazioni devono essere indipendenti dal soggetto che osserva e vanno ripetute da vari individui al fine di eliminare errori individuali; purtroppo, in certi casi, neppure questo è stato sufficiente e a distanza di molti anni si è dovuto ammettere l’errore; è il caso degli studi a sostegno della superiorità della razza bianca su quella nera, o dell’antica fisiognomica che affermava di poter dedurre le caratteristiche psicologiche di un individuo dai lineamenti del suo viso.
Mentre il metodo scientifico è fondato sulle osservazioni, il nostro sistema di credenze individuale, formatosi in buona parte per via culturale, è basato sulle informazioni. L’analogia fra la ricerca scientifica e quella personale è data dal fatto che le osservazioni possono essere viste come il mezzo per ottenere informazioni dalla natura: quanto più le osservazioni saranno rigorose ed accurate, tanto più le informazioni da esse ricavate saranno attendibili. Seguendo questa analogia anche noi dobbiamo valutare con molta cura le informazioni che riceviamo per poi costruire la nostra immagine del mondo.
Le informazioni sono i mattoni fondamentali della cultura; esse vengono interpretate, organizzate ed immagazzinate per essere usate in futuro. Non tutte le informazioni contribuiscono però alla formazione della cultura: se ci dicono che ore sono, otterremo certamente un’informazione, ma non arricchiremo il nostro patrimonio culturale; la cultura inoltre non è un semplice accumulo di informazioni, poiché queste vengono interpretate dalla nostra rielaborazione personale a sua volta influenzata dalla cultura già presente. Tuttavia la nostra visione del mondo e la nostra cultura in generale si basano sulle informazioni che la nostra mente riceve sia dall’esperienza diretta, sia dai nostri simili; se ne riceviamo di sbagliate è inevitabile che l’efficacia della nostra mappa mentale venga compromessa.
Valutare l’attendibilità delle informazioni è dunque una priorità fondamentale per tutelare il valore della conoscenza; ogni ragionamento si basa su delle ipotesi di partenza, se queste non sono vere o sono incomplete, le conclusioni a cui si giunge sono inaffidabili e a volte assurde; anche le nostre interpretazioni delle informazioni devono essere coerenti con l’evidenza oggettiva dei fatti della nostra vita quotidiana; davanti a delle conclusioni in contrasto con la realtà, come quella secondo la quale le donne non possono competere con gli uomini a scuola, dobbiamo avere il coraggio di fare autocritica e rivedere le nostre convinzioni.
Quando i fatti osservati sono inconciliabili con le nostre convinzioni, ci deve venire il dubbio di essere vittime di un inquinamento psicologico che può essere originato da un errore nelle informazioni o nella loro interpretazione e a volte in tutte e due.

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libro3 APPROFONDIMENTI
ANALOGIA

IL CASO CELEBRE
it1
CESARE LOMBROSO

CONCETTI IN PILLOLE
pillola n. 30 – I SELVAGGI CREDULONI I Selvaggi Creduloni
 

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3.c.7 – Come valutare l’attendibilità delle informazioni?

6 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Come valutare l’attendibilità delle informazioni?

Vista l’importanza delle informazioni nella formazione della cultura e vista l’importanza della cultura per la sopravvivenza, la selezione naturale ha provveduto a dotarci di meccanismi innati biologicamente, poi rafforzati culturalmente, per valutare l’attendibilità delle informazioni. Ricordando sempre di essere animali sociali, normalmente ci basiamo su due criteri:
• la fiducia nell’autorità gerarchica, la quale varia secondo la complessità della comunità e secondo il nostro ruolo in essa ricoperto; nei vari casi si riterranno affidabili le informazioni ottenute dal capo famiglia, dal capo del villaggio, dal sacerdote, dall’insegnante, dall’anziano, ecc.
• la fiducia nel comportamento diffuso, la quale tende a ritenere affidabile l’informazione ricevuta o confermata da più persone; è evidente che se tali persone rappresentano anche diverse autorità, l’affidabilità diventa massima.
D’altra parte un anziano viene ritenuto affidabile per la sua esperienza, un capo per la sua capacità, un insegnante per la sua conoscenza, perché mai un’autorità non dovrebbe essere affidabile? Possibile che una moltitudine di persone che ci confermano la stessa informazione siano tutte in errore? Ancora una volta dobbiamo ricordarci come per milioni di anni ci siamo evoluti in un ambiente tribale di poche decine di membri ed è in questo contesto che tali comportamenti risultano validi per valutare l’attendibilità delle informazioni. Guardiamoci intorno: l’esperienza dell’anziano e la preparazione dell’insegnante possono essere superate da un mondo che cambia sempre più velocemente; in una comunità di milioni di persone difficilmente si conoscono i propri governanti e spesso non c’è alcuna garanzia sulle loro capacità; non conosciamo né frequentiamo neanche la maggior parte degli altri membri della comunità con cui magari condividiamo il condominio, la metropolitana o il parrucchiere.
Tuttavia l’istinto del rispetto dell’autorità e del confronto con gli altri ci è rimasto; esso è talmente forte da indurci a rispettare non solo l’autorità, ma anche la rappresentazione della stessa, nonché a seguire il comportamento degli altri anche se perfettamente sconosciuti. Un produttore di decaffeinati può vantare le virtù dei propri prodotti rispetto alle conseguenze cardiache facendoli pubblicizzare ad un attore che per molti anni ha interpretato il ruolo di un medico in una serie televisiva e ottenere ottime vendite; il pubblico rispetterà l’autorità del medico pur consapevole che l’informazione è pervenuta da un attore. Allo stesso modo, dopo aver incontrato occasionalmente tanti sconosciuti in vari bar e averli sentiti decantare le proprietà dei dolcificanti per il caffè, tenderemo ad abolire lo zucchero.
Ecco allora sorgere il problema della falsa affidabilità dovuto a meccanismi inconsci di valutazione; più la struttura sociale diventa complessa e più la stessa cambia velocemente, tanto più aumenterà l’inquinamento psicologico da informazioni inattendibili; allo stesso tempo una popolazione sempre più specializzata ha bisogno di un numero sempre maggiore di informazioni.
In questo contesto:
• tendiamo a dare fiducia a chiunque ci parli con autorevolezza e chi c’è di più autorevole di chi ci parla dalla televisione?
• è noto che un’informazione ripetuta più volte alla fine viene ritenuta vera e chi ci ripete incessantemente le stesse informazioni più della televisione?
• siamo soliti organizzare le nostre giornate in modo ripetitivo fino a conferire una vera e propria ritualità anche ai gesti più semplici e quale fonte di informazione ci dà appuntamento alla stessa ora più del telegiornale?
I pubblicitari lo sanno bene ed è per questo che usano massicciamente il mezzo televisivo, ma anche i politici ne sono consapevoli, tanto da effettuare la propaganda elettorale nei migliori salotti dei più autorevoli conduttori televisivi. Quando la televisione si dichiara pubblica, ma di fatto è in mano ai politici, quando i politici subiscono l’influenza dei grandi imprenditori, quando i grandi imprenditori possiedono le televisioni private, potete immaginare l’attendibilità delle informazioni provenienti dalla televisione. Il cerchio si chiude quando i grandi imprenditori controllano tutte le televisioni private e assumono direttamente anche l’incarico di politici; dovrebbe essere tutto più chiaro per tutti, l’attendibilità delle informazioni dovrebbe essere considerata minima se non nulla, invece succede esattamente il contrario; chi è più autorevole di una persona con grande potenza economica e grande potenza politica che ci parla dai diversi grandi televisori che abbiamo in casa? Le informazioni che ci fornisce sono continuamente confermate da autorevoli giornalisti, conduttori, opinionisti e politici, tutti sconosciuti, ma tutti avvalorati dall’autorevole e quindi attendibile totem televisivo. Possono non essere attendibili le persone che ospitiamo tutti i giorni dentro le nostre case e che magari ascoltiamo durante i pasti nel momento in cui si riunisce la famiglia?
L’attendibilità delle informazioni non può dunque prescindere dall’attendibilità delle fonti e per giudicare tali fonti non possiamo non essere consapevoli delle nostre fragilità psicologiche. 

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AUTORITA’
 

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3.c.8 – Sappiamo distinguere i fatti dalle opinioni?

7 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Sappiamo distinguere i fatti dalle opinioni?

Le informazioni di base, cioè i fatti oggettivi, anche se non provenienti da un’esperienza diretta, vengono elaborate dalla nostra mente per trasformarsi in opinioni soggettive. Se la fonte d’informazione è attendibile, lo saranno anche i fatti che ci comunica e le sue opinioni personali; perché dovremmo faticare a costruire una nostra opinione soggettiva partendo dalla materia prima dei fatti quando si può fruire di opinioni preconfezionate? In questo caso il problema non si ferma all’attendibilità della fonte, ma riguarda anche la differenza terminologica dei termini.
Qualora non si abbia chiara tale distinzione, se cioè si confonde l’opinione con il fatto, le conseguenze per la nostra conoscenza e per la nostra libertà saranno gravissime. Fare propria l’opinione altrui è un processo naturale, ma significa condividere un elaborazione di ragionamento su fatti che rimangono oggettivi. Come si può non condividere un’opinione se non si conoscono i fatti su cui si basa? L’opinione per esempio che un governo si debba dimettere perché non ha mantenuto le promesse elettorali è senz’altro condivisibile, ma presuppone la conoscenza di tali promesse e dei dati sull’operato del governo.
A questo punto è ovvio che se si ha interesse a manipolare l’informazione bisogna coprire i fatti con un gran numero di opinioni, che diano il senso del pluralismo in quanto contrastanti, che diano il senso della vera contrapposizione alzando i toni degli interlocutori, che diano il senso dell’autorevolezza perché trasmessi in televisione, ma sempre rigorosamente distaccate da fatti obiettivi; si arriva a dibattiti assurdi in cui si discute con opinioni divergenti su fatti altrettanto diversi; è infatti frequente assistere a discussioni fra politici che affermano di aver governato bene perché per esempio hanno diminuito il tasso di disoccupazione e altri che li accusano di aver governato male in quanto hanno alzato il tasso di disoccupazione. Non si tratta forse di due opinioni ambedue condivisibili? Ha senso seguire una tale discussione senza avere notizia sullo scostamento del tasso di disoccupazione, sul termine di paragone di tale scostamento e sulle metodologie usate per effettuare il calcolo?
Un altro metodo molto diffuso per coprire i fatti è semplicemente quello di parlare d’altro e non è un caso che i telegiornali, cioè la nostra fonte d’informazione più utilizzata diano ampio spazio a notizie sportive, a curiosità sulla vita di personaggi famosi, a eventi accaduti in paesi lontani, fino a presentare con collegamenti in diretta il programma di varietà che seguirà a pochi minuti.
Si può concludere che non sono necessarie solo le informazioni sui fatti, ma anche la consapevolezza di averne bisogno.

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3.c.9 – E’ necessario che le opinioni siano largamente diffuse?

8 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

E’ necessario che le opinioni siano largamente diffuse?

Avendo capito l’importanza della ricerca di informazioni attendibili è legittimo chiedersi come mai normalmente non ci preoccupiamo molto di valutare le nostre fonti. La risposta può essere trovata nell’esigenza dei membri di una comunità di rimanere coesi per poter convivere e trarre i vantaggi che tale convivenza offre; per una pacifica e utile convivenza è infatti necessario che le opinioni siano largamente diffuse e condivise ed è evidente che ciò avviene meglio se i singoli non si incaponiscono ad approfondire e rielaborare ogni notizia. Le religioni hanno avuto un importante ruolo a questo fine conservando per secoli credenze e opinioni che sono rimaste diffuse in modo più o meno omogeneo nella popolazione.
L’esigenza di affidarsi alle opinioni altrui è inoltre divenuta ancor più marcata con la specializzazione dei ruoli sociali, oggi infatti non avremmo né il tempo, né la competenza per poter approfondire ogni informazione; la nostra superficialità che quotidianamente dimostriamo nei confronti dell’informazione è quindi il prezzo che paghiamo per una società più unita e più specializzata; si può allora dire che in una comunità è più importante avere informazioni e opinioni largamente diffuse e condivise piuttosto che vere.
Tutto ciò non deve far pensare che oggi non esista il problema della disinformazione perché bisogna sottolineare che le suddette affermazioni rimangono valide in una vera comunità. Abbiamo già avuto modo di chiarire come invece oggi non viviamo in una comunità, ma in sistemi dominati da monarchie e dittature o da partiti politici e poteri economici; in tale contesto la tendenza a rimanere superficiali ci si ritorce contro in quanto diviene un potente strumento nelle mani della classe dominante per mantenere i propri privilegi; è per esempio frequente sentir esaltare l’importanza della comunità e dei sacrifici che bisogna affrontare in suo nome quando invece non esiste alcuna comunità.
La nostra naturale inclinazione alla superficialità ci colpisce tutti: prendiamo per buone le informazioni comunicateci da degli sconosciuti per televisione, seguiamo le vicende familiari di personaggi dello sport e dello spettacolo, ecc., ma in un mondo che cambia dobbiamo necessariamente adattarci ai nuovi pericoli e sviluppare degli antidoti alle nuove insidie.

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3.c.10 – Anche i pettegolezzi hanno una funzione importante?

9 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Anche i pettegolezzi hanno una funzione importante?

Il pettegolezzo viene spesso confuso con la maldicenza; in realtà diventa tale solo quando riferisce menzogne e calunnie, negli altri casi la sua funzione naturale non è quella di distruggere la reputazione di una persona attraverso fatti distorti, bensì quella di svelarne la vera identità morale o di riportare fatti di pubblico interesse.
Il pettegolezzo ha quindi l’obiettivo di trasferire informazioni all’interno della comunità riguardo alla personalità dei suoi membri e, sebbene spesso poco rispettoso della privacy, è di evidente utilità poiché i fatti che riguardano i comportamenti delle persone con cui conviviamo e interagiamo inevitabilmente riguardano anche noi, sono fatti da conoscere nel nostro interesse.
Si tratta dunque della primaria fonte d’informazione da sempre usata nelle comunità ed è per questo che le siamo così legati; come abbiamo visto per le superstizioni anche i pettegolezzi non hanno solo aspetti negativi ed hanno un importante funzione sociale. Dobbiamo però ribadire che tale funzione rimane valida in una vera comunità e nei confronti dei membri della stessa; purtroppo l’inquinamento psicologico sempre più diffuso ci porta a identificare come membri della nostra comunità i personaggi famosi presentati dai mass media, quando magari si tratta di persone che vivono in stati lontani, con cui non avremo mai alcun rapporto diretto e che sentiamo parlare attraverso la voce di un doppiatore o di un interprete. Ecco perché ci interessiamo tanto dell’infedeltà coniugale della tale attrice o dei problemi di tossicodipendenza del tale campione sportivo, in pratica attiviamo la nostra naturale attitudine al pettegolezzo senza renderci conto che in questi casi non è di alcuna utilità, anzi può risultare nociva nel momento in cui toglie spazio importante alle informazioni di cui abbiamo veramente bisogno.
In una comunità il pettegolezzo viene effettuato da ogni membro nei confronti di tutti gli altri, ma in una popolazione che annovera milioni di membri c’è bisogno di pettegoli professionisti che vengono definiti giornalisti. Qual è infatti la funzione del giornalista se non quella di rendere pubblici i fatti di comune interesse? Si tratta di una funzione tanto fondamentale quanto delicata perché, essendo svolta in modo professionale, acquista automaticamente una maggiore autorevolezza e quindi è in grado di influenzare l’opinione del resto della popolazione.

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3.c.11 – Sappiamo interpretare le informazioni?

10 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Sappiamo interpretare le informazioni?

Abbiamo detto che il punto di partenza della nostra conoscenza è rappresentato dalle sensazioni che riceviamo dall’ambiente mentre il resto è dato dalla nostra immaginazione, la quale però non produce fantasie arbitrarie, ma razionali, ovvero coerenti con le esperienze che andiamo accumulando. Immaginazione e ragione sono gli strumenti con cui la nostra mente elabora le informazioni che riceve, tuttavia sappiamo anche che la nostra psiche ha anche altre esigenze oltre alla coerenza: ai fini della sopravvivenza noi dobbiamo trovare soluzioni ai nostri problemi e dobbiamo farlo in tempi rapidi, inoltre dobbiamo anche preoccuparci di mantenere stabile il nostro sistema di credenze; può capitare quindi che la coerenza con i fatti oggettivi passi in secondo piano rispetto a queste ultime esigenze.
Bisogna ricordare che anche disponendo di informazioni vere, queste possono essere male interpretate o mal gestite per vari motivi, ad esempio:
• il giusto modo di collegare ed interpretare le informazioni in nostro possesso può risultare difficile da intuire a causa di casi apparentemente simili che ci traggono in inganno; se per esempio vediamo una persona sdraiata su una panchina è più facile dedurre che sia un barbone o a un ubriaco piuttosto che una persona che si è sentita male;
• le informazioni vengono interpretate sulla base della cultura già in nostro possesso, includendo nella cultura anche il nostro consueto modo di ragionare; dato che quest’ultimo è basato sui già citati percorsi mentali che noi memorizziamo ascoltando gli altri, se non disponiamo della giusta cultura non saremo in grado di interpretare bene i fatti. Si tratta di un fenomeno molto comune, sappiamo tutti che le superstizioni si rafforzano nella mente di una persona perché questi continua meccanicamente ad interpretare male i fatti; chi per esempio si affida a un portafortuna tende ad associare ogni evento positivo al possesso del proprio amuleto e sarà sempre più convinto dei poteri dello stesso;
• le informazioni possono essere alterate, ignorate e associate in modo assurdo per soddisfare esigenze psicologiche di vario tipo come affermare la propria superiorità esaltando o inventando i difetti altrui; è il caso dei maldicenti che, in buona fede, tendono a denigrare le altre persone tanto più queste sono virtuose per lenire il proprio senso di inferiorità.
Siamo inoltre abituati a pensare che la veridicità delle informazioni sia sufficiente ad assicurarne la validità, ma un elemento che non deve mai mancare è la completezza delle stesse rispetto al fine che stiamo perseguendo. Se pensiamo ad un qualsiasi teorema di geometria studiato a scuola probabilmente non ricorderemo i particolari, ma rammentiamo come fosse sostenuto da una dimostrazione che partiva da delle premesse e che, dopo vari passaggi, con una logica schiacciante terminava in una conclusione. Passaggio dopo passaggio tutte le ipotesi venivano sfruttate e tutte erano necessarie; ne fosse mancata solo una la dimostrazione si sarebbe interrotta oppure avrebbe portato ad un risultato assurdo. Per capire il mondo che ci circonda, non bastano dunque informazioni vere, ma è necessario che siano anche complete, cioè sufficienti a dare un giusto giudizio; a conferma di ciò basta ricordare quanto sia facile stravolgere un discorso tagliandone opportunamente alcune parti: mancando alcune informazioni necessarie l’interpretazione delle stesse risulterà completamente compromessa o porterà addirittura a risultati opposti.
Se vogliamo evitare od almeno ridurre questo tipo di problemi dobbiamo di nuovo ricorrere all’esperienza diretta; se le nostre idee sono sbagliate, prima o poi si riveleranno in contrasto con la realtà dei fatti e a questo punto dovremo essere bravi a dubitare delle nostre convinzioni. In alcuni casi però, nonostante che la nostra visione del mondo sia in palese contrasto con l’evidenza dei fatti, la nostra mente rifiuta inconsciamente di accorgersene, in altre parole vogliamo sbagliare anche se non lo sappiamo.
In tali circostanze dobbiamo lasciare che siano gli altri a farci notare le suddette discordanze ed avere poi la forza e l’umiltà di ascoltare le loro critiche; in questo contesto allora l’umiltà è un valore che dobbiamo imparare ad apprezzare; rivedere le nostre posizioni, non è certo una cosa facile, spesso comporta uno sforzo enorme, ma è necessario per non rimanere chiusi in un gretto dogmatismo.
I principi fondamentali del metodo scientifico possono dunque essere utilizzati anche in altri ambiti ed integrare la nostra naturale attitudine alla conoscenza, aumentando le nostre capacità di avvicinarsi alla verità.

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3.c.12 – La storia è una forma importante di conoscenza?

11 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

La storia è una forma importante di conoscenza?

La nostra conoscenza e le esperienze su cui si basa devono essere conservate per poter essere utilizzate; la memoria ha appunto questa funzione, in essa ritroviamo tutti gli avvenimenti importanti della nostra vita, cioè la nostra storia personale. Quello che siamo oggi dipende dal nostro passato e quindi anche la nostra capacità di affrontare il futuro dipende da esso.
Sappiamo bene che, grazie alla cultura, noi possiamo fare tesoro anche dell’esperienza altrui, possiamo imparare non solo dai nostri errori, ma anche da quelli degli altri e quindi, a fianco della nostra storia personale, assume una fondamentale importanza anche la nostra storia collettiva, che può essere intesa come storia dell’umanità intera, del nostro popolo o solo della nostra famiglia, a seconda dei casi.
Cosa merita di essere ricordato come evento storico? Si possono seguire due scuole di pensiero principali: la prima sostiene che è bene tramandare il più possibile poiché una cosa che oggi appare insignificante in futuro potrebbe rivelarsi di grande importanza; la seconda afferma che è bene concentrarsi sugli eventi che ci aiutano di più a ricostruire il passato e i suoi cambiamenti, soprattutto in alcuni aspetti principali come politica, economia e tecnologia, fattori strettamente legati sia fra loro, sia alla vita dell’uomo.
La storia è uno strumento prezioso per capire il presente ed imparare dagli errori del passato, il suo fine è dunque quello di aiutarci sia a vivere nel mondo attuale, sia ad affrontare meglio il futuro grazie a secoli di esperienza. Partendo da questo punto di vista la storia deve essere considerata come un insegnamento con applicazioni anche pratiche che, come per ogni altra fonte di sapere, sono difficilmente prevedibili; non potendo conoscere in anticipo la reale importanza degli eventi storici, sembra corretto cercare di tramandarli indistintamente il più possibile; come abbiamo visto è lo stesso principio su cui si basa la curiosità umana, siamo curiosi un po’ di tutto poiché tutto potrebbe poi rivelarsi utile. Questo tipo di approccio è sicuramente giusto da parte di un ricercatore, di uno storico professionista e soprattutto da parte della collettività in generale; quest’ultima deve infatti cercare di non perdere nulla del suo patrimonio storico così come un bambino deve trarre il massimo profitto dalle sue esperienze per prepararsi alla sua vita futura. Da parte di un singolo individuo, che non sia uno storico, questo metodo è però improponibile, sia perché troppo impegnativo, sia perché una grande massa di eventi, che si rivelerà poi di nessuna importanza per il singolo, toglierebbe spazio a quelli per lui veramente utili e l’esperienza del passato diverrebbe inutilizzabile; analogamente a quanto abbiamo già visto per la cultura, una selezione degli eventi storici è dunque necessaria.
Il singolo utente della storia deve trarre da essa un insegnamento utile; è quindi logico concentrarsi su eventi la cui utilità è già nota; le nozioni di storia più importanti sono dunque quelle che più ci aiutano a capire il presente e ad evitare di ripetere gli errori del passato o almeno quelli che oggi riteniamo tali. Lo studio della storia deve allora partire dal presente più che da un lontano passato, attraverso la scelta di argomenti in qualche modo attuali.
Purtroppo tutti possiamo constatare che nei programmi scolastici di tutte le epoche la selezione e la presentazione degli argomenti non mira tanto a far capire il presente quanto a giustificarlo da un punto di vista politico, a rendere omaggio alla classe dominante e ad educare gli studenti a fare altrettanto; altre volte invece si mantiene semplicemente la scelta fatta secoli prima dagli educatori del passato.
La storia dunque si presenta come una disciplina assai preziosa, ma gestita molto male, tanto da renderla diseducativa in casi estremi; ciò ad esempio avviene quando si esaltano lunghe dinastie di sovrani con le loro guerre di conquista, oppure quando si celebra l’espansione coloniale occidentale come un avanzamento della civiltà contro le barbarie dei selvaggi, ecc..
La storia ha molto da insegnare all’uomo comune di oggi e deve far parte della cultura di base di ciascuno; se essa si ripete anche negli errori è perché la gente non ha capito la lezione, non ne ha tratto il giusto insegnamento. Si ricordi poi che da un punto di vista genetico non vi è sostanziale differenza fra il cervello degli uomini di oggi e quello degli antichi Egizi, Babilonesi e Romani; la differenza è puramente culturale e se la cultura, attraverso la storia, non ci aiuta ad evitare gli errori (e gli orrori) del passato è ovvio che questi saranno ripetuti, come in effetti è già avvenuto tante volte.
La storia fra l’altro ci insegna che le conquiste culturali non possono considerarsi acquisite per sempre, benché diffuse e scritte a futura memoria. Il Medio Evo occidentale per esempio, come tutte le epoche storiche avrà avuto anche degli aspetti positivi, ma viene ricordato come un’epoca buia, di regresso culturale, economico, civile e morale; non è un caso che proprio in questo periodo sia andata perduta una notevole parte di memoria storica delle epoche precedenti; questo fatto non è stato la causa del regresso, ma certamente ha contribuito a renderlo stabile e ad aumentare così le difficoltà per il superamento dello stesso.
Innumerevoli testi antichi sono stati persi o dimenticati e con essi millenni di esperienza, non solo tecnologica, accumulata dal susseguirsi di diverse civiltà (Egizia, Persiana, Greca, Romana); in epoca rinascimentale molto è stato recuperato, ma una parte notevole è rimasta nell’oblio. Si tratta di una perdita della quale ancora oggi subiamo le conseguenze perché riduce il numero di modelli di comportamento a cui ci possiamo ispirare, facilitando così l’adesione a false credenze assai poco valide per mancanza di alternative.
Nell’epoca delle conquiste spaziali, del consumismo di massa e del suffragio universale non è facile convincersi di vivere, per certi aspetti, ancora nel Medio Evo e meno che mai di poter regredire fino ai momenti peggiori dello stesso. Cosa succedeva nei momenti peggiori di quell’epoca che consideriamo superata? Proviamo a ricordare insieme:
• si combatteva per anni nelle crociate in medio oriente; atroci e reiterati conflitti molto simili alle finora due guerre del golfo;
• il potere religioso era assoluto e induceva le masse a comportamenti uniformi; un diffuso plagio mentale che ricorda molto quello della pubblicità commerciale o della propaganda politica;
• la classe dominante opprimeva la popolazione con balzelli di ogni tipo; uno stillicidio continuo che ancora oggi si rinnova ad ogni manovra di politica economica;
• la popolazione aveva un atteggiamento di sudditanza rispetto alla classe dominante, lasciandosi pilotare dalla sua demagogia ed accettando il suo ruolo di subordinazione; una situazione ancora largamente diffusa;
• la popolazione era socialmente frammentata in singoli nuclei familiari privi di una struttura sociale superiore che consentisse una forma di diretta organizzazione politica; proprio come oggi dunque era necessario che venisse governata dall’alto;
• venne imposto il celibato al clero; una regola contro natura e come tale puntualmente disattesa, ma ancora oggi in vigore;
• era diffuso il nepotismo; una selezione fra i protetti piuttosto che fra i meritevoli che attualmente non sembra dimenticata;
• era facile morire per carestie, epidemie e morte violenta, tali eventi erano giustamente accettati come inevitabili; oggi allo stesso modo vengono accettate le morti per incidenti stradali, infortuni sul lavoro e criminalità anche se non sono affatto inevitabili, dimostrando così una consapevolezza inferiore a quella del medioevo;
• i potenti potevano esercitare un diritto di veto rispetto a decisioni di autorità collegiali; una prerogativa poco democratica, ma tutt’ora presente anche nell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
A parte le suddette considerazioni, il più grande pericolo di regresso dei nostri giorni non è rappresentato dalla perdita di conoscenze culturali, bensì dalla perdita dei valori, una perdita non meno grave che può minare la convivenza sociale. Ecco allora che il valore della conoscenza, con riguardo alla consapevolezza circa la natura e il ruolo dei valori umani, assume oggi un’importanza fondamentale.

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CONCETTI IN PILLOLE
pillola n. 31 – L’IMPORTANZA DELLA STORIA pillole_slide_31
 
 

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3.c.13 – Quale è la nuova sfida nel campo dell’educazione?

12 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

Quale è la nuova sfida nel campo dell’educazione?

La conoscenza ovviamente non deve solo essere ricordata, ma anche tramandata; un valore inseparabile da essa è pertanto quello dell’educazione intesa come insegnamento, come formazione nel senso più ampio del termine. In precedenza abbiamo detto che gli interessi culturali non sono stabiliti razionalmente, essi si sviluppano secondo tendenze naturali che, in quanto tali, non sono eliminabili, ma allo stesso tempo sono sempre integrabili da un’opportuna e razionale educazione.
I programmi scolastici e le tecniche di insegnamento però non considerano molto le tendenze naturali e preferiscono basarsi su delle tradizioni, talvolta antiquate, che pertanto possono e devono essere eliminate.
L’evoluzione culturale non si ferma mai e in un mondo che cambia velocemente il problema di un aggiornamento costante diviene sempre più rilevante. Un tempo i genitori crescevano e vivevano in un mondo assai simile a quello dei figli e l’insegnamento ricevuto dai nonni poteva essere trasmesso ai nipoti in modo integrale senza grandi modifiche. Come sappiamo oggi la situazione è molto cambiata, i figli crescono in un mondo sensibilmente diverso da quello dove sono cresciuti i genitori e profondamente diverso da quello dei loro nonni tanto che oggi sono i nonni che chiedono consiglio ai nipoti e non viceversa. L’evoluzione è divenuta così rapida che lo stesso individuo vive la propria infanzia in un’epoca diversa da quella in cui invecchierà e già nell’età adulta avrà notato notevoli cambiamenti.
Per nostra fortuna l’uomo da sempre sopravvive grazie ad un ingegno creativo ottenuto dall’estensione all’età adulta della vivace intelligenza dei bambini, dal punto di vista intellettuale rimaniamo infatti sempre notevolmente giovani rispetto al corpo; questo ci consente di continuare ad apprendere sempre con una certa facilità, una facoltà che è sempre stata utile, ma che oggi siamo costretti a sfruttare in modo molto più intenso. Diventano sempre più numerose le attività lavorative che prevedono regolari corsi di aggiornamento e si sta affermando l’idea che nella vita adulta sia necessaria una formazione permanente che affianchi le normali attività.
La sfida del presente e dell’immediato futuro sembra dunque essere quella di un’educazione degli adulti in un continuo aggiornamento, impresa che presenta notevoli difficoltà: un tempo gli adulti insegnavano ai bambini i quali, raggiunta la maturità, apprendevano principalmente per esperienza diretta; la prima gioventù era il periodo dedicato all’apprendimento e la maturità quello riservato al lavoro applicando quanto appreso; oggi il periodo di apprendistato prosegue fino alla vecchiaia ed è lecito chiedersi chi debba insegnare agli adulti. Certo i bambini non sono in grado di farlo e lo stesso vale per gli anziani, poiché nessuno li ha preparati per questo; dunque gli adulti devono arrangiarsi da soli, producendo nuova conoscenza. Una tale attività di autoformazione è in effetti naturale per gli esseri umani, ma in misura limitata e tendenzialmente individuale; le conoscenze complesse richiedono molto tempo per formarsi e diffondersi, a volte è necessaria più di una generazione, procedendo passo dopo passo grazie al contributo di diversi individui.
Nel tempo presente il numero di persone impegnato nell’innovazione tecnologica è molto superiore rispetto al passato e per sfruttare la collaborazione di tanti individui si sono sviluppati anche nuovi modelli di organizzazione; tutto questo ha portato ad una notevole accelerazione dell’evoluzione tecnologica e tale successo ha portato all’estensione degli stessi principi alla gestione aziendale, con particolare riferimento alla formazione dei dipendenti.
Una componente fondamentale della formazione degli adulti è un’organizzazione che consenta di riunire le nuove idee che sorgono in un grande numero di individui, selezionarle e ridistribuirle a tutti. Si tratta di un nuovo modo di applicare l’antica strategia del gruppo al fine di produrre una nuova conoscenza che ci permetta di affrontare i nuovi problemi presentati dalla nostra evoluzione. 

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L’ANDRAGOGIA
 

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pillola  n. 32 – FORMAZIONE PERMANENTE 

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3.c.14 – La scuola ha ancora un ruolo educativo?

13 Luglio 2009 — Riccardo Sabellotti - Giacinto Sabellotti

La scuola ha ancora un ruolo educativo?

Dagli studi sulla formazione dei dipendenti si è scoperto che insegnare agli adulti non è proprio la stessa cosa che insegnare ai bambini; vi sono notevoli differenze psicologiche che influenzano profondamente la capacità di apprendimento e quindi certi metodi funzionano meglio con gli adulti, altri con i bambini.
È curioso notare come nell’antichità, ad esempio nelle scuole filosofiche del mondo greco-romano, insegnare a degli adulti fosse cosa piuttosto comune e che venisse fatto in modo diverso rispetto ai bambini; sembra che in questo campo fossero più avanzati rispetto alla quasi totalità delle istituzioni scolastiche del ventesimo secolo, strutturate secondo il modello tipico dell’insegnamento ai piccoli. Insegnare ai grandi è un’arte caduta in disuso dal medioevo e, come tante altre tradizioni culturali, non è stata più recuperata, tuttavia si è cercato di ricostruirla ripartendo da zero su basi scientifiche ed oggi, sebbene poco diffusi, sono disponibili nuovi modelli di insegnamento, alternativi a quelli tradizionali.
Uno dei più importanti risultati raggiunti è l’aver capito che i metodi di apprendimento di un singolo individuo variano con il suo grado di maturità e quindi anche i metodi di insegnamento devono fare altrettanto per ottenere la massima efficacia. I ragazzi devono dunque essere seguiti nel loro sviluppo dalla scuola, che passerà gradualmente da un approccio da scuola elementare a quello di un corso di formazione per adulti.
Questo cambiamento coinvolge certamente anche il ruolo dell’insegnante, che è sempre stato importante, ma che ora deve essere valorizzato ancora di più, sia perché è diventato più complicato e difficile, dovendo cambiare strategie secondo il tipo di alunno, sia perché è aumentata la sua importanza per la società: chi più degli insegnanti deve essere sempre aggiornato per preparare i giovani ad un mondo in perenne cambiamento? Il valore di un servizio ovviamente deve essere riconosciuto dal cliente, cioè dagli allievi e, nel caso dei bambini, dalla famiglia che deve educare i piccoli al valore della conoscenza cominciando proprio dal rispetto da portare all’insegnante; tale figura deve essere, dopo i genitori, il punto di riferimento educativo più importante e, proprio come i genitori, deve seguire gli allievi nel loro sviluppo aiutandoli a divenire più maturi ed indipendenti fino ad essere allievi adulti e, nei limiti delle proprie possibilità, produttori di nuova conoscenza. La scuola deve dunque mantenere il suo ruolo educativo ancor più di quello istruttivo poiché l’istruzione continuerà anche da adulti, mentre per preparare una nuova generazione a seguire un percorso di formazione permanente è necessaria fin dall’inizio un’opportuna educazione, basata sul valore della conoscenza, della ricerca, dell’innovazione e di un continuo aggiornamento.

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